Legge Merlin: favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione

Il delitto di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione è punito dall’art. 3 della L. 20 febbraio 1958, n. 75 (Legge Merlin), con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 258 a euro 10.329. Le pene sono raddoppiate allorché ricorra una delle ipotesi elencate al successivo art. 4.

Il reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione nasce con la legge Merlin, che ha portato alla chiusura delle case di tolleranza, senza vietare la prostituzione in sé, quando praticata da persone maggiorenni e consenzienti.

Un tale divieto, infatti, secondo i legislatori avrebbe violato la Costituzione e in particolare gli articoli 2 e 13, che sanciscono in combinato disposto la libertà come diritto inviolabile dell’uomo che, come tale, va tutelato.

Preliminarmente, è interessante rilevare come, secondo la giurisprudenza di legittimità, “nella nozione di prostituzione deve farsi rientrare qualsivoglia attività sessuale, posta in essere dietro corrispettivo di denaro, anche se priva di contatto fisico tra prostituta e cliente, i quali possono trovarsi addirittura in luogo diverso” (cfr. Cassazione penale, sez. III, 09/04/2015, n. 17394); ovvero che “…al fine della integrazione dell’atto di meretricio non è necessario un contatto fisico tra soggetto attivo e passivo della prestazione, essendo sufficiente che la condotta del soggetto che si prostituisce dietro pagamento di un corrispettivo sia finalizzata, in via diretta ed immediata, a soddisfare la libidine di colui che ha chiesto o è destinatario della prestazione” (cfr. Cassazione penale, sez. III, 16/12/2014, n. 13598).

Volendo invece fornire una nozione di favoreggiamento, è possibile affermare che questo possa identificarsi con una qualsiasi attività posta in essere per agevolare l’esercizio della prostituzione, senza tuttavia addivenire ad un vero e proprio sfruttamento economico di tale attività.

Lo sfruttamento si differenzia dal favoreggiamento, indicando la condotta di colui che intende approfittare dei proventi ottenuti dall’attività di prostituzione altrui; tale condotta si configura anche nel caso in cui la prostituta ceda spontaneamente il denaro derivante dalla sua attività, purché chi lo riceva sia consapevole della provenienza dello stesso.

L’art. 3 già cit., dopo aver delineato una serie di condotte tipiche alternative del delitto in disamina (es. avere la proprietà o l’esercizio, sotto qualsiasi denominazione, di una casa di prostituzione; concedere un locale in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione; tollerare abitualmente nel proprio albergo, pensione, circolo, etc., la presenza di una o più persone che, all’interno del locale stesso, si danno alla prostituzione), afferma che incorre in tale fattispecie “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”.

Il reato di sfruttamento della prostituzione si realizza col trarre una qualsiasi utilità dall’attività sessuale della prostituta e richiede il dolo specifico, ossia la cosciente volontà del colpevole di trarre vantaggio economico dalla prostituzione, mediante partecipazione di guadagni ottenuti con tale attività; con la puntualizzazione che il reato non si configura quando la corresponsione dei proventi avvenga per giusta causa e nei limiti dell’adeguatezza, cioè per servizi leciti, sempre che vi sia proporzione tra servizio e compenso (Cass. Pen., sez. III, sentenza 11 gennaio 2000, n. 98).

Viceversa, il favoreggiamento della prostituzione si concretizza in qualunque attività idonea e consapevolmente volta a procurare favorevoli condizioni per l’esercizio della prostituzione. Del tutto irrilevante è invece il movente dell’azione, ovverosia le ragioni soggettive di chi commette il reato (Cass. pen., sez. III, 20 novembre 2013, n. 6373).

Il reato di favoreggiamento esige una concreta attività di intermediazione, che non sussiste nel caso in cui il cliente della prostituta, prelevata la stessa dalla pubblica via e consumato il rapporto sessuale, la riaccompagni nello stesso luogo ove con la propria auto l’aveva prelevata. Tale condotta, pertanto, è del tutto priva di rilevanza penale (Cass. pen., Sez. III, sentenza 18 maggio 2011, n. 36392).

Differente è invece la soluzione quando a realizzare l’accompagnamento sia una persona terza rispetto a chi si prostituisce e al suo cliente. In queste ipotesi è certamente possibile ipotizzare la commissione del reato di favoreggiamento, allorquando la condotta sia appunto volta a favorire oggettivamente la prostituzione altrui e non invece a realizzare una cortesia personale a chi si prostituisce. Occorre pertanto distinguere a seconda degli elementi sintomatici della fattispecie quali, ad esempio, la non occasionalità, i rapporti personali intercorrenti tra le due persone, l’espletamento di attività ulteriori, etc. (Cass. pen., sez. III, 16 giugno 2013, n. 37229).

Un’altra condotta che ha spesso interrogato la giurisprudenza circa la possibilità di sussumerla nel novero delle fattispecie che puniscono il favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione è quella del proprietario di immobile che, consapevolmente, dia quest’ultimo in locazione a chi vi esercita all’interno il meretricio.

In questi casi bisognerà verificare l’adeguatezza del canone di locazione richiesto. Allorquando si tratti di un un prezzo superiore a quello di mercato – e quindi volto a partecipare ai profitti del meretricio – si avrà certamente un’ipotesi di sfruttamento della prostituzione penalmente rilevante. Diversamente, qualora si tratti di una locazione a prezzi congrui, non vi sarà alcun sfruttamento né agevolazione penalmente rilevante, trattandosi della concessione in godimento di un immobile a condizioni di mercato (Cass. pen., sez. III, 31 luglio 2013, n. 33160).

Parte della dottrina ritiene necessaria la reiterazione della condotta di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione nel tempo, tanto da configurare il delitto in esame come reato necessariamente abituale.

La giurisprudenza di legittimità, anche di recente, si è espressa in senso contrario: “le condotte in tema di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, non esigono l’abitualità della condotta, potendosi ravvisare anche a seguito di un solo episodio, stante la finalità di contrastare ogni fenomeno di interposizione personale, a fine di lucro o soltanto agevolativi, della prostituzione, né l’esplicazione nei confronti di persona già dedita a tale attività” (Cass. Pen., sez. III, sentenza 25 giugno 2002, n. 33615).

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.