Lesioni personali, colpose o dolose; lievi, lievissime, gravi o gravissime (artt. 582, 583 e 590 c.p.)

Il delitto di lesioni personali, siano esse colpose o dolose, è disciplinato nel capo I del titolo XII del libro II del codice penale, dedicato ai delitti contro la vita e l’incolumità individuale.

La vita e l’incolumità individuale rappresentano beni primari, la cui protezione rappresenta un interesse non del solo individuo, ma dell’intera collettività (cfr. art. 32 Cost.). Di qui, la loro indisponibilità.

Per quanto più specificamente attiene all’incolumità individuale, a tutela della quale sono poste le fattispecie incriminatrici delle lesioni personali, essa differisce dal concetto di incolumità pubblica, per avere a riferimento persone determinate.

Inoltre, a differenza del bene vita, assolutamente indisponibile, essa rappresenta un bene parzialmente disponibile: entro precisi limiti è infatti possibile consentire alla sua lesione, con conseguente applicabilità della causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto di cui all’art. 50 c.p. (v. anche art. 5 c.c. in ordine all’integrità fisica).

Ciò premesso, sono due le norme che incriminano la condotta – a forma libera – causalmente produttiva di una lesione personale: l’art. 582 c.p. ha riguardo alle lesioni personali dolose; l’art. 590 a quelle colpose.

Dispone l’art. 582 c.p. : “chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente , è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.
Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dagli articoli 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel numero 1 e nell’ultima parte dell’articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa”.

Vengono delineate due fattispecie di lesioni, quelle lievi o semplici di cui al comma 1, che comportano una malattia di durata compresa fra i 21 e i 40 giorni; e quelle lievissime di cui al comma 2, in cui la malattia ha una durata inferiore ai 20 giorni.

Quanto al concetto di malattia, secondo la dottrina e giurisprudenza più recente, essa coinciderebbe con la produzione di una perturbazione funzionale (e solo eventualmente di una modificazione anatomica), ovvero in un processo patologico, acuto o cronico, localizzato o diffuso, che implichi una sensibile menomazione funzionale dell’organismo, che sia significativa, benché non permanente (v. Cass. pen. S.U. n. 2437/2009).

Soggetto attivo del reato può essere chiunque (reato comune); il reato è di evento e si consuma nel momento in cui insorge la malattia. Configurabile il tentativo. Quanto al versante soggettivo, è richiesto il dolo generico, quale volontà e consapevolezza di cagionare una violenta manomissione dell’altrui persona.

L’art. 583 c.p. prevede poi due forme aggravate di lesioni.

“La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni

1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa , ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni;

2) se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo.


La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva:
1) una malattia certamente o probabilmente insanabile;

2) la perdita di un senso;

3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare , ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;

4) la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso

 

Dibattuta la natura giuridica delle disposizioni di cui alla norma testè riportata. Per l’indirizzo prevalente in giurisprudenza, esse – come depone lo stesso tenore letterale della rubrica “circostanze aggravanti” – rappresentano delle circostanze aggravanti speciali dell’ipotesi base di lesioni personali di cui all’art. 582 c.p., con conseguente applicabilità del giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p. e dell’art. 110 c.p., anziché dell’art. 116 c.p., al correo che volle lesioni lievi, anziché quelle gravi o gravissime, di fatto, verificatesi.

Infine, il delitto di cui agli artt. 582 e 583, per espresso richiamo operato dall’art. 585, è punito più gravemente allorchè ricorra alcune delle circostanze aggravanti previste dall’art. 576 c.p. (aumento di pena da un terzo alla metà), ovvero ricorra una delle circostanze aggravanti previste dall’art. 577, ovvero se il fatto sia commesso con armi o con sostanze corrosive o da persona travisata o da più persone riunite (aumento fino ad un terzo).

La fattispecie di cui all’art. 590 c.p. disciplina invece le lesioni personali colpose:

“Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a trecentonove euro.

Se la lesione è grave , la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da centoventitre euro a seicentodiciannove euro; se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da trecentonove euro a milleduecentotrentanove euro.

Se i fatti di cui al precedente capoverso sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la pena per le lesioni gravi è reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime e’ della reclusione da uno a tre anni.

Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto e’ commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi e’ della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime e’ della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.

Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale”.

Tale fattispecie, presenta i medesimi elementi costitutivi di quella regolata all’art. 582 c.p., dalla quale si differenzia per il solo elemento psicologico, essendo richiesta la colpa.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.