Le misure cautelari personali: presupposti ed esigenze cautelari

Le misure cautelari consistono in provvedimenti provvisori e immediatamente esecutivi, finalizzati ad evitare che il trascorrere del tempo possa provocare uno dei seguenti pericoli: a) inquinamento probatorio; b) sottrazione (fuga) dell’imputato all’esecuzione della sentenza di condanna; c) aggravamento delle conseguenze del reato o agevolazione della commissione di ulteriori reati.

 Per queste ragioni, le caratteristiche delle misure cautelari possono essere così individuate:

  • Strumentalità rispetto al procedimento penale;
  • Urgenza, potendo un ritardato intervento condurre al verificarsi di uno dei fatti temuti (il codice prevede un elenco tassativo di esigenze cautelari che giustificano l’applicazione di una misura, v. art. 274 c.p.p.);
  • Devono essere fondate sulla prognosi di colpevolezza dell’indagato/imputato allo stato degli atti (v. art. 273 c.p.p.), cioè basata su materiale probatorio suscettibile di essere successivamente modificato in relazione ai nuovi elementi che siano eventualmente raccolti;
  • Immediata esecutività;
  • Provvisorietà: la decisione sulla misura cautelare non condiziona la decisione definitiva che è pronunciata dal Giudice al termine del dibattimento sulle prove formate in contraddittorio;
  • Previsione per legge: la Costituzione esige che la legge preveda espressamente i casi ed i modi nei quali il provvedimento dell’autorità giudiziaria può porre limiti alle libertà fondamentali dell’individuo (v. artt. 13 e 14 Cost.);
  • Giurisdizionalità : la riserva di giurisdizione non è, tuttavia, assoluta. La Costituzione ed anche il codice del rito prevedono che possano essere disposti dal Pubblico Ministero e dalla Polizia giudiziaria provvedimenti provvisori (es. fermo, arresto), denominati precautelari, i quali devono poi essere sottoposti a successiva convalida da parte del Giudice entro un termine perentorio a pena di inefficacia;
  • Impugnabilità: nei confronti dei provvedimenti cautelare è possibile proporre impugnazione. Oltre al ricorso per Cassazione, garantito dalla Costituzione ex art. 111 comma 7, il codice ha previsto anche la possibilità di proporre un’impugnazione di merito, e cioè l’appello o il riesame.

Nel sistema accusatorio, la libertà personale deve essere la regola e la misura cautelare coercitiva deve restare un’eccezione.

La presunzione di innocenza (art. 27 comma 2 Cost.) impone, infatti, che le misure cautelari non abbiano la funzione di anticipare la pena, né quella di costringere l’indagato/imputato a confessarsi colpevole.

La compressione delle libertà fondamentali dell’imputato deve essere quindi contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari riconoscibili nel caso concreto. Deve quindi ritenersi consentito il ricorso alle forme di restrizione più intense (es. custodia cautelare) solo quando le esigenze processuali ed extraprocessuali, cui il trattamento cautelare è servente, non possano essere soddisfatte tramite misure di minore incisività (c.d. criterio del minor sacrificio necessario).

Il codice pone le seguenti condizioni generali di applicabilità:

  1. Gravità del delitto: tale condizione è prevista dall’art. 280 c.p.p., laddove il Legislatore ha previsto che non siano applicabili misure cautelari coercitive ed interdittive nei procedimenti per reati contravvenzionali, rispetto ai quali potranno adottarsi esclusivamente misure cautelari reali. L’art. 280 impedisce, inoltre, che possano applicarsi misure personali al di sotto di una soglia minima di gravità del delitto addebitato, valutata con rifermento alla pena detentiva stabilita nel massimo per il delitto. A tal fine, ai sensi del’art. 278 c.p.p., deve considerarsi la pena detentiva prevista in astratto nel massimo per il singolo delitto consumato o tentato, senza tener conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze comuni del reato, ma tenendo conto dell’aggravante di aver profittato di situazioni di tempo, luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (art. 61 n. 5 c.p.) e dell’attenuante del danno o del lucro di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.). Ebbene, per i delitti punibili nel massimo con la reclusione fino a tre anni, nessuna misura personale può essere disposta; per i delitti punibili con la reclusione superiore a tre anni a inferiore a cinque, sono applicabili le misure cautelari diverse dalla custodia in carcere; per i delitti punibili nel massimo con la reclusione di almeno cinque anni o l’ergastolo è prevista la possibilità di applicazione anche della custodia cautelare in carcere, oltre che delle altre misure personali. Va , tuttavia, ricordato che nei confronti di quegli imputati che hanno trasgredito alle prescrizioni dell’arresto domiciliare concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di detenzione, il Giudice applicherà la custodia cautelare, anche a prescindere dai limiti edittali sopra cennati.
  2. Punibilità in concreto. Per far luogo all’applicazione di una misura cautelare personale è necessario accertare che il delitto addebitato all’imputato sia punibile in concreto; occorre quindi accertare l’assenza di cause di giustificazione, di cause di non punibilità o di cause di estinzione del reato o della pena che si ritiene possa essere irrogata.
  3. Gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.). Il termine indizi, si noti, non va interpretato nel suo significato tecnico di prova critica , il quale indica quel procedimento logico mediante cui da un fatto noto si desume l’esistenza di un fatto da provare mediante l’applicazione di massime di esperienza o di leggi scientifiche. Qui il predetto termine è idoneo a ricomprendere sia le prove critiche, si quelle rappresentative, con esso intendendosi un elemento conoscitivo acquisito durante le indagini a prescindere dalla sua natura tecnica.

Le esigenze cautelari

Alle condizioni generali di applicabilità si aggiunge un ulteriore requisito, vale a dire la sussistenza in concreto di almeno una delle esigenze cautelari tassativamente indicate nell’art. 274 c.p.p.:

  1. Il pericolo di inquinamento della prova, dato da concrete situazioni di attuale pericolo per l’acquisizione (occultamento) o per l’acquisizione in modo genuino (alterazione) della prova. Ricordiamo come, ad opera della L. 332/1995, si è precisato che dal silenzio mantenuto dall’imputato non può ricavarsi l’esistenza di alcun pericolo di inquinamento probatorio, rappresentando esso un’esplicazione dell’inviolabile diritto di difesa.
  2. Il pericolo di fuga. Quest’esigenza sussiste allorquando l’imputato si è dato alla fuga o vi è il pericolo concreto e attuale che egli si dia alla fuga. Occorre comunque che il Giudice ritenga possibile l’applicazione all’imputato di una pena in concreto superiore a due anni di reclusione. La 47/2015 ha ulteriormente precisato che le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede.
  3. Il pericolo che vengano commessi determinati reati. Occorre il concreto ed attuale pericolo che l’imputato, ove non sottoposto a misura cautelare, commetta uno dei seguenti delitti: a) gravi delitti con l’uso di armi o altri mezzi di violenza personale; b) gravi delitti contro l’ordine costituzionale; c) delitti di criminalità organizzata; d) delitti della stessa specie di quello per cui si procede (in tale ultima ipotesi occorre, altresì, che sia prevista in astratto la pena della reclusione di almeno quattro anni nel massimo per l’applicazione dell’arresto domiciliare, e di cinque anni per l’applicazione della custodia in carcere). Tale pericolo va desunto da specifiche modalità del fatto di reato e dalla personalità dell’autore, con il limite che esso non può essere desunto esclusivamente dalla gravità del reato, ma semmai ricavato dai precedenti penali dell’imputato o da comportamenti o atti concreti, che devono essere specificatamente indicati.

Il procedimento applicativo ed i criteri di scelta delle misure

Le misure cautelari sono richieste e decise in un procedimento incidentale che costituisce una diramazione collaterale del procedimento principale. Esso ha autonomia formale e funzionale, in quanto è retto da regole diverse e ha uno scopo differente.

La prima fase del procedimento cautelare ha inizio quando il Pubblico Ministero chiede per iscritto al G.i.p. l’adozione di una misura cautelare personale (presentando, in uno alla richiesta, tutti gli elementi su cui la richiesta medesima si fonda, e cioè i verbali degli atti delle indagini dai quali si ricavano i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari, nonché tutti gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate).

Il Giudice applica – con ordinanza – una misura cautelare allorchè abbia accertato la sussistenza delle condizioni generali di applicabilità, nonché la sussistenza di almeno una delle esigenze cautelari di cui all’art. 274.

Il potere del Giudice è, tuttavia, vincolato a limiti sia formali, che sostanziali.

Dal punto di vista formale, il Giudice non può applicare una misura più grave di quella richiesta dal Pubblico Ministero; in materia vige il principio accusatorio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Dal punto di vista sostanziale, il Giudice ha il potere-dovere di scegliere la misura cautelare in base ai criteri che sono espressamente sanciti all’art. 275 c.p.p. (c.d. discrezionalità vincolata).

La misura da applicarsi deve essere:

  1. Adeguata alle esigenze cautelari presenti nel caso concreto. Il codice prevede varie misure cautelari, ciascuna strutturata in modo diverso ed adattabile al caso concreto nei limiti delle prescrizioni di legge (c.d. principio della pluralità graduata). Si noti, inoltre, che in caso di pericolo di inquinamento della prova, il Giudice dovrà altresì fissare la data di scadenza dell’efficacia della misura, tenuto conto del tempo necessario al compimento delle indagini preventivate.
  2. Proporzionata alla gravità del fatto a alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata. Il Giudice, così, non potrà applicare la carcerazione cautelare o l’arresto domiciliare quando si prevede che sarà concessa la sospensione condizionale della pena ( 275 comma 2 bis), nonché qualora comunque ritenga che possa essere applicata, all’esito del giudizio, una pena non superiore a tre anni di reclusione. Tale divieto, tuttavia, non opera quando l’indagato abbia trasgredito le prescrizioni di una misura cautelare, nei procedimenti per i delitti più gravi o di violenza personale, o quando gli arresti domiciliari non possono essere disposti per inidoneità del domicilio.
  3. Graduata in moda tale da applicare la custodia in carcere soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. Al riguardo, la 47/2015 ha introdotto due nuovi istituti che costituiscono un rafforzamento del principio di gradualità: il nuovo comma 3 dell’art. 275 consente che le misure diverse dalla custodia in carcere possano essere applicate anche cumulativamente, così da offrire al Giudice un ventaglio ancora più ampio di misure alternative; il comma 3-bis prevede inoltre che il Giudice, nel disporre la custodia in carcere, deve indicare le specifiche ragioni per cui ha ritenuto non idonea la misura, nel caso concreto, degli arresti domiciliari con applicazione del c.d. braccialetto elettronico.

La medesima L. 47/2015 ha previsto che, in presenza di gravi indizi di alcune fattispecie delittuose, devono operare due presunzioni. La prima è sempre relativa; la seconda è, in alcune limitate ipotesi, assoluta.

La prima presunzione comporta che in presenza di gravi indizi di reato previsti dall’art. 275 comma 3, si considera esistente almeno una delle esigenze cautelari ex art. 274. La presunzione è relativa, in quanto è ammessa prova contraria, e cioè che non ricorre nessuna delle suddette esigenze cautelari. Si tratta dei delitti di associazione sovversiva, terroristica e mafiosa, dei delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis e 3 quater c.p.p., dei delitti di violenza alla persona di cui agli artt. 575, 600 bis, ter e quinquies e, ove non attenuati, degli artt. 609 bis, quater e octies c.p.

La seconda presunzione riguarda l’adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere quale misura applicabile. Questa presunzione è stata costruita in alcuni casi come assoluta, in altri come relativa.

Il Legislatore ha previsto al comma 3 dell’art. 275 c.p.p. la presunzione assoluta di adeguatezza della carcerazione cautelare per i soli delitti di associazione sovversiva, terroristica e mafiosa. In tali ipotesi quindi, la presunzione assoluta cade solo ove di dimostri che non sussista nessuna esigenza cautelare. Ma se un’esigenza sussiste, dovrà necessariamente procedersi all’applicazione della custodia in carcere.

Per tutti gli altri delitti previsti dal comma 3 del medesimo art. 275 invece, la presunzione di adeguatezza della custodia carceraria è soltanto relativa. Pertanto essa è destinata a cadere sia quando si dimostri l’insussistenza di esigenze cautelari, sia ove si dimostri che le esigenze cautelari del caso concreto possano comunque essere salvaguardate con altri misure, meno afflittive, anche applicate cumulativamente.

Vi sono poi alcune situazioni che impediscono l’applicazione della custodia in carcere, salvo che ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Esse sono previste dall’art. 275 comma 4: a) donna incinta; b) madre di prole di età fino a 6 anni e con lei convivente; c) padre in analoghe condizioni, ove la madre sia assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; d) persona che abbia superato i 70 anni di età. A tali ipotesi legislative va aggiunta quella prevista dall’art. 89 T.U. stupefacenti, con riguardo al tossicodipendente che ha in corso (o intende sottoporsi ad) un programma terapeutico incompatibile con la detenzione carceraria.

Dell’esercizio del potere discrezionale di applicazione e scelta della misura cautelare, il Giudice deve dare conto nella motivazione dell’ordinanza (v. art. 292 c.p.p.).

In particolare, il Giudice deve esporre le specifiche esigenze cautelari e gli specifici indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato. Se applica la custodia in carcere, il Giudice deve altresì spiegare perché tale misura non può essere sostituita con altre meno gravi.

L’ordinanza che dispone la misura cautelare è eseguita, su incarico del Pubblico Ministero, dalla Polizia giudiziaria che consegna all’imputato copia del provvedimento. Se è disposta la custodia in carcere o l’arresto domiciliare, la Polizia giudiziaria deve inoltre consegnare al sottoposto una comunicazione scritta in cui lo informa di una serie di facoltà e diritti da questi esercitabili (nomina di un difensore, ammissione al gratuito patrocinio, assistenza di un interprete, diritto al silenzio, etc).

Dell’esecuzione della misura va immediatamente avvertito anche il difensore eventualmente nominato o quello designato d’ufficio a norma dell’art. 97 c.p.p. Tale avviso è, ovviamente, funzionale all’esercizio del diritto dell’imputato di conferire con il difensore fin dall’inizio dell’esecuzione della misura. Tale diritto può, tuttavia, essere dilazionato nel corso delle indagini, per un tempo non superiore a cinque giorni, con decreto motivato emesso dal Giudice su richiesta del Pubblico Ministero (art. 104, comma 3), allorché ricorrano specifiche ed eccezionali ragioni di cautela.

Quando non è possibile eseguire l’ordinanza cautelare perché il destinatario non è stato rintracciato, l’ufficiale o l’agente di Polizia giudiziaria redige un verbale di vane ricerche, indicando le indagini svolte. Il verbale va trasmesso al Giudice che ha emanato l’ordinanza cautelare. Se questi ritiene che le ricerche siano esaustive, dichiara lo stato di latitanza di colui che volontariamente si sottrae alla cattura.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.