Misure di Prevenzione, brevi cenni sulla figura dell’Amministratore giudiziario

Il sequestro di prevenzione, oggi disciplinato dagli artt. 20 e 22 del codice antimafia (D.lgs. 159/2011), tende ad assicurare la conservazione del bene mediante la sua custodia e la sua eventuale amministrazione temporanea. Trattasi di un istituto finalizzato all’eventuale confisca del bene attinto dal provvedimento, e dunque attuato nelle more del giudizio volto a valutare l’applicazione di tale misura.

Nel procedimento di Amministrazione Giudiziaria gli organi competenti sono:

  • il Tribunale che dispone il sequestro;
  • il Giudice Delegato alla procedura;
  • l’Amministratore Giudiziario, scelto tra gli iscritti nell’Albo nazionale degli Amministratori Giudiziari.

Con lo stesso provvedimento che dispone il sequestro dei beni riconducibili al proposto, il Tribunale nomina il Giudice Delegato e un Amministratore giudiziario, scelto fra quelli iscritti nella sezione ordinaria dell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari (art. 35 comma 1) o fra quelli iscritti nella “sezione degli esperti in gestione aziendale”, se oggetto del sequestro è un’azienda (art. 41, comma 1).

Mediante la costituzione di un apposito Albo con D. Lgs. n. 14 del 4 febbraio 2010, gestito dal Ministero di Giustizia, è stata così istituita, di fatto, la figura professionale dell’Amministratore Giudiziario. Il Legislatore si è sostanzialmente proposto di sviluppare delle figure professionali ad hoc e rendere più trasparente il processo di nomina dell’Amministratore Giudiziario (cfr. art. 38 comma 6). Si tratta, pertanto, di un professionista che subentra, per un periodo temporale limitato, nella gestione di un bene o di un’azienda con il principale scopo di mantenerne, per quanto possibile, inalterato il valore economico, ponendo in essere tutta una serie di attività volte alla conservazione del patrimonio sociale.

Una volta nominato, l’Amministratore viene immesso nel possesso dei beni sequestrati dall’ufficiale giudiziario, assistito dalla polizia giudiziaria.

Non possono essere nominati amministratori giudiziari i soggetti nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con essi conviventi, né le persone condannate ad una pena che importi l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o coloro cui sia stata irrogata una misura di prevenzione. Gli stessi soggetti non possono, altresì, svolgere le funzioni di ausiliario o di collaboratore dell’Amministratore Giudiziario.

L’art. 35, comma 5, stabilisce, in generale, che l’Amministratore Giudiziario riveste la qualifica di pubblico ufficiale e deve adempiere con diligenza ai compiti del proprio ufficio. Egli ha il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni sequestrati nel corso dell’intero procedimento, nonché di incrementare, se possibile, la redditività dei beni in amministrazione. In caso di grave irregolarità o di incapacità il Tribunale, su proposta del Giudice Delegato, dell’Agenzia o d’ufficio, può disporre in ogni tempo la revoca dell’Amministratore Giudiziario, previa audizione dello stesso. L’Amministratore Giudiziario al termine del suo incarico presenta il rendiconto della gestione.

La scelta del Legislatore della normativa antimafia è stata, quindi, quella di attribuire all’Amministratore giudiziario i più ampi poteri al fine di “incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi” e ciò non solo con riferimento alle gestioni “aziendali”, per le quali la redditività era e rimane un obiettivo implicito della gestione stessa, ma anche per gli altri beni, quali principalmente gli immobili.

L’Amministratore giudiziario può farsi coadiuvare, sotto la sua responsabilità, da tecnici o altri soggetti qualificati, con autorizzazione del Giudice Delegato. La figura del coadiutore “generale” potrebbe risultare indispensabile nel caso di amministrazioni complesse, laddove per il numero di beni (immobili, aziende ecc.) ed il numero di decisioni (anche giornaliere) da prendere, è impensabile che l’amministratore giudiziaria possa garantire la propria presenza ovunque, se non, appunto, tramite propri incaricati di fiducia.

In passato la collaborazione del proposto e dei familiari era tollerata, specie nel caso di sequestri afferenti piccole realtà imprenditoriali, legate, in tutto o in gran parte, all’attività dei citati soggetti. Il codice antimafia tuttavia, riprendendo la previsione già introdotta all’art. 2-sexies della legge n. 575/65 dall’art. 5 del D.L. 4.2.2010 n. 4 (convertito in legge 31.3.2010, n. 5027) all’art. 35, comma 3, ha stabilito che “… le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con esse conviventi… non possono… svolgere le funzioni di ausiliario o di collaboratore dell’amministratore giudiziario”. Tale previsione, certamente in linea con la normativa sulla prevenzione, se interpretata in modo restrittivo può determinare seri problemi in relazione alla continuità aziendale, specie nelle prime fasi del sequestro di aziende, normalmente di medio-piccole dimensione, la cui conduzione sia legata principalmente all’attività dei citati soggetti.

Per questa ragione, alcuni Tribunali italiani, in un’ottica più prudenziale, hanno adottato, quanto meno nelle fase iniziale della procedura, una linea meno rigida nei confronti del proposto e degli altri soggetti indicati dall’art. 35, comma 3, assumendo – ad esempio – che la qualifica di “ausiliario” o “collaboratore” dell’Amministratore giudiziario, espressamente indicata nella norma, non coincidesse con quella di dipendente della azienda in sequestro ed autorizzando, quindi, l’Amministrazione giudiziaria a continuare ad usufruire dell’attività di tali soggetti nell’ambito di tale inquadramento lavorativo.

Nell’ambito delle proprie funzioni, l’Amministratore giudiziario può porre in essere tutti gli atti di ordinaria amministrazione funzionali alla gestione dello specifico bene (aziendale e non), mentre, per gli atti di straordinaria amministrazione, necessita della specifica autorizzazione del Giudice Delegato. L’art. 40, comma 3, prevede, infatti, che “l’amministratore giudiziario non può stare in giudizio, né contrarre mutui, stipulare transazioni, compromessi, fidejussioni, concedere ipoteche, alienare immobili e compiere altri atti di straordinaria amministrazione anche a tutela dei diritti dei terzi senza autorizzazione scritta del giudice delegato”. Il successivo art. 41, comma 2, prevede poi, nel caso di sequestro di aziende, che “l’amministratore giudiziario provvede agli atti di ordinaria amministrazione funzionali all’attività economica dell’azienda. Il giudice delegato, tenuto conto dell’attività economica svolta dall’azienda, della forza lavoro da essa occupata, della sua capacità produttiva e del suo mercato di riferimento, può con decreto motivato indicare il limite di valore entro il quale gli atti s’intendono di ordinaria amministrazione. L’amministratore giudiziario non può frazionare artatamente le operazioni economiche al fine di evitare il superamento di detta soglia”.

Le richiamate norme hanno l’evidente finalità, da un lato, di consentire una proficua e semplificata gestione del bene/azienda, dall’altro lato, di evitare che gli Amministratori possano porre in essere attività straordinarie, senza il preventivo vaglio del Giudice delegato. Tali norme rappresentano, dunque, una salvaguardia per l’amministrazione stessa, laddove tutte le attività straordinarie vengono poi condivise, in sede autorizzatoria, dal Giudice Delegato.

La prudenza nella gestione dei propri poteri da parte degli Amministratori giudiziari è necessaria, ed appare sempre opportuna una preventiva informativa al Giudice Delegato, anche nei casi in cui si tratti di atti che rientrano nella soglia di ordinaria amministrazione. Ovviamente tale valutazione di opportunità va correttamente effettuata, non dovendosi abusare del ricorso alle preventive autorizzazioni del Giudice Delegato, onde evitare di sommergerlo di eccessive (e forse superflue) richieste.

Per completezza si segnala che, ai sensi dell’art. 40, comma 4, “avverso gli atti dell’amministratore giudiziario compiuti in violazione del presente decreto, il pubblico ministero, il proposto e ogni altro interessato possono proporre reclamo, nel termine perentorio di dieci giorni (si presume dal momento in cui i predetti soggetti ne siano venuti a conoscenza), al giudice delegato che, entro i dieci giorni successivi, provvede ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile”. I provvedimenti del Giudice delegato sono a loro volta opponibili davanti al Tribunale.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.