Le misure dell’arresto in flagranza e del fermo di indiziato di delitto vengono generalmente ascritte al novero delle c.d. misure precautelari.
Entrambe le misure condividono le stesse regole procedurali (artt. 386-391 c.p.p.) e sono, inoltre, consentite soltanto in relazione a determinate fattispecie di reato. Nell’individuazione di quest’ultime, il legislatore utilizza talvolta un criterio di tipo quantitativo fondato sui minimi e massimi edittali, talvolta procede alla loro elencazione nominale.
L’art. 379 c.p.p. dispone comunque che, nel caso dell’utilizzo del criterio quantitativo sopra cennato, la pena è determinata ai sensi dell’art. 278, cioè applicando gli stessi criteri di determinazione della pena ai fini della applicazione di una misura cautelare.
L’art. 385 dispone invece che arresto e fermo non sono consentiti, quando: difetta l’imputabilità dell’agente, si verifica una causa di estinzione del reato o della pena, si è in presenza di una causa di non punibilità o di una qualsiasi causa di giustificazione (questa è l’interpretazione della norma all’atto prevalente, che invero fa riferimento alla sola scriminante dell’adempimento di un dovere o dell’esercizio di un diritto).
Arresto in flagranza.
Titolari del potere di arresto sono innanzitutto gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, i quali possono omettere o ritardare l’esecuzione della misura solo in casi eccezionali previsti dalla legge (v. art. 9 comma 6 l. 146/2006). Tale potere spetta poi al pubblico ministero (si veda l’art. 476 comma 1, per l’ipotesi di reato commesso in udienza), e ad ogni altra persona, quando si tratti di delitti perseguibili d’ufficio e per cui è previsto l’arresto obbligatorio (art. 383).
I presupposti dell’esercizio del potere di arresto sono due:
- L’arrestato deve trovarsi in stato di flagranza ( 382 c.p.p.).
È in stato di flagranza : a) chi sia colto nell’atto di commettere un reato (c.d. flagranza propria); b) chi sia , subito dopo il reato, inseguito dalla P.g. o dalla persona offesa o da altre persone; c) ed infine chi sia sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima (nelle ipotesi sub b) e c) si parla di flagranza impropria).
L’ipotesi da ultimo citata va intesa nel senso che non devono sussistere ragionevoli spiegazioni alternative dei dati di fatto riscontrati dalla P.G.
La locuzione subito dopo il reato o reato commesso immediatamente prima va, invece, intesa come necessità di un susseguirsi ininterrotto e concitato degli eventi: occorre, in sostanza, che il destinatario della misura, nell’intervallo di tempo tra la commissione del reato e l’arresto, non abbia fatto altro che tentare di sottrarsi all’intervento repressivo della Polizia. Si noti che le leggi speciali talvolta comportano ulteriori estensioni del concetto di flagranza: basti pensare all’istituto della c.d. flagranza differita di cui all’art. 8 della L. 401/1989 (per un approfondimento v. http://deiurecriminalibus.altervista.org/legislazione-in-…nza-antisportiva/ ).
È infine consentito l’arresto fuori dai casi di flagranza in determinate situazioni eccezionali, come nel caso ad es. dell’arresto dei responsabili del delitto di evasione o delle persone che, sottoposte a una misura di prevenzione personale, commettano determinati reati o contravvengono agli obblighi inerenti le misure.
- Il secondo presupposto attiene alla circostanza che il reato commesso sia ricompreso nell’elenco dei reati per i quali è consentito l’arresto. Al riguardo occorre distinguere le ipotesi di arresto c.d. obbligatorio, da quelle in cui esso è meramente facoltativo.
L’arresto è obbligatorio quando si tratti di delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a vent’anni (art. 380, comma 1), nonché nei casi in cui si tratti di delitto espressamente elencato al comma 2 dell’art. 380, il quale ricomprende i delitti lesivi di beni giuridici di primaria importanza. Altre ipotesi di arresto obbligatorio sono previste in leggi speciali.
L’arresto è invece facoltativo nei casi di delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni, ovvero di un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (art. 381, comma 1). Anche l’art. 381 al comma 2 prevede un elencazione ad hoc di delitti cui comunque si applica l’arresto facoltativo.
L’arresto facoltativo è in realtà definito impropriamente. Esso costituisce infatti esercizio di un potere discrezione da parte della P.g., con cui si valuta se la misura sia giustificata dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto, desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto (art. 381, comma 4). In presenza di questi presupposti, si ritenere che il funzionario di Polizia abbia il dovere, e non la facoltà, di procedere all’arresto.
Se si tratta di un delitto perseguibile a querela, l’arresto in flagranza – sia esso obbligatorio o facoltativo – può essere eseguito solo se la querela viene sporta. La sua proposizione può avvenire anche con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o agente di Polizia presente sul luogo; se il querelante, poi, decide di rimettere la querela, l’arrestato è immediatamente liberato.
Si noti, infine, che non è consentito l’arresto della persona richiesta di fornire informazioni alla P.g. o al P.M. per reati concernenti il contenuto delle informazioni o il rifiuto di fornirle (art. 381, comma 4), al fine evidentemente di scongiurare pratiche di abuso che utilizzino la minaccia dell’arresto per intimidire il testimone.
Fermo di indiziato di delitto.
Titolare del potere di disporre il fermo (con decreto) è il pubblico ministero (art. 384, comma 1). Gli ufficiali ed agenti di P.g. possono procedere al fermo di propria iniziato solo prima che il pubblico ministero abbia assunto la direzione delle indagini (comma 2) o nelle particolari situazioni di urgenza delineante nel successivo comma 3.
Il pubblico ministero applica il fermo quando riscontri la presenza di specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga di una persona che sia gravemente indiziata di un delitto, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni, ovvero di un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi o di un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico. Anche per il fermo, ulteriori ipotesi sono previste in leggi speciali (v. art. 77 d.lgs. n. 159/2011).
La locuzione persona gravemente indiziata va intesa nel senso che a carico del fermato devono sussistere gli stessi gravi indizi di colpevolezza che legittimerebbero – ai sensi dell’art. 273 c.p.p. – l’adozione di una misura cautelare.
Per quanto attiene invece al pericolo di fuga, la giurisprudenza prevalente evidenzia come debba trattasi di un pericolo concreto e non meramente congetturale, basato quindi su elementi specifici concernenti l’indiziato.
Va distinto dal fermo, oggetto della corrente disamina, il c.d. fermo identificativo d cui all’art. 349, comma 4 , che consiste nell’accompagnamento e nel trattenimento di un soggetto presso gli uffici di Polizia, per il tempo strettamente necessario, ai fini dell’identificazione, allorchè il soggetto medesimo abbia rifiutato di farsi identificare o abbia fornito generalità o documenti in relazioni ai quali sussistano fondati dubbi circa la loro genuinità.
La procedura di convalida.
Tanto l’arreso che il fermo sono assoggettati alla medesima procedura di convalida.
Funzionalmente competente ad effettuare tale giudizio è, di regola, il Giudice per le indagini preliminari (nei casi di giudizio direttissimo, la competenza può spettare anche al giudice del dibattimento ).
Il legislatore ha quindi scelto di affidare la decisione della convalida ad un organo giurisdizionale diverso dal pubblico ministero. Anche le misure precautelari da questi disposte sono infatti assoggettate alla convalida.
Dopo l’esecuzione della misura, gli ufficiali e gli agenti di P.G. devono:
- dare immediata notizia della misura al P.M. del luogo dove la misura è stata eseguita;
- avvertire l’arrestato o il fermato della facoltà di nominare un difensore di fiducia, nonché informare immediatamente dell’avvenuto arresto/fermo il difensore eventualmente già nominato. Tali adempimenti sono fondamentali perché funzionalmente volti a consentire al soggetto di esercitare il proprio diritto di conferire con il difensore subito dopo il fermo o l’arresto ; diritto il cui esercizio, ricordiamo, può tuttavia essere dilazionato dal P.M. fino al momento in cui l’arrestato o il fermato è posto a disposizione del Giudice.
- con il consenso dell’interessato, dare senza ritardo notizie ai familiari dell’avvenuto arresto o fermo;
- porre l’arrestato o il fermato a disposizione del P.M. al più presto e comunque non oltre 24 ore dall’esecuzione della misura, mediante l’accompagnamento del medesimo nella casa circondariale o mandamentale del luogo in cui l’arresto o il fermo è stato eseguito (il pubblico ministero può disporre che il soggetto sia custodito in uno dei luoghi indicati dall’art. 284 comma 1: abitazione o altro luogo di privata dimora, luogo pubblico di cura e assistenza);
- trasmettere al P.M. sempre entro 24 ore il verbale di arresto o fermo, anche per via telematica.
Entro 48 ore dall’arresto o dal fermo, il P.M. – se non deve ordinare l’immediata liberazione del sottoposto – richiede al Giudice la convalida della misura. Il Giudice fissa l’udienza di convalida al più presto e comunque entro le 48 ore successive, dandone avviso al P.M. e al difensore senza ritardo (art. 390, comma 2).
L’udienza di convalida si celebra in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore dell’arrestato o del fermato, a pena di nullità assoluta ex art. 179. Non è invece prevista come necessaria la presenza del P.M.; questi tuttavia se decide di non presenziare, deve preventivamente trasmettere al Giudice le sue richieste in ordine alla libertà personale del sottoposto, corredate da apposita documentazione.
Il giudice procede all’interrogatorio dell’arresto o del fermato, salvo che questi non abbia potuto o si sia rifiutato di comparire (art. 391, comma 3). Da tale disposizione si ricava che l’udienza si celebra comunque anche nel caso di legittimo impedimento dell’interessato: lo impone, d’altronde, il rispetto della rigida tempistica prescritta dall’art. 13 Cost.
Al termine dell’udienza, il Giudice decide sulla base degli atti che gli sono stati trasmessi dal P.M. e delle eventuali dichiarazioni rese dal sottoposto; nel corso dell’udienza non vengono infatti acquisiti ulteriori documenti di prova.
In primo luogo, il giudice dovrà verificare se la misura è stata legittimamente eseguita e se sono stati osservati i termini prescritti. In caso di esito positivo, emette ordinanza di convalida; in caso contrario, la richiesta del P.M. viene rigettata. Inoltre, in caso di arresto facoltativo, il Giudice deve verificare che la P.g. abbia fatto un uso ragionevole del potere discrezionale di cui all’art. 381 comma 4.
Contro l’ordinanza così emessa, è proponibile ricorso per Cassazione (art. 391, comma 4).
Successivamente all’espletamento delle valutazioni di cui sopra, il Giudice dovrà altresì verificare se ricorrano le condizioni di cui agli artt. 273 e 274 c.p.p. ed in caso di esito positivo disporre – con autonoma ordinanza, impugnabile mediante riesame – l’applicazione di una misura cautelare coercitiva (art. 391, comma 5); in caso contrario, viene disposta l’immediata liberazione del soggetto (comma 6).
Utile sottolineare che non esistono nessi di dipendenza funzionale tra le due decisioni. Il Giudice, infatti, ben potrebbe non convalidare la misura precautelare eseguita e disporre invece l’applicazione di una misura cautelare ex art. 291 c.p.p. o viceversa. In caso di mancata convalida dell’arresto o del fermo, tale patologia processuale potrebbe rilevare in tema di un eventuale risarcimento danni per ingiusta detenzione.
La liberazione del sottoposto può essere disposta anche antecedentemente all’udienza di convalida ad opera del P.M. o della P.g. (non anche dal G.I.P. al di fuori dell’udienza di convalida).
In particolare il P.M. dispone con decreto motivato l’immediata liberazione dell’arrestato o del fermato quando risulta evidente che la misura sia stata eseguita per errore di persona o fuori dai casi previsti dalla legge (art. 389, comma 1); o quando ritiene di non dovere richiedere al G.I.P. l’applicazione di una misura cautelare (in tale ipotesi, a differenza della prima, l’art. 121 comma 1 disp. att. prevede che debba comunque fare seguito l’udienza di convalida).
Il P.M. prima di procedere alla liberazione del sottoposto, può procedere all’interrogatorio del medesimo, dandone tempestivo avviso al difensore (art. 388, comma 1). La logica dell’istituto vorrebbe che il P.M. sfrutti tale possibilità al fine di verificare i presupposti per l’emanazione del provvedimento liberatorio; nella prassi, tuttavia, l’interrogatorio de quo viene utilizzato prevalentemente per fini investigativi.
Il P.M. e la P.g. hanno, infine, l’obbligo di rimettere immediatamente in libertà l’arrestato o il fermato (nonché il Giudice ha l’obbligo di rigettare la richiesta di convalida in sede di udienza), allorchè non vengano rispettare le rigide scansioni temporali imposte dalla procedura, a pena di inefficacia della misura precautelare.
Allontanamento d’urgenza dalla casa familiare.
Il legislatore ha di recente introdotto, con D.L. 14 agosto 2013, n. 93 (conv. con modifiche dalla L. 119/2013) recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, la misura dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare all’art. 384 bis c.p.
Naturale il richiamo all’omonima misura cautelare prevista all’art. 282-bis c.p.p., dalla quale tuttavia si differenza per l’utilizzo del termine “d’urgenza” presente in rubrica, che vale altresì a conferire alla misura in esame natura precautelare, applicabile all’interno del momento delle indagini preliminari.
La natura di misura precautelare trova altresì riscontro nella collocazione dogmatica della norma e nel rinvio operato dalla medesima alla disciplina disposta per la misura dell’arresto e al fermo.
Dispone l’art. 384 bis che “gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno la facoltà di disporre (…) l’allontanamento urgente dalla casa familiare (…) nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all’art. 282 bis comma 6, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa”.
Due, quindi, i presupposti per l’applicazione della misura: a) la flagranza e b) i fondati motivi per ritenere possibile la reiterazione della condotta ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità psicofisica della persona offesa.
Nell’ipotesi in cui gli ufficiali o gli agenti di P.g. propendessero per l’opportunità dell’applicazione della misura de qua, occorrerà comunque la previa autorizzazione del pubblico ministero. In tale disposizione è possibile scorgere la volontà del Legislatore di subordinare l’applicazione della nuova misura ad una ponderata valutazione circa i suoi presupposti.
Come già accennato, l’art. 384-bis c.p.p., ai fini della sua compiuta disciplina, opera un rinvio alla normativa comune disposta in ordine all’arresto in flagranza e al fermo di indiziato ( “si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui agli articoli 385 e seguenti del presente titolo” ).
Invero, va subito notato come le disposizioni di cui agli artt. 385 ss. c.p.p. dettano norme soltanto in parte compatibili con l’allontanamento d’urgenza. Di tutta evidenza, infatti, che l’allontanato non è né un fermato né tanto meno un arrestato, non subendo egli nessuna restrizione della propria libertà personale, ma soltanto una restrizione della libertà di movimento.
Sicuramente compatibile l’applicazione dell’art. 386 commi 1, 2, 3 e 6 c.p.p. che impongono alla P.g. di dare immediata comunicazione dell’avvenuta applicazione della misura al P.M., di trasmettergli apposito verbale indicante l’eventuale nomina del difensore di fiducia ed altresì il giorno, l’ora e il luogo in cui l’allontanamento è stato eseguito e le ragioni che lo hanno determinato.
Quanto invece alla messa a disposizione del pubblico ministero, assolutamente incompatibile risulta essere la conduzione presso la casa circondariale o mandamentale del luogo dove l’allontanamento è stato eseguito.
Sul punto, potrebbe sostenersi che la messa a disposizione del pubblico ministero non sia necessaria, ma tale assunto contrasterebbe con la possibilità di interrogatorio da parte del P.M.
Una soluzione più ragionevole potrebbe allora essere quella di indicare all’allontanato d’urgenza il giorno e l’ora in cui recarsi presso la Procura della Repubblica e sottoporsi all’interrogatorio; nell’ipotesi di mancata comparizione, sarà poi lecito desumere la volontaria rinuncia dell’allontanato a tale strumento di garanzia predisposto in sua favore.
Per quanto attiene alla compatibilità dell’art. 387 c.p.p., che prescrive l’avviso ai familiari dell’avvenuto allontanamento, attesa la funzione della misura (che è quella di tutela della persona offesa – familiare convivente), sarebbe più congruo prescindere dal consenso del sottoposto.
Incompatibile invece l’art. 389 c.p.p. , che impone l’immediata liberazione per sopravvenuta inefficacia, illegittimità o errore di persona. Nel caso dell’allontanamento infatti, non si tratterebbe di una reimmissione in libertà , atteso che l’allontanato non è sottoposto ad alcuna restrizione della propria libertà personale. Al riguardo si sarebbe dovuta invece prevedere la possibilità di revoca motivata della misura.
Compatibile – e imprescindibile, atteso il contenuto dell’art. 13 Cost. – il rispetto degli artt. 390 e 391 c.p.p. dettati in ordine alla procedura di convalida.
La disciplina fin’ora esposta non manca di criticità. Demandando la loro trattazione dettagliata ad altra sede, qui vuole sottolinearsi il problema di coordinamento tra la disciplina di cui all’art. 284 bis e quella dettata in materia di applicazione dell’arresto, obbligatorio o facoltativo, atteso che molti dei delitti previsti nella norma da ultimo citata sono contenuti anche agli artt. 380 e 381 c.p.p.
Potrebbe ermeneuticamente affermarsi che ove la fattispecie sia ricompresa nel novero di reati che danno luogo all’arresto facoltativo, spetterebbe agli agenti e agli ufficiali di polizia giudiziaria la discrezionale valutazione circa l’applicazione della misura all’uopo più opportuna, mentre laddove sia prescritto l’arresto obbligatorio questo deve prevalere sull’allontanamento d’urgenza atteso l’imperatività dell’obbligo contenuto nell’art. 380.
Tuttavia, non mancano e non possono escludersi diverse ricostruzioni anche più aderenti alla sistemica del codice, come quella secondo cui, in base al principio di specialità, debba preferirsi l’allontanamento d’urgenza all’arresto, obbligatorio o facoltativo, quando si versi in circostanze riferibili alla violenza domestica. Tuttavia questa soluzione rischierebbe di andare incontro a gravi censure di incostituzionalità ex art. 3 della Costituzione, atteso il diverso trattamento che riceveranno l’arrestato e l’allontanato nonostante la flagranza della medesima condotta delittuosa.
In ultima analisi, va altresì registrato il silentium del Legislatore in merito a quale sia la reazione dell’ordinamento nel caso in cui l’allontanato d’urgenza dovesse trasgredire alle prescrizione derivanti dall’adozione della misura.