Principio del ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio: sentenza Grande Camera, 15 novembre 2016 A. e B. contro Norvegia  

La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata il 15 novembre di quest’anno sulla compatibilità del doppio binario sanzionatorio con il principio del ne bis in idem, di cui all’art. 4 protocollo num. 7 CEDU.

La sentenza in questione contiene importanti novità, per la cui comprensione è utile ripercorre la recente giurisprudenza della Corte sul ne bis in idem.

Come è noto il contrasto nasce dalla circostanza che l’ordinamento italiano, in alcune ipotesi, qualifica lo stesso fatto sia come illecito amministrativo che come illecito penale.

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Il D.lgs 58/1998, ad esempio, prevede che l’abuso di informazioni privilegiate possa essere punito con sanzione penale (art. 184) e con sanzione amministrativa (187 bis).

L’art. 649 c.p.p. non è applicabile, perché si riferisce esclusivamente al caso di due procedimenti entrambi penali, a carico della stessa persona per il medesimo fatto.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha affrontato la questione nel 2014 con la sentenza Grande Stevens.

I giudici di Strasburgo, facendo applicazione dei cd. criteri Engel, hanno statuito la natura sostanzialmente penale della sanzione di cui all’art. 187 bis, con conseguente soggezione ai principi penalistici CEDU, ivi compreso il divieto di un secondo processo per il medesimo fatto.

La sanzione che il legislatore nazionale qualifica come amministrativa è una pena per l’ordinamento sovrannazionale perché:

  • è connotata da una rilevante severità sia in astratto che in concreto;
  • persegue finalità punitive e non riparatorie e ciò è dimostrato dalla circostanza che in fase di quantificazione della sanzione si prende in considerazione la gravità della condotta e non la gravità del danno.

La Corte di Cassazione, a seguito della sentenza Grande Stevens, ha sollevato una duplice questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117 Cost., in combinato disposto con l’art. 4 num. 7 protocollo cedu, da parte dell’art. 187 ter D.lgs 58/1998 e dell’art. 649 c.p.p..

L’art. 187 ter si porrebbe in contrasto con le coordinate tracciate dalla Corte europea, poiché prevede un sistema di cumulo delle sanzioni amministrative e penali.

L’incipit della norma, infatti, stabilisce “fatte salve le sanzioni penali” di cui all’art. 185.

L’art. 649 c.p.p., invece, violerebbe la Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella parte in cui non impedisce che un soggetto, a cui sia già stata comminata una sanzione definitiva avente natura penale, venga poi sottoposto ad un nuovo procedimento penale per lo stesso fatto.

La Corte Costituzionale ha affrontato la questione nel luglio di quest’anno, dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 649 c.p.p., come interpretato dalla giurisprudenza nazionale, per violazione dell’art. 4 protocollo 7 CEDU.

La ragione è la seguente.

La giurisprudenza prevalente reputa che il presupposto per applicare l’art. 649 c.p.p. sia l’idem legale.

Il divieto del secondo processo, cioè, scatta a condizione che nel nuovo procedimento all’imputato venga contestata la stessa fattispecie astratta di reato oggetto del primo processo.

La Corte EDU, al contrario, ha più volte stabilito che il presupposto del ne bis in idem ex art. 4 protocollo 7 è l’idem factum.

Il secondo processo non può essere celebrato qualora all’imputato venga contestato il medesimo fatto concreto già giudicato nel primo processo, a prescindere dalla fattispecie astratta di reato.

Una interpretazione convenzionalmente orientata impone di porre a fondamento dell’art. 649 c.p.p. l’idem factum e non l’idem legale.

Giova precisare come autorevole dottrina ritiene che dalla sentenza della Consulta si possa scorgere un passaggio fondamentale.

Il fatto concreto va valutato nella sua interezza.

Ai fini del ne bis in idem è necessario che nel secondo processo all’imputato vengano contestati la stessa condotta, lo stesso evento e lo stesso nesso causale contestati nel primo processo.

Diritto tributario 

La questione del doppio binario sanzionatorio si è posta anche nel diritto tributario.

L’omesso versamento delle ritenute, infatti, integra un illecito penale ai sensi dell’art. 10 bis d.lgs. 74/2000 e un illecito amministrativo ex art. 13 d.lgs. 471/97, punito con una sovrattassa pari al 30% della somma non versata.

I principi espressi nella sentenza Grande Stevens sono stati ribaditi nella sentenza Nykanen.

La Corte EDU si è pronunciata in relazione all’ordinamento tributario finlandese, il quale è simile a quello italiano.

I giudici di Strasburgo hanno qualificato la sovrattassa del 30% come pena ai fini CEDU e pertanto hanno statuito la contrarietà della disciplina finlandese con il principio del ne bis in idem, nella parte in cui prevede la possibilità di irrogare tale sanzione e poi sottoporre il destinatario ad un procedimento penale per lo stesso fatto.

La sentenza della Grande Camera

La Grande Camera della Corte EDU, come detto, si è pronunciata sull’ambito di applicazione del divieto del ne bis in idem il 15 novembre 2016.

La controversia ha riguardato l’ordinamento norvegese, che, al pari di quello italiano e finlandese, prevede la sanzione amministrativa della sovrattassa del 30% rispetto all’importo evaso.

La sentenza ha statuito che l’art. 4 protocollo 7 della Convenzione non impedisce che ad un soggetto, già punito in via definitiva con la citata sanzione amministrativa, venga inflitta per lo stesso fatto anche la sanzione penale, a condizione che “tra i due procedimenti vi sia una stretta connessione sostanziale e temporale”.

Il principio del ne bis idem, dunque, non vieta la celebrazione parallela del procedimento amministrativo-contabile e di quello penale, relativi allo stesso fatto.

Ciò che non è ammesso è la celebrazione di due  procedimenti l’uno successivo all’altro.

L’argomentazione di fondo è che qualora tra i due procedimenti sussista il presupposto della stretta connessione, le due sanzioni vanno intese come parti di un’unica reazione sanzionatoria apprestata dall’ordinamento contro l’evasione fiscale e non come due distinti processi per il medesimo fatto.

Le motivazioni della Corte

La Corte sottolinea l’esigenza di lasciare agli Stati contraenti una certa discrezionalità nel decidere come garantire, nei rispettivi ordinamenti, il divieto del doppio processo.

Lo Stato può prevedere il doppio binario sanzionatorio che si articoli attraverso procedimenti distinti, purché il sacrificio imposto non sia eccessivo per il destinatario.

Il modo migliore per assicurare il rispetto dell’art. 4 protocollo 7 sarebbe la previsione di un meccanismo che permetta di unificare i due procedimenti, affinché le sanzioni vengano irrogate da un’unica autorità e in un unico processo.

Detto ciò, la Corte ha stabilito che la “sufficiente connessione” tra i due procedimenti è configurabile in presenza di tali requisiti:

  • i due procedimenti devono avere scopi differenti, e devono avere ad oggetto, non solo in astratto ma anche in concreto, profili diversi della stessa condotta;
  • la celebrazione dei due procedimenti deve essere una conseguenza prevedibile della condotta;
  • l’attività di raccolta e di valutazione delle prove deve avvenire in modo tale da evitare duplicazioni tra i vari procedimenti;
  • l’autorità che irroga la seconda sanzione deve tener conto della sanzione già inflitta, al fine di garantire la proporzionalità della pena complessivamente intesa.

Se ricorrono tali presupposti l’imputato non subisce un pregiudizio sproporzionato e ingiusto.

La Corte, nel caso di specie, ha statuito che le due sanzioni perseguono uno scopo differente, in quanto la sanzione amministrativo-tributaria della sovrattassa del 30%, è finalizzata a compensare gli sforzi umani e finanziari che l’amministrazione deve affrontare per accertare e sanzionare le evasioni fiscali, nell’interesse della collettività.

Le sanzioni penali, invece, svolgono una funzione prettamente punitiva.

Critiche alla sentenza

La sentenza in questione è stata pronunciata con il solo dissenso del giudice Pinto de Albuquerque, il quale ha mosso le seguenti critiche.

Il criterio della “connessione sostanziale e cronologica sufficientemente stretta” tra i due procedimenti è un criterio vago e arbitrario, costruito attorno a indicatori manipolabili dall’interprete.

L’idea secondo cui le due sanzioni proseguono differenti finalità non è accettabile.

La ragione è che la sanzione amministrativa e quella penale perseguono al tempo stesso entrambi gli scopi.

Inoltre, permettendo lo svolgimento dei due procedimenti, sussiste il rischio di giudicati contrastanti in merito alla responsabilià del soggetto.

Soprattutto, ciò che non convince è l’invito della Corte a tenere in considerazione la sanzione già irrogata nel procedimento conclusosi per primo.

Un meccanismo analogo è previsto dall’art. 187 terdecies del d.lgs. 58/1998, ma la Corte EDU ne affermò l’irrilevanza ai fini del divieto del ne bis in idem.

L’assunto fu che la ratio dell’art. 4 prot. 7 CEDU non è quella di garantire la proporzionalità della sanzione, ma il diritto dell’individuo a non essere sottoposto a un doppio procedimento per il medesimo fatto.