Offese su Facebook: scatta il penale, è diffamazione aggravata

Proferire, postare, pubblicare offese su Facebook o altri social può costituire una condotta penalmente rilevante ex art. 595 comma 3 c.p., che punisce il reato di diffamazione aggravata commessa a mezzo stampa o “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”.

Secondo la descrizione codicistica, commette diffamazione  chiunque offende l’altrui reputazione in assenza della persona offesa e sempre che siano presenti almeno due persone (di qui la differenza con il reato di ingiuria ex art. 594 c.p., recentemente depenalizzato, che richiede che l’offesa tipica venga commessa alla presenza della persona la cui reputazione viene lesa).

Tale condotta è punita con la pena della reclusione fino ad un anno, ma nelle ipotesi aggravate (diffamazione a mezzo stampa o “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”), la reclusione può essere anche superiore ai tre anni.

E bene. La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “Facebook” integra la fattispecie aggravata del reato di cui all’art. 595 c.p., trattandosi di una condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone (v. Cass. n. 24431 del 28/04/2015). Sul punto, rimarrà irrilevante la circostanza che il profilo del soggetto che ha scritto il post ovvero il commento offensivo sia “chiuso e ristretto solo alla propria cerchia di amici” (impostazioni sulla privacy). Né, tantomeno, rileverà il fatto che a Facebook si possa accedere solo all’esito di una procedura di registrazione, “peraltro gratuita, assai agevole e alla portata sostanzialmente di chiunque”.

Inoltre, ai fini della configurabilità del reato in commento, non è necessario che il destinatario dell’offesa sia individuato expressis verbis per nome e cognome, ma è sufficiente che l’identità di questi sia comunque facilmente distinguibile in modo univoco (c.d. offese indirette). In tali ipotesi, secondo la giurisprudenza, la diffamazione è integrata quando la collettività sia comunque in grado di risalire al destinatario del post diffamatorio. Ne consegue, dunque, che tanto più il contesto di riferimento sia ristretto (es. un luogo di lavoro, una palestra), tanto più facile sia l’individuazione della vittima, tanto più agevolmente scatterà il reato.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.