Omicidio preterintenzionale o oltre l’intenzione ex art. 584 c.p.

L’omicidio preterintenzionale rappresenta una figura autonoma di reato prevista dall’art. 584 c.p., che punisce con la reclusione da 10 a 18 anni chiunque con atti diretti unicamente a percuotere o a provocare lesioni personali nei confronti di un altro soggetto ne cagioni, senza volerlo, la morte.

Unitamente al delitto di aborto preterintenzionale, l’omicidio preterintenzionale rappresenta l’unica fattispecie di delitti preterintenzionali contemplate dall’ordinamento giuridico penale italiano, definiti dall’art. 43 c.p. come delitti “oltre l’intenzione”, ovvero “quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente”.

Affinché la fattispecie possa dirsi preterintenzionale è necessaria la volizione di un evento (percosse o lesioni personali dolose) e la realizzazione involontaria di un evento più grave (morte), eziologicamente collegato all’evento meno grave.

Sull’elemento psicologico dell’omicidio preterintenzionale si sono succeduti nel tempo diversi orientamenti giurisprudenziali, dando vita ad un contrasto tuttora non sopito.

Secondo un primo orientamento, si tratterebbe di un dolo misto a responsabilità oggettiva: il primo sarebbe ravvisabile nel delitto di base, costituito dalle percosse o dalle lesioni, la seconda, invece, sarebbe attribuita all’agente per l’evento letale, non voluto, sulla base del mero nesso di causalità che collega tale evento ulteriore al delitto originario, prescindendosi da ogni indagine di volontarietà, di colpa o di prevedibilità dell’evento più grave.

Secondo diversa impostazione, invece, l’elemento soggettivo richiesto per la configurazione del reato andrebbe individuato nel dolo, per il reato di percosse o lesioni, misto alla colpa, per l’evento ulteriore non voluto dal soggetto agente, il quale intende cagionare alla vittima l’evento minore (percosse o lesioni), ma ottiene, per via del comportamento colposo la morte della stessa.

Secondo un terzo orientamento, infine, l’omicidio preterintenzionale deve ritenersi caratterizzato, quanto all’elemento psicologico, non dalla coesistenza di dolo e colpa, ma dalla sola presenza del dolo, costituito dalla coscienza e volontà di attentare all’incolumità del soggetto passivo mediante percosse o lesioni; nel che resta assorbita la prevedibilità dell’evento omogeneo più grave costituito dalla morte.

Si tratta, in sostanza, dell’applicazione dell’antico criterio “qui in re illicita versatur, tenetur etiam pro casu” che postula l’attribuzione, al soggetto che pone in essere intenzionalmente un’azione illecita, proprio in ragione dell’originario disegno criminoso, anche di tutte le conseguenze ulteriori che possono discenderne, sebbene dovute al caso e non prevedibili.

Per quanto attiene alla condotta tipica invece, secondo l’orientamento prevalente, la figura dell’omicidio preterintenzionale non deve ritenersi necessariamente legata al tipico tentativo di percosse o lesioni, poiché nella formula ‘atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli artt. 581 e 582 c.p.’ deve ritenersi compreso anche un semplice comportamento minaccioso ed aggressivo, sempre che sia tendente a ledere o a percuotere.

La pena prevista per il reato di omicidio preterintenzionale è aumentata da un terzo alla metà, quando concorre una delle circostanze aggravanti previste dall’art. 576 c.p., e fino a un terzo, se concorre alcuna delle circostanze previste dall’art. 577 c.p., “ovvero se il fatto viene commesso con delle armi o con sostanze corrosive, ovvero da persona travisata o da più persone riunite” (art. 585 c.p.).

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.