Cassazione: la pena rilevante ex art. 656 comma 5 è quella non superiore ad anni 4

La Cassazione (Sez. Feriale, N. 39889 del 24 agosto 2017) torna ad affrontare l’ormai nota questione relativa alla sospensione delle pene non superiori a 4 anni di reclusione ex art. 656 comma 5 c.p.p., in correlazione ad una istanza di affidamento in prova ai sensi dell’art. 47, comma 3 bis, ribadendo la necessità di dover procedersi a un coordinamento tra le due norme appena richiamate.

L’art. 656 co. 5 stabilisce infatti che nei casi in essa previsti, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, se la pena detentiva, anche costituente residuo di maggiore pena, non è superiore ad anni tre, ad anni quattro nei casi previsti dall’art.47 ter, comma 1, ord. pen., oppure ad anni sei nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del d.P.R. n.309 DEL 1990 e successive modificazioni, ne sospende l’esecuzione.

Sussiste effettivamente – rilevano gli Ermellini – una difformità ed un difetto di coordinamento tra la disposizione citata dell’art. 656 e quella del comma 3 bis dell’art. 47 ord. pen. in ordine all’individuazione del limite massimo di pena per accedere all’affidamento in prova al servizio sociale, previsto in anni quattro soltanto dalla seconda norma, mentre la prima ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione ha mantenuto inalterata la soglia di anni tre”.

Ciò nonostante…“, prosegue la Corte, può affermarsi che “‘l’entità della sanzione prevista in astratto per la sospensione della esecuzione, ai sensi dell’art. 656 cod. proc. pen., comma 5, debba essere quella della pena, anche residua, non superiore ad anni 4 quando la sospensione sia richiesta ai sensi dell’art. 47, comma 3 bis, ord. pen., ossia in dipendenza da un’istanza di affidamento in prova. Tale soluzione resta avvalorata dal richiamo operato dall’art. 656 cod. proc. pen., comma 5, secondo periodo, all’art. 47 ord. pen. nella sua interezza, il che offre sul piano sistematico e teleologico argomenti per superare l’assenza di una espressa previsione normativa che allinei la regolamentazione della sospensione dell’esecuzione alla disposizione che disciplina i requisiti di accesso alla predetta misura alternativa. In altri termini, il perseguimento da parte delle due norme della stessa finalità di ridurre in forme controllate la popolazione carceraria e di evitare l’ingresso negli
istituti penitenziari di soggetti che possano usufruire di misure alternative, autorizza un’interpretazione adeguatrice dell’art. 656 e consente di mantenere il parallelismo con i più ampi limiti di pena previsti dal richiamato art. 47, comma 3 bis“.

Invero la questione oggetto del presente elaborato parrebbe destinata a trovare definitiva risoluzione con l’intervento di riforma del codice penale e di procedura. All’art. 1, comma 85, lett. c della L. 23 giugno 2017 n. 103, si legge infatti che:

“Fermo restando quanto previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nell’esercizio della delega di cui al comma 82, i decreti legislativi recanti modifiche all’ordinamento penitenziario, per i profili di seguito indicati, sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

c) revisione della disciplina concernente le procedure di accesso alle misure alternative, prevedendo che il limite di pena che impone la sospensione dell’ordine di esecuzione sia fissato in ogni caso a quattro anni e che il procedimento di sorveglianza garantisca il diritto alla presenza dell’interessato e la pubblicita’ dell’udienza”.

Scarica il testo della sentenza:

 

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.