Patteggiamento e revisione del processo

Noto ai più come, a seguito della riforma intervenuta con L. 12 giugno 2003, n. 134, sia stata espressamente prevista la possibilità di richiedere la revisione ex art. 629 c.p.p. anche di una sentenza emessa ai sensi dell’art. 444, comma 2, c.p.p.

Si ricorderà anche come tale novum abbia screditato l’orientamento consolidato in giurisprudenza e consacrato dalle Sezioni Unite della S.C., che aveva invece “escluso il patteggiamento dal novero delle sentenze di condanna assoggettabili a revisione” (v. Cass. Sez. Un., 25 marzo 1998, n.6).

La giurisprudenza di maggioranza, infatti, si mostrava concorde nell’affermare l’assenza, nelle sentenze di patteggiamento, di un accertamento di responsabilità.

Si sosteneva, infatti, che ai sensi dell’art. 444 c.p.p., il compito del Giudice fosse limitato alla ratifica dell’accordo concluso tra le parti, dovendo egli unicamente accertare:

Nessun accertamento completo di responsabilità, dunque. Nemmeno ove la pronuncia sia stata emessa all’esito del dibattimento, ai sensi dell’art. 448, co. 1, c.p.p.

Ciononostante, il Legislatore, disattendendo il predetto orientamento, ha espressamente previsto – con l’art. 3, co. 1, L. n. 134/2003 – l’esperibilità della revisione anche nei confronti delle sentenze di patteggiamento.

A seguito della riforma, ci si è naturalmente interrogati su come le caratteristiche proprie della sentenza di patteggiamento possano riflettersi sul rimedio previsto dagli artt. 629 e ss. c.p.p.

Le principali criticità rilevate sul punto, sono sorte in relazione ai casi di revisione di cui alle lett. c) ed a) dell’art. 630 c.p.p., relativi – rispettivamente – all’emersione di nuove fonti di prova successivamente all’irrevocabilità della sentenza, ed al conflitto di giudicati.

Riguardo al conflitto tra giudicati, si è giustamente osservato che, tra la sentenza di patteggiamento e quella dibattimentale, sarà la prima a dover soccombere “sia perché una presunzione di completezza probatoria sottende il giudizio ordinario, sia per la prevalenza gerarchica del metodo di formazione della prova”( E. Di Dedda).

Ne consegue che, chi è stato sottoposto a sentenza di condanna ex artt. 444 e ss., potrà chiederne la revisione con riferimento ad una sentenza dibattimentale incompatibile con la prima mentre, per converso, non si “potrà invocare una decisione concordata per farsi revocare la condanna” (E. Di Dedda).

Ai fini del giudizio revisorio, la Cassazione ha ulteriormente precisato che “l’inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630, comma primo, lett. a) cod. proc. pen., non deve essere intesa in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni, ma come oggettiva incompatibilità tra i fatti su cui si fondano le diverse sentenze”, posto che “ciò che è emendabile è l’errore di fatto e non la valutazione del fatto, sicchè non è ammissibile l’istanza di revisione che fa perno sulla circostanza che lo stesso quadro probatorio sia stato diversamente utilizzato per assolvere un imputato e condannare un concorrente nello stesso reato in due diversi procedimenti” (Cass. pen. sez. V., 9 dicembre 2008, n. 4225).

Guardando, invece, all’ipotesi prevista dall’art. 630, co. 1, lett. c), c.p.p., la questione è più complessa.

Si sostiene, di fatti, che la revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, comporta una valutazione di quest’ultime alla luce della regola di giudizio posta per il rito alternativo. Occorre, cioè, che tali nuove prove siano tali da dimostrare che l’interessato debba essere prosciolto secondo la regola di cui all’art. 129 c.p.p.

Tale differenziazione trova la sua ragion d’essere nelle caratteristiche proprie della sentenza di patteggiamento, sulla quale il controllo giudiziale è circoscritto alla valutazione circa la sussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.

Ebbene, da tale presupposto non può prescindersi nemmeno in sede di revisione.  In caso contrario, infatti, “la revisione cesserebbe di essere un mezzo di impugnazione straordinaria e diverrebbe, in relazione al patteggiamento, strumento a disposizione del patteggiante per revocare in dubbio una decisione da lui stessa richiesta e riaprire integralmente la fase dell’accertamento dei fatti e della responsabilità” (così, Cass. sez. VI, 24 maggio 2011, n. 31374; Cass. sez. III, sent. 13032/14 e 23050/13; Cass. sez. IV, sent. 26000/13).

In sintesi: la revisione è rimedio esperibile anche nei confronti delle sentenze emesse su richiesta delle parti; tuttavia, in questi casi, la valutazione delle nuove prove va compiuta alla luce della regola di giudizio posta per il rito alternativo, e dunque le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare che l’interessato debba essere prosciolto ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

Alla luce di tale quadro interpretativo, è innegabile che chi ha concordato la propria condanna incontrerà non poche difficoltà ad ottenere una pronuncia di revisione della sentenza di patteggiamento da lui stesso richiesta.

Parimenti, non può non osservarsi, come l’orientamento della Suprema Corte non sia tout court da condividere, per un evidente contrasto al principio del favor rei.

Esso, inoltre, pare non tenere nella dovuta considerazione il fatto che l’imputato, se avesse conosciuto ex ante le prove rinvenute successivamente, probabilmente, non avrebbe optato per il rito alternativo ex art. 444 c.p.p.

Dunque, il rinvenimento di nuove prove dovrebbe poter travolgere anche il rito adottato e riaprire una rivisitazione istruttoria, senza limitazione alcuna, a favore del diritto di libertà dell’imputato ed in ossequio ai canoni del giusto processo.

Fonti:

  • I profili di criticità sottesi all’applicazione dell’art. 629 c.p.p. in riferimento alle sentenze irrevocabili emesse ai sensi dell’art. 444, co. II, c.p.p. , Antonio Di Tullio D’Elisiis;
  • Questioni in tema di revisione: condanna patteggiata e assoluzione dei coimputati per insussistenza del fatto, Giuseppe Inzerillo, Archivio Penale, 2013, n. 1;
  • Di Dedda, “La Revisione Della Sentenza Di Patteggiamento Dopo La L. 12 Giugno 2003, N. 134 Giur. Merito, 2004, 03, 665.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.