Il principio di irretroattività sfavorevole tra pene e misure di sicurezza

irretroattività sfavorevole

Il divieto di retroattività sfavorevole è scolpito nel secondo comma dell’art. 25 della Costituzione, a tenore del quale “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.

A livello primario è disciplinato dall’art. 2 comma 1 del Codice penale, mentre a livello soprannazionale è garantito dall’art. 7 CEDU.

Tale principio impedisce di applicare in senso sfavorevolmente retroattivo una legge più afflittiva, non vigente al momento della condotta.

La ratio è quella di garantire al cittadino la libertà di autodeterminazione: il singolo deve poter calcolare le conseguenze penali della propria condotta.

In merito alla cogenza del divieto di retroazione in peius, la Corte Costituzionale ha statuito che si tratta di un principio assoluto, ossia non suscettibile di deroghe.

Questa è una delle maggiori differenza con il principio di retroattività in mitius, il quale è derogabile dalla legge statale a condizione che le deroghe siano poste a tutela di interessi di analogo rilievo.

Ambito di applicazione

Ai fini dell’applicazione del divieto di retroattività sfavorevole è fondamentale capire se la sanzione è una pena o una misura di sicurezza.

Nello specifico, se il fatto già costituiva reato al momento della sua realizzazione è possibile applicare in senso sfavorevolmente retroattivo una misura di sicurezza inizialmente non prevista ovvero più afflittiva rispetto a quella esistente quando il soggetto ha agito.

Tale differenza è giustificata dal fatto che:

  • l’art. 25, comma 3, Cost. richiama solo il principio di riserva di legge e non il principio di irretroattività sfavorevole
  • l’art. 200 c.p. stabilisce che “le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione (e non al tempo del fatto). Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo della esecuzione”

La ratio delle misure di sicurezza è quella di neutralizzare la pericolosità sociale del reo.

Bisogna applicare, quindi, la misura più idonea a tale scopo tra quelle esistenti nel momento in cui viene accertata la pericolosità sociale.

Il problema qualificatorio, con conseguenti ricadute in punto di retroazione, si è posto in merito a diversi tipi di sanzioni.

Confisca per equivalente

La confisca per equivalente è stata introdotta per la prima volta dalla Legge 108/1996 in relazione al reato di usura.

Si tratta di un particolare tipo di confisca, che permette di sottrarre al reo denaro o cose di valore equivalente ai beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato, i quali non siano stati rinvenuti, ma è certo che esistano.

Questa tipologia di confisca non è prevista in via generale, ma soltanto per talune tipologie di reato.

Ad esempio, è tipizzata dall’art. 316 ter c.p. per i reati contro la p.a..

In merito alla natura giuridica della confisca per equivalente, la Corte Costituzionale ha statuito che si tratta di una sanzione penale e non di una misura di sicurezza patrimoniale.

La ragione è la seguente.

La confisca reale ex art. 240 c.p. è finalizzata a neutralizzare la pericolosità oggettiva delle cose, che mantengono viva l’idea del reato nella mente del reo.

Sono confiscabili, infatti, tutte quei beni che presentano un legame pertinenziale con il reato, i quali, se restassero nella disponibilità del soggetto, potrebbero indurlo a commettere ulteriori reati.

La confisca per equivalente, invece, serve a sottrarre al reo cose che nulla hanno a che fare con il reato, in quanto prive del legame pertinenziale.

La ratio dell’istituto non è quella di neutralizzare la pericolosità oggettiva delle cose, ma è quella di punire e sanzionare il reo per il reato commesso, attraverso un sacrificio patrimoniale.

Si tratta di una “forma di prelievo pubblico a fronte di prelievi illeciti”.

La Consulta ha valorizzato l’interpretazione di pena fornita dalla Corte EDU.

Stante la natura penale il giudice non può applicare retroattivamente la confisca di valore, poiché verrebbe violato l’art. 25 comma 2 Cost., e, per guardare ai parametri sovranazionali, l’art. 7 della Carta EDU.

La confisca allargata

La medesima questione si è posta anche per la confisca allargata, di cui all’art. 12 sexies D.L. 356/92.

Tale confisca presuppone la condanna per talune tipologie di reati (tipologie che dal 2007 comprendono anche i reati contro la p.a.).

Il giudice deve fare una ricostruzione del patrimonio del condannato e deve accertare che ci sia una sproporzione tra i beni accertati nella disponibilità del condannato e i redditi dichiarati, derivanti da attività lecite.

La confisca si applica allo scarto tra il patrimonio disponibile e i beni derivanti da attività lecite, salvo che il soggetto non ne giustifichi la provenienza.

Ci si è interrogati in merito all’applicabilità retroattiva.

Giurisprudenza

La giurisprudenza prevalente ritiene che la confisca allargata possa essere applicata retroattivamente, poiché la qualifica come una di misura di sicurezza, ancorchè atipica.                                                                                      Si è detto che si tratta di una confisca che guarda al futuro, perchè volta a sottrarre dalla disponibilità patrimoniale del soggetto beni che si presumono di provenienza illecita, per evitare che siano reimmessi in un circuito economico non legale.

Risponderebbe alla logica delle misure di sicurezza, ancorchè atipiche, con tutte le conseguenze in punto di ricostruzione del regime successorio e di applicabilità sfavorevolmente retroattiva.

Dottrina

Questa ricostruzione giurisprudenziale non ha sempre convinto una parte della dottrina.

La critica mossa alla qualificazione come misura di sicurezza è che la confisca ex art. 12 sexies incide su beni il cui legame pertinenziale con il reato non è oggetto dell’accertamento processuale.

Il giudice, difatti, non deve verificare che quei beni derivino da un reato di mafia, ma deve soltanto accertare che il soggetto sia stato condannato per mafia e che ci sia sproporzione.

Che lo scarto derivi dalla commissione del reato di mafia non è demandato all’accertamento giudiziale.

Per tale ragione, si dubita della natura di misura sicurezza.

La confisca allargata assumerebbe una connotazione più di tipo afflittivo-sanzionatorio, con tutte le implicazioni che ne deriverebbero.

Confisca antimafia

La giurisprudenza si è interrogata anche sulla natura giuridica della confisca antimafia, disciplinata dall’art. 24 del Codice antimafia.

In passato, tale confisca poteva essere applicata solo congiuntamente ad una misura di prevenzione personale.

Questo rapporto di presupposizione era importante, perché l’applicazione della misura di prevenzione personale presupponeva l’accertamento giudiziale circa l’attualità della pericolosità sociale del prevenuto.

Proprio sulla base di questa disciplina, la giurisprudenza prevalente considerava la confisca come una misura di sicurezza patrimoniale, perché si valorizzava il collegamento con la verifica della pericolosità sociale.

Successivamente, il legislatore ha modificato l’art. 18 Codice Antimafia, il quale ora stabilisce che “Le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione”.

Il legislatore ha scisso la prevenzione patrimoniale da quella personale.

A seguito dell’intervento legislativo ci si è interrogati sulla natura giuridica della confisca antimafia.

Prima tesi

Un primo orientamento giurisprudenziale ritiene che a seguito delle novità legislative la confisca antimafia abbia perso la natura di misura di sicurezza.

La ragione è che tale misura di prevenzione può essere applicata a prescindere dal requisito dell’attualità della pericolosità sociale.

La confisca, dunque, non svolge più una funzione di neutralizzazione, avendo assunto una finalità sanzionatoria tipica delle pene.

Corollario di tale impostazione è che alla confisca antimafia si applicano i principi successori scolpiti nell’art. 25 comma 2 Cost., in particolare il principio di irretroattività sfavorevole.

Seconda tesi

Un’altra parte della Cassazione sostiene che la confisca antimafia continui ad essere una misura di sicurezza, perchè la circostanza che la sua applicazione sia stata svincolata dal requisito dell’attualità della pericolosità non incide sulla natura giuridica.

La confisca antimafia, infatti, è ancora finalizzata a neutralizzare la pericolosità che deriva dalle modalità con cui il soggetto ha accumulato il capitale illecito.

La ratio della confisca è quella di evitare che il sistema economico legale venga alterato da accumuli di ricchezza illecita.

Sezioni Unite

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2015 ha aderito a quest’ultimo orientamento ed ha statuito che tale misura di prevenzione era e continua ad essere assimilabile ad una misura di sicurezza.

Le ragioni sono che:

  • il legislatore ha scisso le misure di prevenzione personale da quelle patrimoniali solo per motivi di economia e razionalizzazione processuale, senza che con ciò abbia voluto incidere sul profilo sostanziale e ontologico della misura
  • la pericolosità sociale continua ad essere presupposto necessario per l’applicazione della confisca antimafia.

La legge non richiede più l’attualità della pericolosità sociale, in quanto non è necessario che il destinatario della misura ablativa sia socialmente pericoloso al momento della sua applicazione.

La pericolosità sociale, però, resta un presupposto essenziale ai fini dell’irrogazione della misura patrimoniale, perché si deve accertare che il soggetto abbia acquistato i beni che si intendono confiscare in modo illecito.

E’ una pericolosità della res, insita – dicono testualmente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – nelle modalità con cui il soggetto è venuto nella disponibilità di quelle cose.

Sono le modalità illecite di accumulo che rendono la cosa e la disponibilità di essa pericolosa.

Dunque, la pericolosità sociale va accertata con riferimento al momento dell’acquisto del bene.

La Corte, inoltre, ha statuito che è fisiologico che il requisito dell’attualità della pericolosità del soggetto sia svincolato dalle misure dei prevenzione patrimoniali.

Se la res viene acquistata un modo illecito, la pericolosità  è permanente.

L’obiettivo della confisca è neutralizzare il rischio che il soggetto reimmetta i beni di provenienza illecita nel circuito economico sporcandolo, alterando la concorrenza.