Il procedimento in camera di consiglio ex art. 127 c.p.p.

L’art. 127 c.p.p. disciplina il c.d. rito camerale, delineando un modello valido per tutti i procedimenti che si svolgono in camera di consiglio.

La norma de qua svolge una duplice importante funzione: da un lato, realizza un’apprezzabile economia normativa, dispensando dal compito di predisporre per ogni singola ipotesi di procedimento camerale le relative forme; dall’altro, assicura il contraddittorio tra le parti e, più in generale, il diritto di difesa dei soggetti interessati.

Al riguardo si possono distinguere casi in cui, il rinvio a tale disciplina è integrale, da quelli rispetto ai quali, mercè l’espresso riferimento all’art. 127, la norma speciale introduce adattamenti talora piuttosto sensibili.

In particolare, la deviazione dal modello camerale si apprezza guardando al modo di realizzazione del contraddittorio. Si distingue il c.d. modello forte, che trova applicazione in relazione a quei procedimenti in cui è imposta la partecipazione necessaria del difensore della persona indagata o dell’imputato, nonché del Pubblico Ministero (es., v. udienza di incidente probatorio ex art. 401; udienza preliminare ex art. 420; udienze nei procedimenti di esecuzione; etc.); dal c.d. modello debole, in cui il contraddittorio assume una forma meramente cartolare (v. procedimento autorizzazione proroga del termine delle indagini ex art. 406 co. 4 o il procedimento mediante il quale la Corte di Cassazione decide i ricorsi quando sussistono i presupposti indicati nell’art. 611 c.p.p.).

Secondo quanto messo in risalto dal medesimo art. 127 c.p.p., il procedimento in esso delineato non deve essere sempre adottato ove il Giudice assuma una deliberazione in camera di consiglio. Ove la legge processuale preveda che la decisione debba essere emessa in “camera di consiglio” – secondo l’incipit del comma 1 dell’art. 127 c.p.p. –  e non sia diversamente stabilito, trovano applicazione per relationem la procedura tipica e le forme di base stabilite dalla predetta disposizione, mentre, qualora difetti tale indicazione normativa, ovvero la disposizione di specie stabilisca che il Giudice delibera “senza formalità” o faccia uso di analoghe perifrasi, rimane esclusa la necessità di ricorrere al rito partecipato (cfr. S.U. 28 maggio 2003, n. 26156). Si veda, ad esempio, il comma 9 del medesimo art. 127 c.p.p., laddove prevede l’adozione di un provvedimento anche senza formalità di procedura in ordine all’ammissibilità dell’atto introduttivo del procedimento, riferibile all’ipotesi in cui la causa d’inammissibilità emerga ictu oculi.

L’attuazione del contraddittorio nel rito camerale si realizza mediante l’osservanza dell’obbligo, a pena di nullità, di dare avviso alle parti private (nonché al Pubblico Ministero), alle altre persone interessate ed ai difensori, della data di fissazione dell’udienza. Avviso che va notificato almeno dieci giorni (da intendersi liberi) prima della suddetta data. Occorrerà, inoltre, procedere alla nomina di un difensore d’ufficio all’imputato che ne sia privo, mentre fino a cinque giorni prima dell’udienza è facoltà delle parti depositare memorie in cancelleria.

L’udienza camerale si svolge senza la presenza del pubblico. Di essa è redatto verbale, tanto in forma integrale, quanto in quella riassuntiva ai sensi dell’art. 134 comma 2 c.p.p.

Compiuti gli atti introduttivi e, quindi, accertata la regolare costituzione delle parti, nei procedimenti davanti ad organi collegiali la relazione orale è svolta da uno dei componenti il collegio, previa designazione del presidente.

Il Pubblico Ministero, gli altri destinatari dell’avviso e i difensori sono sentiti, a pena di nullità, se compaiono, onde si ricava che non è prescritta la partecipazione necessaria del Pubblico Ministero e del difensore della persona sottoposta alle indagini, dell’imputato o dell’interessato, eccettuati i soli casi, richiamati poc’anzi, ove trova attuazione il c.d. modello camerale forte. Di conseguenza, in caso di omesso avviso al difensore dell’udienza camerale, non si verte in un’ipotesi di nullità assoluta ex art. 179 c.p.p. che, quanto ai difensori, sono circoscritte ai casi in cui ne è obbligatoria la presenza. Essa deve perciò essere eccepita ai sensi dell’art. 182 (v. Cass. sez. VI, n. 3221/1992).

L’interessato detenuto o internato in luogo situato fuori dalla circoscrizione del Giudice che procede, se ne fa richiesta, deve, a pena di nullità, essere sentito prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo in cui è ristretto (art. 127, commi 3 e 5). Con riguardo al procedimento di riesame di una misura coercitiva, si noti però come la Corte Costituzionale ha ritenuto come la Legge non vieti al collegio giudicante di disporre la comparizione personale dell’imputato, se questi ne abbia fatto richiesta oppure se il Giudice competente lo ritenga ex officio opportuno.

Qualora invece l’imputato o il condannato, non detenuto, abbia fatto richiesta di essere sentito personalmente in udienza, e sussista un legittimo impedimento a comparire, l’udienza deve essere rinviata, a pena di nullità (art. 127, commi 4 e 5).

La forma del provvedimento finale è, generalmente, quella dell’ordinanza, ricorribile in Cassazione, che va comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti private, alle persone interessate ed ai loro difensori.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.