Questioni pregiudiziali e sospensione del processo penale

La giurisdizione penale può qualificarsi quale giurisdizione autosufficiente, posto che l’art. 2 comma 1 c.p.p. , al fine di perseguire la massima semplificazione nello svolgimento del processo, stabilisce il dovere del giudice penale di risolvere ogni questione che si ponga come antecedente logico-giuridico della decisione di cui è investito.

La decisione con cui viene risolta la questione logicamente prioritaria può avere natura civile, amministrativa o penale, ma la sua rilevanza è meramente incidentale, non esplicando alcuna efficacia vincolante in nessun altro processo.

Nell’inciso finale del comma 1 è, tuttavia, contenuta una clausola di salvezza (salvo che non sia diversamente stabilito), facendoci intendere come siano previste delle eccezioni alla suddetta regola.

Prescindendo dalla sospensione del processo penale per devoluzione di una questione di legittimità alla Corte Costituzionale e dalla pregiudiziale c.d. comunitaria, che implica un’investitura della Corte di Giustizia dell’Ue, le deroghe all’art. 2 c.p.p. vanno individuate in talune disposizioni del codice (artt. 3 e 479 c.p.p.), nei riguardi delle quali si è ritenuto opportuno consentire che sulla questione pregiudiziale intervenga una vera e propria decisione idonea a passare in giudicato, e non un mero accertamento incidenter tantum , suscettibile di essere contraddetto da ulteriori accertamenti di eventuale segno opposto.

L’art. 3 c.p.p., nel dettaglio, si occupa delle questioni pregiudiziali concernenti lo stato di famiglia o di cittadinanza, e dispone che in presenza di una questione rientrante in una di tali categorie, il giudice penale può sospendere il processo (n.d.r., la norma presuppone già avviata l’azione penale), allorchè ricorrano le tre seguenti condizioni:

  1. la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra la risoluzione della questione e la decisione sulla regiudicanda penale, che non si risolve in una semplice influenza o connessione probatoria, richiedendo invece la norma un nesso di interdipendenza assoluta tra due procedimenti, dove la risoluzione del primo costituisce premessa necessaria o essenziale per pervenire alla decisione dell’altro;
  2. la serietà della questione, ossia la sua non manifesta infondatezza;
  3. infine, occorre che sia già stata proposta l’azione a norma delle leggi civili (tale aggettivo, in tale contesto, va interpretato come indicante genericamente l’area non penale).

Se manca anche una sola delle tre suddette condizioni, il giudice deve decidere in via incidentale senza sospendere il processo. Al contrario, non vale invece l’opposta regola, atteso che anche in presenza di tutte e tre le richieste condizioni, sarà il giudice a stabilire, caso per caso, se sia preferibile o meno risolvere autonomamente la questione.

La sospensione va pronunciata dal giudice con ordinanza, ricorribile in Cassazione. L’impugnazione non ha effetto sulla sospensione e finchè essa dura, è ammesso soltanto il compimento di atti urgenti (art. 3, co. 3).

Alla sentenza irrevocabile intervenuta in sede extrapenale viene, inoltre, riconosciuta efficacia di giudicato, come parimenti avverrebbe – a prescindere dalla sospensione del processo – nel caso in cui tale decisione intervenga prima dell’esercizio dell’azione penale di cui processo.

La seconda ipotesi di sospensione del processo a causa di una questione pregiudiziale è invece regolata dall’art. 479 c.p.p., il quale ha riguardo a qualsiasi altra questione di competenza del giudice civile o amministrativo.

Forse sovrabbondante rilevare come la possibilità di sospensione del giudizio penale non può essere mai disposta nel caso di pregiudiziali penali, essendo obbligato in tale caso il giudice a decidere autonomamente.

A differenza dell’art. 3, l’art. 479 ha una portata applicativa molto più ristretta. Esso, innanzitutto, disciplina esclusivamente l’ipotesi di sospensione non del processo in generale, ma specificamente del dibattimento.

Si è comunque ritenuto che anche nel rito abbreviato sia possibile la sospensione ex art. 479, considerato che la sospensione non è finalizzata ad operare sul momento della acquisizione probatoria, ma su quello della decisione; infatti, dalla decisione pregiudiziale di altro giudice, il giudice penale attende alla possibilità di acquisire ulteriori elementi indispensabili al fine di pervenire ad una corretta soluzione (v. Cass. sez. V,  n. 13780/2002).

Quanto ai presupposti, occorre che:

  1. la risoluzione della questione condizioni la decisione sull’esistenza del reato ed è quindi irrilevante che essa riguardi altri elementi della regiudicanda, quale l’esistenza di una condizioni di punibilità o di un’aggravante (condizioni invece che rilevano per la sospensione ex art. 3);
  2. la questione, oltre ad essere seria, deve risultare di particolare complessità;
  3. deve, infine, essere già in corso il relativo procedimento presso il giudice civile o amministrativo e non vi devono essere limitazioni alla prova stabilite dalla legge civile o amministrativa sulla situazione soggettiva controversa (tale presupposto non è richiesto per la sospensione ex art. 3, posto che le questioni di famiglia o cittadinanza sono uniformate sotto il regime probatorio ai sensi dell’art. 193 c.p.p.).

Si noti che, in tema di reati di bancarotta, il giudice penale può disporre – al ricorrere delle condizioni prescritte – la sospensione del dibattimento ai sensi dell’art. 479 qualora sia in corso il procedimento civile per l’accertamento dello status di fallito (che costituisce, per l’appunto, elemento costitutivo dei predetti reati). Qualora tale sospensione non sia stata disposta dal giudice e si pervenga a una sentenza di condanna, resta sempre salva la facoltà del condannato di chiedere la revisione del processo ai sensi dell’art. 630 comma 1 lett. b), ove in sede civile non si siano ritenuti ricorrere i presupposti per la sentenza dichiarativa di fallimento e questa sia divenuta irrevocabile (S.U. n. 19601/2008).

Come nel caso dell’art. 3, la sospensione del dibattimento va disposta con ordinanza impugnabile in Cassazione. Si noti però, che l’ordinanza emessa in dibattimento, con la quale veniva rigettata la richiesta di sospensione, non è autonomamente impugnabile e deve essere impugnata insieme alla sentenza, secondo il generale principio fissato dall’art. 568 c.p.p., atteso che la possibilità di impugnare autonomamente la sospensione del dibattimento non è estensibile all’ipotesi in cui la sospensione sia stata rifiutata (Cass. sez. V, n. 6136/1998).

Il giudice ha, comunque, la facoltà di revocare, anche di ufficio, l’ordinanza di sospensione qualora il giudizio civile o amministrativo non sia concluso nel termine di un anno. In tal caso, è evidente, che il giudice penale si assumerà altresì l’onere di risolvere direttamente la questione.

Inoltre, la decisione intervenuta ad opera del giudice non penale non acquista valore vincolante nel processo penale, potendo il giudice anche disattenderla, con l’unico limite di doverne esporre in motivazione le ragioni.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.