Dei delitti contro l’ambiente: inquinamento e disastro ambientale

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una proliferazione di norme disciplinanti la materia ambientale, le quali – nonostante il tentativo di reductio ad unitatem a mezzo dell’emanazione del T.U. dell’ambiente – presentano i classici difetti di una legislazione emergenziale: spesso contraddittoria e di scarsa efficacia sostanziale.

Le sempre maggiormente diffuse istanze di salvaguardia dell’ambiente hanno allora portato, più di recente, all’emanazione della L. 22 maggio 2015, n. 68, la quale si pone la precipua finalità di “superare la pluralità di normative disorganiche sparse in diversi testi di legge che rendono estremamente difficoltosa la percezione di esse sia da parte del cittadino che da parte dell’interprete”, nonché di meglio adeguarsi al “continuo, inarrestabile sovraffollamento di direttive” comunitarie (c. Rel. di accompagnamento al D.d.L. n. 1345).

Il riferimento va, in particolare, alla direttiva europea n. 2008/99/CE, con la quale si è chiesto agli Stati di introdurre nei propri ordinamenti nuove fattispecie di reato a tutela dell’ambiente, posto che la tutela dell’ambiente costituisce uno degli obbiettivi essenziali dell’Unione europea (v. art. 2 e 6 TUE).

La riforma ha, in effetti, interessato due diverse aree di intervento, avendo apportato modifiche sia al d.lgs. n. 152/2006 (T.U. dell’ambiente), che al codice penale. Con riguardo a quest’ultimo, senz’altro significativa è l’introduzione di un nuovo titolo dedicato ai Delitti contro l’ambiente, collocato al numero VI bis e composto da 12 articoli (dal 452-bis al 452-terdecies).

Nel predetto titolo troviamo ben cinque nuove fattispecie delittuose:

  • Inquinamento ambientale (art. 452 bis c.p.);
  • Disastro ambientale (art. 452-quater c.p.);
  • Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (art. 452-sexies c.p.);
  • Omessa bonifica (art. 452-terdecies c.p.);
  • Impedimento del controllo (art. 452 septies c.p.).

Viene altresì prevista:

  • una forma di ravvedimento operoso per coloro che collaborano con le autorità prima della definizione del giudizio, ai quali è garantita un’attenuazione delle sanzioni previste (art. 452-decies c.p.);
  • l’obbligo per il condannato al ripristino dello stato dei luoghi ove possibile (art. 452-duodecies c.p.);
  • una specifica ipotesi di confisca obbligatoria, anche per equivalente (art. 452 undecies c.p.);
  • specifiche circostanze aggravanti (art. 452-octies c.p.);
  • la punibilità anche a titolo di colpa delle fattispecie di inquinamento ambientale e di disastro ambientale (art. 452-quinquies c.p.);
  • ed infine, una disciplina speciale rispetto a quella generale di cui all’art. 586 c.p., per il caso di morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale (art. 452 ter c.p.).

Fuori dal titolo VI bis, la riforma ha novellato altre norme che, riguardo ai delitti predetti, prevedono:

  • il raddoppio dei termini di prescrizione (art. 157 co. 6 c.p.);
  • l’applicabilità della pena accessoria che comporta l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32 quater c.p.);
  • l’applicabilità della disciplina in materia di responsabilità da reato degli enti (art. 25 undecies del d.lgs. 231/2001).

Quanto all’intervento riformatore avente ad oggetto il Testo unico sull’ambiente, ci limitiamo brevemente a segnalare l’aggiunta della nuova parte VI-bis, contenente la “disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale”. La novella introduce – esclusivamente per le contravvenzioni previste dal medesimo testo unico, e non anche per i delitti di nuovo conio – una particolare ipotesi di estinzione del reato, quando vengano correttamente eseguite le prescrizioni impartite dagli organi competenti.

Tornando alle modifiche interessanti il codice penale, i delitti di cui al neo-titolo VI-bis c.p. tutelano l’ambiente, inteso come quell’insieme di elementi naturali, animali o vegetali viventi e non viventi (flora, fauna, paesaggio) che si trovano in una zona determinata, che si influenzano a vicenda e che creano l’habitat di vita dell’uomo, garantendone l’integrità fisica e psichica.

Rilievo centrale nel nuovo assetto normativo hanno, senza dubbio, il delitto di inquinamento  ambientale, strutturato quale reato di danno e di pericolo concreto, ed il delitto di disastro ambientale, i quali procederemo adesso a descrivere più approfonditamente.

Il nuovo art. 452-bis c.p. (rubr. Inquinamento ambientale) punisce con la reclusione da due a sei anni “chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:

1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna”.

Il secondo comma prevede poi una circostanza aggravante comune “quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette”.

Viene, dunque, punito il cagionare una compromissione o un deterioramento delle matrici ambientali. Deve ritenersi che entrambe le espressioni segnalino un danneggiamento del bene che hanno ad oggetto . La compromissione pare evocare una situazione di strutturale e non provvisoria inabilità del bene rispetto alle sue funzioni, mentre il deterioramento è una modifica dell’ambiente qualitativamente inferiore al danneggiamento che rende il bene momentaneamente inutilizzabile o diversamente utilizzabile.

Il carattere della definitività del danno arrecato (o comunque della particolare difficoltà della sua rimozione) caratterizza l’ipotesi del disastro, il termine “compromissione” che compare nella formulazione dell’inquinamento, deve essere inteso in coordinamento con la figura più grave del disastro, per compromissione dovendosi intendere in sostanza ogni danneggiamento dell’ambiente che non abbia le caratteristiche connotanti l’evento come disastro.

Se quindi il confine superiore dell’inquinamento è segnato dal configurarsi del disastro, per definire quello inferiore – ai fini della rilevanza penale – è necessario considerare come la norma punisca la compromissione o il deterioramento a condizioni che essi siano “significativi e misurabili” (parametri, invero, indeterminati che lasciano ampia discrezionalità al Giudice).

I maggiori problemi interpretativi riguardano, tuttavia, l’oggetto materiale dell’evento di inquinamento ambientale. Nessun particolare problema presenta l’ipotesi in cui la compromissione abbia ad oggetto “le acque o l’aria, o porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo”. Più problematica, invece, si presenta l’ipotesi della compromissione o del deterioramento “di un ecosistema”, oltre che “della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna”.

L’assenza di una definizione normativa comporta la necessità per l’interprete di rifarsi alla comune accezione del termine, che tuttavia pone non pochi dubbi interpretativi, non tanto perché sia difficile definire in astratto un ecosistema, quanto piuttosto perché non è chiaro come esso debba discernersi rispetto agli elementi materiali indicati espressamente al primo comma (rectius: aria, acqua, suolo).

La norma delinea comunque un reato a forma libera, essendo punita ogni condotta cui sia eziologicamente riconducibile la verificazione dell’evento. Ne consegue che la fattispecie può essere realizzata anche da una condotta omissiva,  qualora sull’agente gravi un obbligo giuridico di impedimento del medesimo.

Quanto all’elemento soggettivo, è richiesto il dolo generico, in tutte le sue intensità, e dunque è sufficiente anche il dolo eventuale.

Invero, sarà proprio il dolo eventuale la forma di dolo che verosimilmente nella prassi ricorrerà più frequentemente, ove si consideri che difficilmente un soggetto agisce con il precipuo scopo di danneggiare l’ambiente, mentre sarà assai più frequente l’ipotesi in cui, si pensi – ad esempio – al contesto imprenditoriale/industriale, l’inquinamento sia una conseguenza prevista e messa in conto, anche se non intenzionalmente perseguita, da parte dell’agente.

Il legislatore all’art. 452-quinquies c.p. ha opportunamente disposto la punibilità dei fatti di inquinamento anche a titolo di colpa: per tali ipotesi la pena applicabile è quella prevista per la fattispecie dolosa, diminuita da un terzo a due terzi.

L’art. 452-ter c.p. (rubr. morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale) prevede anche uno speciale trattamento sanzionatorio – che si pone in rapporto di specialità con l’art. 586 c.p. -, qualora dalla compromissione ambientale costitutiva del delitto di inquinamento siano derivate le lesioni o la morte di una o più persone.

La dottrina ha manifestato alcuni dubbi in ordine all’opportunità della norma in questione. Innanzitutto, pare del tutto irragionevole la scelta di averne limitato l’applicabilità ai soli casi in cui la morte o le lesioni derivino da un fatto di inquinamento ambientale, e non da un fatto più grave di disastro.

Inoltre, in determinate ipotesi, la sua applicazione potrebbe condurre alla comminazione di pene meno severe di quelle che, in sua mancanza, sarebbero derivate secondo i principi generali dall’applicazione della norma sull’inquinamento in concorso con i reati di omicidio o lesioni colpose, aggravate ex art. 586 c.p.

L’art. 452 quater c.p. (rubr. Disastro ambientale) punisce, invece, con la reclusione da cinque a quindici anni chiunque “fuori dai casi previsti dall’articolo 434, abusivamente cagiona un disastro ambientale. Costituiscono disastro ambientale alternativamente:

1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;

2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;

3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo”.

In mancanza di una disposizione ad hoc, in verità, la giurisprudenza ormai da tempo aveva proceduto ad estendere l’ambito applicativo della fattispecie di disastro innominato di cui all’art. 434 c.p. sino a ricomprendervi tutte le ipotesi in cui una contaminazione ambientale avesse provocato un pericolo per l’incolumità pubblica. Tale interpretazione era, tuttavia, criticata dalla dottrina e dalla stessa Corte Costituzionale (cfr. C.Cost. n. 237/2008) che auspicava un’autonoma considerazione della fattispecie da parte del Legislatore, il quale ha accolto l’invito con l’introduzione del presente art. 452 quater.

La norma si apre con una clausola di sussiadierietà volta a chiarire i rapporti, appunto, tra la medesima e l’art. 434 c.p.

La formulazione della clausola si rivela, invero, quanto mai infelice; parrebbe, comunque, doversi ritenere che si applichi l’art. 452-quater qualora l’offesa alla pubblica incolumità sia stata determinata da una compromissione o alterazione dell’ambiente, mentre rimane applicabile l’art. 434 c.p. alle ipotesi in cui il pericolo sia derivato da altro evento che non abbia arrecato danni all’ambiente.

Emerge, quindi, che il nuovo delitto tutela l’ambiente e alternativamente anche la pubblica incolumità.

Trattasi, infatti, di reato di danno con evento alternativo: esso può, infatti, consistere o nell’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema o nell’alterazione di un ecosistema non irreversibile, ma eliminabile con eccezionali provvedimenti ed oneri economici, ovvero, infine, nell’offesa alla pubblica incolumità per la gravità del fatto.

Com’è facile notare, il legislatore fa dunque riferimento alla stabilità degli effetti dannosi cagionati ad un ecosistema, o alla particolare difficoltà del ripristino dello status quo ante. Evidente il difetto di precisione nella redazione della norma, specie se si ha riguardo alle formule linguistiche utilizzate per descrivere il secondo evento: se non è facile stabilire quando l’alterazione è “irreversibile”, ancora più arduo è decidere quando e rispetto a quali parametri l’eliminazione degli effetti risulti “particolarmente onerosa”, o che cosa si debba intendere per “provvedimenti eccezionali”.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, la norma presenta le medesime caratteristiche del delitto di inquinamento, cui pertanto rinviamo onde evitare di diventare sovrabbondanti e tediosi per i Nostri lettori.

Merita, a questo punto, rilevarsi come sia la norma sull’inquinamento, che quella sul disastro, puniscono chiunque abbia “abusivamente” cagionato uno degli eventi rispettivamente descritti in ciascuna delle due fattispecie.

Circa il significato da attribuire a tale avverbio, pare che sia anzitutto da escludere che la presenza di un’autorizzazione valga di per sé ad impedire che il disastro possa dirsi abusivamente cagionato: ove l’autorizzazione fosse stata concessa in violazione dei requisiti di legge, o addirittura emergesse che essa è il frutto di un patto corruttivo, nessun dubbio il giudice penale potrà ritenere l’attività abusiva, anche se formalmente autorizzata.

Il vero problema si pone nei casi in cui l’attività, oltre ad essere autorizzata, sia anche conforme alle prescrizioni normative, in quanto l’espressione è talmente generica, da poter essere agevolmente interpretata in senso ampio, come contrasto della condotta con le diverse norme di rango primario che a livello nazionale ed europeo individuano nell’ambiente un interesse fondamentale.

Giova, a conclusione della presente disamina, brevemente cennare al momento consumativo dei reati de quo, in cui l’evento tipico consiste in un fenomeno dai contorni temporali dilatati e poco nitidi.

Considerata la prossimità strutturale dei nuovi delitti rispetto a quello su cui si sono espressi di recente i giudici di legittimità (v. Cassazione nel caso Eternit), ci pare che tale conclusione debba essere tenuta in considerazione anche al fine della fissazione del momento consumativo dei reati di nuovo conio. Deve, pertanto, ritenersi che la fase consumativa si esaurisca con il cessare della condotta e non con gli effetti degli eventi causati dalla stessa.

Il Legislatore si dimostra, infatti, memore di tale vicenda, avendo previsto il raddoppio degli ordinari termini di prescrizione: la nuova fattispecie di disastro ambientale si prescrive in trent’anni.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.