Reato complesso, reato progressivo e progressione criminosa

Il reato complesso è disciplinato dall’art. 84 c.p., il quale dispone che ”le disposizioni degli articoli precedenti (riferendosi al concorso di reati) non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per sè stessi, reato”. Da ciò può desumersi che il reato complesso si configura allorché più fatti di reato, anziché mantenere la propria autonomia, si fondono in un unico reato, rispetto al quale si atteggiano a elementi costitutivi o circostanze aggravanti.
Si noti tuttavia che un reato autonomo può reputarsi conglobato nel reato complesso solo ove non superi i c.d. limiti di continenza: alla stregua del principio di proporzione cioè, un reato di disvalore elevato non può confluire in un reato meno grave (es. l’omicidio nella rapina), dovendosi in tali casi applicare il concorso di reati.
Un esempio di reato complesso è dato dal reato di rapina, nel quale mediante violenza o minaccia si persegue l’impossessamento della cosa mobile altrui; questa figura è formata dal furto e dalla violenza privata che si fondono in essa perdendo la propria autonomia. Ecco quindi che l’articolo 84 disvela la sua funzione, quella di scongiurare l’infrazione al principio del ne bis in idem, impedendo l’applicazione sia del cumulo materiale che di quello giuridico.
Perché sia configurabile la figura del reato complesso appare quindi evidente che occorra che uno dei reati, convergendo per volontà legislativa nell’altro quale elemento costitutivo o circostanza aggravante, perda la propria autonomia fondendosi in un solo reato (v. sul punto Cass. 7097/1981).
Nonostante la regola generale in materia di reato complesso sia quella della considerazione normativa unitaria dei singoli reali, alcune norme danno rilievo ai singoli reati: ad es. l’art. 131 c.p. prevede che nel caso in cui l’unione riguardi reati con differenti procedibilità, viene affidata prevalenza a quelli procedibili d’ufficio; o ancora l’art. 170 co. 2 disciplina l’incidenza sul reato complesso della cause di estinzione relative ai singoli illeciti.
Quanto alla configurabilità di un tentativo del reato complesso, i dubbi attengono più che altro nello stabilire quando possa incominciare a parlarsi di tentativo punibile.
Allorché venga realizzato uno dei reati componenti ma non l’intera fattispecie, in giurisprudenza si ammette possa parlarsi di tentativo di reato complesso, sempre che venga acclarata l’intenzione dell’agente di commettere l’intero reato. Stesso ragionamento parrebbe applicabile, alla luce della più recente giurisprudenza, anche nel caso in cui il medesimo reato componente si arresti alla soglia del tentativo (v. ad es. tentativo di rapina impropria).
Per quanto dalla lettera dell’articolo 84 si evince che l’unica figura di reato complesso sia esclusivamente quella formata da due reati, parte della dottrina sostiene che accanto a questa ne esistano altre due, ovvero il reato complesso in senso lato e il reato eventualmente complesso. Il primo sarebbe caratterizzato da una struttura composta da un reato con l’aggiunta di altri elementi di per sé non costituenti reato (es. violenza sessuale, reato costituito dal reato di violenza privata e dal compimento di atti sessuali di per sé irrilevanti se non indotti coattivamente).
Il reato eventualmente complesso si caratterizzerebbe invece per il fatto che un elemento particolare della fattispecie possa in alcuni casi – quindi non necessariamente – essere costituito da un altro reato. Questa ricostruzione, che pure talvolta ha incontrato l’approvazione di parte della giurisprudenza, è stata tuttavia criticata perché in contrasto con la formulazione letterale dell’art. 84. Risulta inoltre problematico ammettere che, fuori da una precisa volontà del legislatore, sia possibile individuare i necessari criteri per accertare i livelli di connessione temporale e teleologica necessari per poter ascrivere all’ambito dell’articolo 84 i rapporti eventuali tra due figure di reato.

Accanto ai reati necessariamente complessi, che rispondono a un fenomeno di unificazione normativa espressa, sussistono dei casi in cui due fattispecie incriminatrici, in concreto, entrino in rapporto di progressione di modo che la realizzazione di una fattispecie (più gravemente sanzionata) passi attraverso un’offesa intermedia.
Nelle situazioni in ultimo evocate si assiste a un fenomeno di unificazione legale implicita, denominata da parte della dottrina reato progressivo. Esso, in particolare, ricorrerebbe quando l’azione realizza una successione necessaria di lesioni via, via più gravi riguardanti lo stesso bene giuridico o un bene giuridico superiore e il medesimo soggetto passivo.
Si ponga mente alla commissione del delitto di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) preceduto dalla realizzazione del sequestro di persona (art. 605 c.p.). In siffatta ipotesi la consumazione del delitto più gravemente sanzionato può essere preceduta da un fatto meno grave che presenta rispetto al primo un nucleo di offensività comune, tale rendere logicamente omogenei i diversi livelli di lesione dell’interesse giuridico tutelato. In tali casi, quindi, il reato minore in tal caso resterà assorbito nel maggiore.
Il reato progressivo si differenzia dal reato complesso in quanto, a differenza di questo, nella descrizione della fattispecie non vi è alcuna menzione espressa del reato minore. Inoltre, la funzione tipica dell’istituto del reato progressivo, che giustifica l’assorbimento del reato minore in quello maggiore, è data dalla presenza di un’offesa di gravità crescente ad un medesimo bene giuridico e non dall’unificazione di due reati autonomi in un’unitaria figura di reato espressamente voluta dal Legislatore.

Dal reato progressivo è, a sua volta, possibile distinguere il concetto di elaborazione dottrinale di progressione criminosa, il quale indica un’escalation criminale da un reato meno grave ad uno più grave o da un minor numero di reati ad uno maggiore o, ancora, da un accordo criminoso o dalla costituzione di un’associazione criminosa alla realizzazione di reati specifici.
Essa delinea quindi il passaggio contestuale, determinato da risoluzioni successive, da un fatto corrispondente a una fattispecie legale ad un fatto corrispondente ad una fattispecie più grave. Tale progressione fungerebbe quindi, al pari del reato progressivo, da criterio risolutivo del concorso apparente di norme.
Nella progressione criminosa, difettando l’unità naturalistica del fatto, l’offesa di gravità crescente si colloca quindi in un rapporto tra fattispecie concrete. Mentre poi nel reato progressivo si registra un’unica risoluzione criminosa, nella progressione criminosa invece si registrano risoluzioni successive.
Quanto al fondamento giuridico che giustifica la soggezione al regime del concorso apparente di norme in casi di progressione criminosa, non vi è unità di vedute. Tra chi ravvisa tale fondamento nel principio di consunzione o di sussidiarietà, vi è anche chi fa ricorso al principio di analogia iuris rispetto al generale istituto del concorso apparente o del reato progressivo. Non manca infine chi ravvisa nell’istituto della progressione criminosa un’arbitraria formulazione della dottrina, funzionalmente concepita per evitare il rigore del cumulo materiale e che non avrebbe alcun fondamento nel diritto positivo.

Tanto dal reato progressivo che dalla progressione criminosa si distinguono, infine, gli istituti dell’ante factum e del post factum non punibili, i quali designano i fatti astrattamente corrispondenti a figure criminose che tuttavia, secondo l’id quod plerumque accidit, rispettivamente precedono un reato più grave quali normali mezzi per la sua esecuzione, ovvero ne costituiscono l’ordinaria prosecuzione, come consolidamento del risultato illecito o realizzazione dello scopo.
Ciò che caratterizza tali istituto è il rapporto di mezzo a fine con cui si pongono rispetto al reato principale.Il fondamento della non punibilità di tali fatti discenderebbe dunque dal principio di sussidiarietà o di consunzione, in base a criteri sostanziali di giustizia per il quali è inutile punire un fatto che si pone come normale premessa del fatto principale o il suo normale sbocco, sicché può affermarsi che il suo disvalore sia già incluso nel disvalore del fatto principale.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.