Reddito di cittadinanza e fattispecie di reato (art. 7 D.L. 4/19)

Il D.L. 8 gennaio 2019, n. 4 (convertito con modificazioni nella L. 28 marzo 2019, n. 26), oltre ad istituire nel nostro ordinamento un nuova misura di politica attiva del lavoro, denominata reddito di cittadinanza, ha introdotto – all’art. 7 – anche due nuove fattispecie di reato ad hoc.

In particolare, il menzionato art. 7 del D.L. 4/2019 prevede due ipotesi di reato proprio. Nonostante il riferimento testuale a “chiunque”, entrambi i reati possono infatti essere consumati solo da chi, per mezzo di istanza, abbia avviato il procedimento per l’erogazione del reddito di cittadinanza.

Il delitto di cui al comma 1 è una norma a più fattispecie, che punisce con la pena della reclusione da due a sei anni la condotta di chi «al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute».

Trattasi di reato sussidiario, in vista della clausola «Salvo che il fatto costituisca più grave reato». La clausola di riserva evoca immediatamente il delitto previsto dall’art. 640-bis c.p., rubricato “Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche”, che punisce le truffe che riguardano contributi, finanziamenti, mutui agevolati e più in generale erogazioni da parte dello Stato, enti pubblici o delle Comunità Europee, e che è senz’altro reato più grave, essendo sanzionato con la reclusione fino a sette anni.

Entrambi i delitti sono a condotta vincolata, ma mentre per l’integrazione della truffa occorre che gli artifici o raggiri abbiano indotto in errore il soggetto passivo, il nuovo art. 7 incrimina il solo rendere o utilizzare dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o l’omissione di  informazioni dovute, se poste in essere con la finalità tipizzata, indipendentemente dal fatto che il soggetto passivo sia indotto o meno in errore.

Rispetto alla truffa aggravata, il nuovo art. 7 del D.L. 4/19 realizza però un’anticipazione di tutela, configurando una fattispecie di pericolo che si consuma con l’utilizzazione di dichiarazioni o documenti mendaci, anche sotto forma di omissione. Infatti, non è richiesta la sussistenza di un danno derivante dall’erogazione della misura. Dal punto di vista soggettivo, la condotta deve inoltre essere sorretta dal dolo specifico: ciò permette di ritenere, di fatto, che il soggetto attivo del reato possa essere solo colui che non abbia diritto al conseguimento del beneficio. Quanto si sostiene risulta, peraltro, in linea con la lettera della disposizione che incrimina il soggetto che persegua il fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito di cittadinanza.

Diversa è la ricostruzione del delitto previsto al comma 2, che punisce con la reclusione da uno a tre anni «l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio». Anche in questo caso, viene tipizzato un reato di pericolo, stavolta a dolo generico, per punire qualsivoglia condotta di mancato aggiornamento dei propri parametri reddituali entro il termine di quindici giorni dalla variazione ai sensi dell’art. 3, comma 11 del d.l. in commento.

Questo reato meno grave presuppone il godimento e la legittima concessione del beneficio – anche in ordine alla misura − in base a documenti e requisiti regolari. E punisce soltanto le omissioni di informazioni in corso di godimento e che incidono quindi sulle condizioni di mantenimento del beneficio; anche soltanto in relazione al quantum.

Questa constatazione permette di ricomprendere nell’area del penalmente rilevante, in sede di applicazione, ogni mancata comunicazione di variazione patrimoniale da parte dell’interessato, fermo restando la valutazione del carattere lieve dell’offesa eventualmente riscontrata in concreto, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p.; istituto quest’ultimo inapplicabile per l’ipotesi di delitto di cui al comma 1, punito nel massimo con la pena della reclusione superiore a cinque anni.

La differenza strutturale tra le due fattispecie di cui all’art. 7 D.L. 4/2019 è dunque evidente rispetto alla condotta, che si colloca in due momenti differenti del procedimento, nonché alla fondamentale previsione del dolo specifico unicamente per il delitto di cui al primo comma. Le due fattispecie sono, in questo senso, in rapporto di specialità bilaterale, considerazione sufficiente a escludere un possibile concorso di reati. Inoltre, in maniera del tutto illogica, si finirebbe per introdurre un dovere di informazione a un soggetto che ha violato un siffatto dovere già per la percezione del beneficio.

A completamento, il comma 3 dell’art. 7 prevede che in caso di condanna definitiva per i due reati di cui ai commi precedenti e per quello di cui all’articolo 640-bis c.p., anche in caso di definizione con cd. patteggiamento, consegua di diritto l’immediata revoca del beneficio, con efficacia retroattiva, con obbligo per il beneficiario di restituire quanto indebitamente percepito e divieto di accedere al beneficio prima che siano decorsi dieci anni dalla condanna.

Reddito di cittadinanza: le prime pronunce giurisprudenziali in ordine ai neo reati ex D.L. 4/19

Con la sentenza N. 5290 del 25 ottobre 2019, la Corte di Cassazione ha sancito il principio di diritto secondo cui «ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, il sequestro preventivo della carta reddito di cittadinanza, nel caso di false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, da parte del richiedente il reddito di cittadinanza, può essere disposto anche indipendentemente dall’accerta­mento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio».

Pur essendo incentrata sulla corretta applicazione della misura cautelare, la pronuncia dei giudici della legittimità si sofferma sui profili sostanziali delle fattispecie incriminatrici introdotte dal legislatore a presidio della corretta erogazione del reddito di cittadinanza, individuandone la ratio e fornendo elementi utili per il corretto inquadramento delle medesime.

La Corte di Cassazione ha confermato che entrambe le fattispecie si configurano come reati di condotta e di pericolo, in quanto dirette a tutelare l’amministrazione contro dichiarazioni mendaci e omissioni circa l’effettiva situazione patrimoniale e reddituale da parte di soggetti che intendono accedere o già hanno acceduto al reddito di cittadinanza.

«Si tratta», afferma la Corte, «di una disciplina correlata, nel suo complesso, al generale “principio antielusivo” che … s’incardina sulla capacità contributiva ai sensi dell’art. 53 Costituzione, la cui ratio risponde al più generale principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost; per cui, la punibilità del reato di condotta si rapporta, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico».  Così individuata la ratio delle due fattispecie incriminatrici dell’art. 7 del D.L. n. 4/19, «deve ritenersi che le stesse trovino applicazione indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio e, in particolare, del superamento delle soglie di legge». (…)

Tale interpretazione è stata però superata, con un taglio restrittivo e decisamente più aderente al dato testuale, dalla più recente sentenza n. 44366 del 30 novembre 2021, nella quale la Suprema Corte ha affermato che il reato sussiste solo quando la condotta ha il fine di ottenere il beneficio senza averne il diritto.

In tale pronuncia, la Corte spiega di non concordare con il precedente giurisprudenziale prima accennato, affermando come appaia «più in linea con i principi di ordine costituzionale in tema di necessaria offensività del reato il ritenere che con l’espressione “al fine di ottenere indebitamente il beneficio…” il legislatore abbia inteso tipizzare in termini di concretezza il pericolo che potrebbe derivare dalla falsità ovvero dalla omissività delle dichiarazioni presentate per il conseguimento del reddito di cittadinanza, nel senso che la loro rilevanza penale sarà sussistente nei soli casi in cui intenzione dell’agente era il conseguire, attraverso di esse, un beneficio diversamente non dovuto»

 

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Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.