La riduzione della metà della pena in caso si proceda in abbreviato per contravvenzione è retroattiva

L’art. 442 comma 2 c.p.p. (come novellato dalla L. 103 del 2017), nella parte in cui prevede che, in caso di condanna, la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato sia della metà, anziché di un terzo, ove si proceda per una contravvenzione, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti di sicuro rilievo sostanziale, “disciplinando la severità della pena da infliggere in caso di condanna secondo il rito abbreviato”.

Ragion per cui esso “deve soggiacere al principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7, p. 1, CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, vale a dire irretroattività della previsione più severa (principio già contenuto nell’art. 25, comma secondo, Cost.), ma anche, e implicitamente, retroattività o ultrattività della previsione meno severa”, con conseguente applicabilità dell’art. 2 comma 4 c.p.p., dovendo la riduzione della metà applicarsi  anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.

É quanto affermato dalla Quarta Sezione della Corte di Cassazione con sentenza n. 832 del 11 gennaio 2018, che ha annullato senza rinvio il provvedimento impugnato, rideterminando la pena irrogata all’imputato applicando la nuova diminuente premiale connessa alla scelta del rito, utilizzando la stessa quantificazione della pena base già effettuato dal giudice del merito.

Di seguito il testo integrale della sentenza qui annotata.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 
SEZIONE QUARTA PENALE
Sentenza 11 gennaio 2018, n. 832

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele – Presidente –

Dott. TORNESI Daniela Rita – Consigliere –

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –

Dott. CENCI Daniele – Consigliere –

Dott. PICARDI Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.P.D., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 03/04/2017 della CORTE APPELLO di ANCONA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCA PICARDI;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIELLA DE MASELLIS;

Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento senza rinvio relativo al punto n. 4 della sentenza impugnata, inammissibilità nel resto;

E’ presente l’avvocato CURZI GIACOMO del foro di ANCONA in difesa di D.P.D. che insiste per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza emessa all’udienza del 3 aprile 2017 e depositata in data 8 maggio 2017, nel termine ex art. 544 c.p.p., comma 3, ha confermato la sentenza di primo grado con cui D.P.D. è stato dichiarato responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 187, commi 1 e 1 bis, perchè in data 22 dicembre 2012 conduceva l’autoveicolo Fiat 600 tg. (OMISSIS) in stato di alterazione psico-fisica dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti (accertamento tramite prelievo ematico: positività agli oppiacei di 268 mg/1), provocando un sinistro stradale.

Avverso tale sentenza in data 15 settembre 2017 ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia denunciando, con i primi due motivi, l’inosservanza e/o erronea applicazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 187, commi 1 e 1 bis, la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione anche sotto il profilo dell’oltre ogni ragionevole dubbio e del travisamento della prova, l’inosservanza delle norme stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, inammissibilità e decadenza, in particolare dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 111 Cost., (in particolare si è dedotta la carenza della motivazione fondata solo sull’accertamento tossicologico e non anche su altri elementi obiettivi esterni, l’inidoneità della motivazione per relationem, effettuata tramite mero rinvio alla decisione di primo grado ed all’annotazione della polizia giudiziaria, priva di risposta alle specifiche censure di appello; l’insufficienza del test cd. di screening in assenza di analisi di conferma, in considerazione peraltro del contrasto del risultato delle analisi su sangue e urine); con l’ultimo motivo, la retroattività dell’art. 442 c.p.p., comma 3, nella nuova formulazione introdotta dalla L. n. 103 del 2017, e la necessità, conseguentemente, di una maggiore riduzione della pena in conseguenza del rito prescelto.

Motivi della decisione

1. I primi motivi di ricorso non meritano accoglimento, atteso che la motivazione della decisione di secondo grado, che, in caso di doppia conforme, è integrata da quella di primo grado, risulta esaustiva, priva di contraddizioni intrinseche e/o estrinseche e non manifestamente illogica (Sez. 6, n. 17 del 15/01/1971 ud., dep. 11/03/1971, rv. 117088).

Deve, peraltro, sottolinearsi che, ai fini della configurabilità della contravvenzione di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, lo stato di alterazione del conducente dell’auto non deve essere necessariamente accertato attraverso l’espletamento di una specifica analisi medica, ben potendo il giudice desumerla dagli accertamenti biologici dimostrativi dell’avvenuta precedente assunzione dello stupefacente, unitamente all’apprezzamento delle deposizioni raccolte e del contesto in cui il fatto si è verificato (Sez. 4, n. 43486 del 13/06/2017 ud., dep. 21/09/2017, rv. 270929), come avvenuto, nel caso di specie, in cui dallo stesso ricorso si evince che l’accertamento dei giudici di merito si è fondato 1) sugli accertamenti clinici e 2) sugli elementi sintomatici riscontrati nell’imputato e descritti nel verbale di polizia giudiziaria (loquacità rallentata, gli occhi lucidi ed il volto con epiderminde arrossata).

A ciò si aggiunga che in caso di cd. “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, ud., dep. 20/02/2017, rv. 269217). Nel caso di specie, non ricorre tale situazione.

Dalla sentenza di appello emerge, inoltre, che nel giudizio di secondo grado il ricorrente ha lamentato “la fallace valutazione del fatto e specificamente della dinamica dell’incidente stradale nonchè dell’esito degli accertamenti tossicologici”, ritenuto riconducibile all’assunzione del farmaco Co-Efferalgan, aspetti sui cui si sofferma il giudice di secondo grado: non ha, dunque, posto alcune delle doglianze sollevate in questa sede e su cui denuncia l’omessa risposta del giudice di secondo grado (quali assenza del test di conferma, contrasto tra esame del sangue e delle urine). In proposito va ricordato che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perchè non devolute alla sua cognizione (Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017 ud., dep. 04/04/2017, rv. 269632; v. anche Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012 ud., dep. 07/03/2013, rv. 256631, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 3, e art. 609 c.p.p., comma 2, – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello – trova la sua ratio nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perchè non segnalato con i motivi di gravame).

Infine, la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione;

3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000 ud., dep. 21/09/2000, rv. 216664).

2. Merita, invece, accoglimento l’ultimo motivo, atteso che, come precisato in motivazione da Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013 Cc., dep. 07/05/2014, rv., l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, “disciplinando la severità della pena da infliggere in caso di condanna secondo il rito abbreviato”, per cui “deve soggiacere al principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7, p. 1, CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, vale a dire irretroattività della previsione più severa (principio già contenuto nell’art. 25, comma secondo, Cost.), ma anche, e implicitamente, retroattività o ultrattività della previsione meno severa”.

In proposito va sottolineato che, sebbene l’art. 442 c.p.p., si inserisca nell’ambito della disciplina processuale e non di quella sostanziale e preveda, in modo peculiare, un più favorevole trattamento penale in considerazione di una condotta dell’imputato successiva al reato, da un lato, la diminuzione o sostituzione della pena è senz’altro un aspetto sostanziale, che ricade, dunque, nell’ambito applicativo dell’art. 25 Cost., comma 2, sicchè ne consegue che i profili processuali sono intimamente ed inscindibilmente connessi a quelli sostanziali (così in motivazione già Sez. U, n. 2977 del 06/03/1992 ud., dep. 17/03/1992, rv. 189399, secondo cui la sentenza della Corte Costituzionale n. 176 del 23 aprile 1991, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 442 c.p.p., comma 2, nella parte in cui ammetteva al giudizio abbreviato l’imputato cui fosse addebitato un reato punibile con l’ergastolo, non può determinare effetti svantaggiosi per gli imputati di reati punibili con l’ergastolo che abbiano richiesto il giudizio abbreviato prima della dichiarazione dell’illegittimità costituzionale del detto art. 442 c.p.p., comma 2: per questi imputati deve rimanere fermo il trattamento penale di favore di cui hanno goduto in collegamento con il procedimento speciale i cui atti di conseguenza non possono essere annullati). In definitiva, è ormai acquisito nel nostro sistema giuridico il principio secondo cui il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziali ed è, dunque, soggetto alla complessiva disciplina di cui all’art. 2 c.p., pur restando tuttora confermato che la riduzione di pena prevista dall’art. 442 c.p.p., comma 2, essendo finalizzata alla produzione di effetti puramente premiali in funzione di una specifica scelta processuale operata dall’imputato, va applicata per ultima, sulla pena quantificata dal giudice, comprensiva anche dell’eventuale aumento per la ritenuta continuazione (Sez. 6, n. 9622 del 10/09/1992 ud., dep. 02/10/1992, rv. 191857), e che, comunque, la necessaria retroattività della disposizione più favorevole, affermata dalla sentenza CEDU del 17 settembre 2009 nel caso Scoppola contro Italia, non è applicabile in relazione alla disciplina dettata da norme processuali. Così, riguardo a tale ultima questione, Sez. 1, n. 8350 del 27/11/2013 Cc., dep. 21/02/2014, rv. 259543, ha ritenuto inammissibile il ricorso avverso il rigetto dell’istanza tesa ad ottenere, in sede esecutiva, la riduzione di pena ex art. 442 c.p.p., in favore del condannato a pena detentiva diversa dall’ergastolo al quale era stato negato l’accesso al rito abbreviato per mancato consenso del pubblico ministero, in epoca precedente alla sostituzione del testo dell’art. 438 c.p.p., per effetto della L. 16 dicembre 1999, n. 479, in quanto la natura sostanziale della diminuente premiale per il rito abbreviato, predicata dalla CEDU nella sentenza in data 17 settembre 2009 (caso Scoppola c. Italia), non implica la trasformazione della natura processuale di tutta la restante normativa concernente i presupposti, i termini e le modalità di accesso al rito, aspetti rimessi alla scelta del legislatore nazionale e non immutati dalla giurisprudenza comunitaria (Sez. 1, n. 48747 del 04/12/2012 Cc., dep. 17/12/2012, rv. 254524).

In conclusione, il motivo in esame va accolto, in quanto la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato, incidendo sul trattamento sanzionatorio concreto, ha ricadute necessariamente sostanziali, la cui natura non muta nonostante siano collegate non all’illecito penale in sè, ma ad un comportamento successivo, consistente nell’esercizio di una facoltà processuale. Pertanto, l’art. 442 c.p.p., comma 2, come novellato dalla L. n. 103 del 2017, nella parte in cui prevede che, in caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anzichè di un terzo, se si procede per una contravvenzione, pur essendo disposizione processuale, comporta un trattamento sostanziale sanzionatorio più favorevole e si applica come stabilisce l’art. 2 c.p., comma 4, anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.

Si deve, dunque, procedere alla rideterminazione della pena in 9 mesi di arresto ed Euro 2250 di ammenda – rideterminazione che può avvenire automaticamente in base alla statuizione del giudice di merito, non comportando il relativo calcolo alcun profilo di discrezionalità, ma derivando direttamente dall’applicazione dei nuovi criteri legali collegati alla scelta del rito in considerazione della quantificazione già effettuata dal giudice di merito.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla misura della pena, che ridetermina in mesi 9 di arresto ed Euro 2250,00 di ammenda; rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2018

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.