Rifiuto e omissione atti d’ufficio – Art. 328 c.p.

L’art. 328 c.p. punisce il reato di rifiuto o di omissione atti d’ufficio, con queste parole:

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa”.

Il bene tutelato dalla norma testè integralmente riportata, è quello del regolare funzionamento della P.A.

L’art. 328 contiene, invero, due fattispecie di reato autonome. Mentre la prima si ritiene essere monoffensiva, quella di cui al secondo comma avrebbe natura invece plurioffensiva, poiché lederebbe anche l’interesse del privato al compimento dell’atto omesso.

Entrambi vanno comunque qualificati come reati di pericolo e di reato omissivo improprio, dato che puniscono una condotta consistente in un semplice non fare, prescindendo completamente dalla causazione di un evento di danno naturalisticamente inteso.

Venendo alla condotta, il comma 1 penalizza il rifiuto indebito e ingiustificato, che può essere espresso in qualunque forma, sia scritta che orale. La connotazione indebita, secondo la giurisprudenza, sussiste quando risulti che il soggetto non abbia esercitato alcuna discrezionalità tecnica, ma si sia semplicemente sottratto alla valutazione d’urgenza dell’atto del suo ufficio.

L’atto d’ufficio rifiutato deve essere inoltre qualificato, cioè deve trattarsi di quegli atti che vanno compiuti senza ritardo per specifiche ragioni di giustizia, sanità, sicurezza. Si tratta, quindi, di atti urgenti, la cui rilevanza è limitata a tassative ragioni d’urgenza di compiere l’atto tra cui rientrano ad esempio i sequestri obbligatori amministrativi, la confisca amministrativa, gli ordini di distruzione degli immobili abusivi, gli ordini di scioglimento delle manifestazioni vietate, la sospensione e la revoca della patente di guida, gli ordini di non circolare su determinate strade, etc.

In ogni caso, rilevano solo gli atti esterni e quelli a rilevanza esterna, non invece gli atti interni cosiddetti organizzativi.

Il reato dunque si consuma quando l’inerzia ha compromesso l’adozione efficace dell’atto urgente. In merito all’urgenza, parte della dottrina ritiene che occorra distinguere tra termine perentorio in cui si ha una vera e propria omissione e termine ordinatorio in cui si avrebbe mero ritardo, in quanto l’atto può essere ancora compiuto e può esplicare i suoi effetti tipici.

Il comma 2 penalizza invece l’omissione di atti d’ufficio. A tale fine è necessario che venga posto in essere un meccanismo di messa in mora, ovvero una richiesta scritta da parte del privato da cui decorre il termine per l’adozione dell’atto o di una risposta che comunque espliciti le ragioni del ritardo. È necessario, inoltre, che alla richiesta consegua un obbligo di avvio del procedimento, ai fini della configurabilità della norma, non potendosi postulare la debenza dell’atto su mera prospettazione del privato.

L’interesse del privato deve inoltre essere qualificato e coiè essere un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata.

Tra i problemi di maggior rilievo attinenti alla fattispecie di omissione atti di ufficio, va senz’altro segnalato quello relativo ai rapporti intercorrenti tra il termini di cui al comma 2 e quelli previsti per la definizione del procedimento amministrativo. Secondo la tesi preferibile, i due termini vanno tenuti distinti, sicchè il reato si integra solo se spirato il termine “amministrativo”, il privato abbia messo in mora la P.A. con successivo atto di diffida, rimasto anch’esso senza riscontro.

I delitti di cui al presente articolo non sono configurabili nella forma tentata, e si consumano istantaneamente nel momento in cui si ha la violazione descritta.

Sono punibili a titolo di dolo generico e possono concorrere con altri reati, quale ad es. il delitto corruzione.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.