Riforma Cartabia, processo penale: Le deleghe al Governo

Probabilmente distratta dalle novelle in tema di prescrizione del reato e di improcedibilità dell’azione penale ex art. 344-bis c.p.p., l’opinione pubblica sembra aver riservato minor attenzione alla vastità degli interventi previsti dalla c.d. Riforma Cartabia e che il Governo è chiamato ad attuare, secondo i criteri e i principi contemplati nella L. 27 settembre 2021, n. 134, «Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari» (G.U. n. 237 del 4 ottobre 2021).  Certo, per una analisi compiuta, occorrerà attendere la loro attuazione. Ma già dalla sua lettura, è possibile comprendere la vastità degli interventi riformatori voluti dal Legislatore della delega.

La legge si compone di due soli articoli (ciascuno, sotto-articolato in numerosi commi). Mentre il secondo comma prevede novelle immediatamente precettive (che abbiamo ripercorso in questo articolo), al primo comma – cuore pulsante della Riforma – si rinvengono i criteri che dovranno sovrintendere ai vasti interventi riformatori ivi previsti, che toccano trasversalmente tutto il processo penale: dalla fase delle indagini al giudizio di legittimità, toccando istituti chiave del sistema sanzionatorio, anche in tema di giustizia ripartiva.

L’intento perseguito dalla Riforma Cartabia è evidente, è praticamente “urlato” in ciascun comma di cui si compone l’articolo 1: deflazione del carico di lavoro pendente presso i Tribunali e le Corte italiane, assicurando la ragionevole durata del processo; il tutto senza rinunciare o comprimere le garanzia riconosciute all’accusato.

Il processo penale telematico 

I procedimenti penali, com’è noto, prendono corpo ancora oggi in fascicoli cartacei, che transitano fisicamente da un ufficio all’altro, durante l’iter processuale.

Tappa essenziale per l’efficientamento della procedura è stata per ciò correttamente individuata nella necessaria digitalizzazione degli atti ed informatizzazione delle procedure.

Sul punto, la legge delega affida al Governo l’attuazione di quegli interventi normativi di adeguamento del codice di rito necessari alla transizione digitale della giustizia, mediante l’individuazione una serie di principi e criteri direttivi, quali la formazione e conservazione degli atti e documenti processuali in formato digitale, nonché modalità telematiche per il deposito di atti e documenti, per le comunicazioni e per le notificazioni, in ogni stato e grado del procedimento (art. 1, co. 5).

Notificazioni 

Un secondo ambito di intervento, anch’esso ispirato da una logica di innovazione tecnologica, riguarda le notificazioni. L’ammodernamento della disciplina delle notificazioni prevede, innanzitutto, l’obbligo per l’imputato non detenuto, fin dal primo contatto con l’autorità procedente, di indicare anche i recapiti telefonici e telematici di cui ha la disponibilità, con facoltà di dichiarare domicilio ai fini delle notificazioni anche presso un proprio idoneo recapito telematico. Si prevede poi che tutte le notifiche all’imputato non detenuto, successive alla prima, diverse da quella con cui è stato citato a giudizio, siano di norma eseguite mediante consegna al difensore, anche attraverso posta elettronica certificata (art. 1, co. 6).

Indagini preliminari 

Una serie di criteri di delega riguarda la disciplina dei termini di durata delle indagini preliminari (art. 1, co. 9, lett. c-h) .

I termini ordinari di cui all’art. 405 c.p.p. restano immutati per i procedimenti relativi alle contravvenzioni (sei mesi), mentre vengono aumentati in relazione ai delitti: il termine attuale di sei mesi diventa di un anno; il più lungo termine di un anno e mezzo, relativo ai delitti di cui all’art. 407, co. 2 lett a) c.p.p., viene esteso a tutte le ipotesi di cui all’art. 407, co. 2 c.p.p.

Di contro, si prevede una più stringente disciplina in tema di proroga dei termini stessi. Il Governo è delegato infatti a prevedere una sola proroga, disposta dal G.I.P. su richiesta del P.M., per un tempo non superiore a sei mesi, quando sia giustificata dalla complessità delle indagini. Quanto ai termini massimi di durata delle indagini, quelli relativi ai procedimenti per le contravvenzioni vengono ridotti da diciotto mesi a un anno.

Altra novità di rilievo è data dalla previsione di un inedito intervento del G.I.P. volto a sollecitare le determinazioni del P.M. che dopo lo scadere del termine di durata delle indagini, eventualmente prorogato, non assuma le determinazioni relative all’esercizio o meno dell’azione penale. Analogo meccanismo è previsto in caso di stasi del procedimento successiva alla notificazione dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p.

Il mancato rispetto dei termini massimi di durata delle indagini obbligherà il P.M., grazie all’intervento del giudice, a decidere in un senso o nell’altro, consentendo all’indagato e alla persona offesa di conoscere gli atti d’indagine e di esercitare la propria difesa.

Sono introdotte ulteriori connesse garanzie in ordine alla disciplina dei registri delle notizie di reato: il G.I.P. potrà ordinare l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., quando il reato è da attribuire a persona individuata e il P.M. ancora non vi abbia provveduto. Ancora, si introduce un controllo del G.I.P. sulla tempestività dell’iscrizione nel registro degli indagati, che determina il dies a quo dei termini di durata delle indagini, con correlato potere di retrodatazione in caso di “ingiustificato e inequivocabile ritardo” nell’iscrizione.

Si prevede infine, a garanzia dell’indagato e in ossequio al principio di non colpevolezza, che la mera iscrizione nel registro delle notizie di reato non possa determinare effetti pregiudizievoli sul piano civile e amministrativo. Criteri più stringenti, infine, dovranno essere introdotti per la riapertura delle indagini di cui all’art. 414 c.p.p.

Di particolare rilievo sistematico è poi il criterio di delega  che prevede la modifica della regola di giudizio per la presentazione della richiesta di archiviazione: il P.M. deve chiedere l’archiviazionequando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna” (art. 1, co. 9, lett. a). Questa regola si sostituirà a quella attuale (artt. 408 c.p.p. e 125 disp. att. c.p.p.), che fa invece perno sulla inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio. Ciò al fine di rendere più rigoroso il filtro all’esito delle indagini preliminari ed evitare che procedimenti poco istruiti in fase d’indagine possano essere infruttuosamente avviati alla fase processuale. In tal senso l’elevata percentuale delle assoluzioni in primo grado rappresenta un spia di allarme, in termini di inefficienza del sistema, che il legislatore non ha potuto ignorare.

Un’importante previsione, destinata a incidere sull’organizzazione del lavoro delle Procure, riguarda infine i criteri di priorità nella trattazione delle indagini. Il Governo è delegato a prevedere che gli uffici del P.M. individuino criteri di priorità, trasparenti e predeterminati, che selezionino le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre. La procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle Procure viene allineata a quella delle tabelle degli uffici giudicanti, prevedendo quindi un intervento del CSM.

Udienza preliminare 

Si è già accennato alla presa d’atto del legislatore della criticità dell’udienza preliminare nel sistema processuale, e della rilevata scarsa capacità di filtro con notevole incidenza negativa su tempi complessivi del processo. Per questo, il legislatore della delega obbliga, altresì, il Governo ad estendere il catalogo dei procedimenti con citazione diretta davanti al tribunale in composizione monocratica, individuandoli tra quelli per delitti puniti con pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni (anziché gli attuali quattro anni) anche se congiunta alla multa, che non presentino (in astratto) rilevanti difficoltà di accertamento (art. 1, co. 9, lett. l-o).

 Si modifica poi la regola di giudizio, in modo corrispondente a quanto si è previsto in tema di archiviazione, prevedendo che il G.U.P. pronunci sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna.

In tema, si segnala già qui la delega al Governo per introdurre, nei procedimenti a citazione diretta, un’inedita udienza predibattimentale in camera di consiglio, innanzi a un giudice diverso da quello davanti al quale, eventualmente, dovrà celebrarsi il dibattimento (art. 1, co. 12).  L’udienza predibattimentale mira a introdurre un filtro all’interno del medesimo ufficio giudicante – realizzato da magistrati che lavorano nello stesso ufficio, condividendo i complessivi carichi di lavoro – scommettendo sulla maggiore efficacia rispetto all’udienza preliminare, affidata a un giudice appartenente a un ufficio diverso da quello chiamato trattare il procedimento, in caso di rinvio a giudizio.

Altra innovativa previsione, che promette di ridurre i tempi del dibattimento, è infine quella secondo cui, nei processi con udienza preliminare, l’eventuale costituzione di parte civile debba avvenire a pena di decadenza, per le imputazioni contestate, entro il compimento degli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti e non possa pertanto essere riproposta in dibattimento.

Procedimenti speciali 

Presenti deleghe anche in materia di riti speciali volte, da un lato, a incentivarne il ricorso in funzione deflativa e, dall’altro, a migliorarne il funzionamento, affinché la loro scelta si risolva effettivamente in una contrazione dei tempi processuali.

Innanzitutto, si delega il Governo a prevedere, in caso di patteggiamento allargato (pena detentiva da applicare superiore a due anni), che l’accordo tra imputato e pubblico ministero possa estendersi alle pene accessorie e alla loro durata; in ogni caso di patteggiamento (ordinario e allargato), che l’accordo stesso possa estendersi alla confisca facoltativa e alla determinazione del suo oggetto e ammontare.  Si delega inoltre il Governo a ridurre gli effetti extra-penali della sentenza di patteggiamento, prevedendo anche che non possa avere efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi.

In materia di giudizio abbreviato, al fine di rendere l’abbreviato un giudizio realmente “abbreviato”,  si delega il Governo a modificare le condizioni per l’accoglimento della richiesta subordinata a un’integrazione probatoria (c.d. abbreviato condizionato), prevedendone l’ammissibilità solo se l’integrazione risulta necessaria ai fini della decisione e se il procedimento speciale produce un’economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale.

Si prevede inoltre, per disincentivare le impugnazioni e l’instaurazione di un nuovo giudizio di appello o di legittimità, che la pena inflitta sia ulteriormente ridotta di un sesto nel caso di mancata proposizione di impugnazione da parte dell’imputato, stabilendo che la riduzione di pena sia disposta dal giudice dell’esecuzione.

Di particolare rilievo anche gli interventi in tema di procedimento per decreto. Si prevede che, al fine dell’estinzione del reato, sia necessario il pagamento della pena pecuniaria; e che il pagamento della pena pecuniaria avvenga in misura ridotta di un quinto in caso di mancata opposizione al decreto penale.

 Parallelamente, viene ampliato l’ambito di applicazione del decreto penale di condanna, prevedendosi che con decreto penale di condanna la pena detentiva fino a un anno possa essere sostituta con la pena pecuniaria (il limite di pena detentiva è raddoppiato rispetto all’attuale, di sei mesi) e che la pena detentiva fino a tre anni possa essere sostituita con il lavoro di pubblica utilità.

 Processo in assenza

Si interviene anche in materia di processo in assenza dell’imputato, ripensando alle garanzie della effettiva partecipazione al processo (o della consapevole assenza), evitando la celebrazione di inutili e dispendiosi processi, vanificati dalle sanzioni processuali per la mancata effettiva conoscenza del procedimento a carico dell’imputato.

A tal fine, è previsto che si possa procedere in assenza dell’imputato solo quando si ha la certezza che la mancata partecipazione al processo è volontaria. In mancanza, si il giudice pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere, dando corso alle ricerche dell’imputato. Se questi viene rintracciato, la sentenza di non luogo a procedere viene revocata e il giudice fissa una nuova udienza per la prosecuzione del processo. Il tempo trascorso per le ricerche dell’imputato assente non rileva ai fini della prescrizione del reato.

Il difensore dell’imputato assente potrà inoltre impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato rilasciato dopo la pronuncia della sentenza. Ciò al fine di assicurare la certezza della conoscenza della sentenza da parte dell’imputato ed evitare inutili processi, destinati alla rescissione del giudicato quando si accerti che in realtà l’imputato non era a conoscenza della sentenza emessa nei suoi confronti.

 Mutamento del giudice e riassunzione della prova

In caso di mutamento del giudice o di un componente del collegio si delega il Governo a prevedere che, quando la prova dichiarativa è stata verbalizzata tramite la videoregistrazione, nel dibattimento davanti al giudice diverso o al collegio diversamente composto, nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni saranno utilizzate, il giudice disponga la riassunzione della prova solo quando lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze (art. 1, co. 11, lett d).

Al di fuori di tale ipotesi – rispetto alla quale il legislatore, mirando all’efficienza del processo penale, recepisce un monito della Corte costituzionale (sent. n. 132/2019) – la regola generale (in continuità con le S.U. Bajrami del 2019) è che, in caso di mutamento del giudice o del collegio si disponga, a richiesta di parte, la riassunzione della prova.

  Appello 

Gli interventi in tema di appello mirano a ridurre il novero delle sentenze appellabili, ad ampliare le ipotesi di inammissibilità dell’appello, a semplificare il procedimento, e a ridurre – come poc’anzi visto – le ipotesi di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Il tutto in vista di una riduzione dei tempi, anche in funzione della prevista improcedibilità dell’azione per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione (art. 1, co. 13, lett. c-l).

I previsti casi di inappellabilità riguardano: a) le sentenze di proscioglimento e di non luogo a procedere relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa; b) le sentenze di condanna a pena sostituita con il lavoro di pubblica utilità.

L’inammissibilità dell’appello, recependo il diritto vivente, è prevista anche in caso di mancanza di specificità dei motivi quando nell’atto manchi la puntuale ed esplicita enunciazione dei rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto di diritto espresse nel provvedimento impugnato. Ciò nella convinzione che una maggiore efficienza del giudizio d’appello dipenda anche dalla struttura dell’atto di impugnazione.

Un ulteriore e rilevante criterio di delega, finalizzato a ridurre i tempi di celebrazione dell’appello,  prevede – come regola – la celebrazione con rito camerale non partecipato, salvo che la parte appellante o, in ogni caso, l’imputato o il suo difensore richiedano di partecipare all’udienza.

Sempre per ridurre i tempi dell’appello, si delega il Governo ad eliminare le preclusioni al concordato sui motivi previsti dall’art. 599 bis, co. 2 c.p.p. per taluni reati, analogamente a quanto avviene, per gli stessi, rispetto al patteggiamento allargato.

Con riferimento infine all’appello contro una sentenza di proscioglimento, presentato per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, vengono introdotti limiti alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art. 603, co. 3 bis c.p.p.

Giudizio di legittimità 

Per ridurre i tempi del giudizio di legittimità, si delega il Governo a prevedere che la trattazione dei ricorsi davanti alla Corte di cassazione avvenga di norma con contraddittorio scritto senza l’intervento dei difensori, salva, nei casi non contemplati dall’art. 611 c.p.p., la richiesta delle parti di discussione orale in pubblica udienza o in camera di consiglio partecipata. Si prevede che la Corte possa disporre la trattazione con discussione orale anche senza una richiesta delle parti e che, ove intenda dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, debba preventivamente instaurare il contraddittorio nelle forme previste per la celebrazione dell’udienza (art. 1, co. 13, lett. m-n).

 Procedibilità a querela 

Per valorizzare forme alternative di definizione del procedimento, incentrate su condotte riparatorie, con effetti di economia processuale, si delega il Governo ad ampliare il novero dei reati procedibili a querela includendovi: le lesioni personali stradali gravi o gravissime, nell’ipotesi di cui all’art. 590 bis, co. 1 c.p., nonché per ulteriori specifici reati, da individuarsi in sede di attuazione tra quelli contro la persona o contro il patrimonio puniti con pena non superiore nel minimo a 2 anni (da determinarsi senza tener conto delle circostanze). È fatta salva la procedibilità d’ufficio quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità (art. 1, co. 15).

 Pene pecuniarie 

Al fine di restituire effettività alla pena pecuniaria – oggi eseguita, riscossa e convertita in percentuali bassissime – il Governo è delegato a: razionalizzare e semplificare il procedimento di esecuzione; rivedere, secondo criteri di equità, efficienza ed effettività, i meccanismi di conversione della pena pecuniaria in caso di mancato pagamento per insolvenza o insolvibilità del condannato; prevedere procedure amministrative efficaci, che assicurino l’effettiva riscossione della pena pecuniaria e la sua conversione i caso di mancato pagamento (art. 1, co. 16).

Pene sostitutive delle pene detentive brevi 

Il Governo viene delegato a una complessiva revisione della disciplina della legge n. 689/1981, esattamente quaranta anni dopo la sua approvazione (art. 1, co. 17).

La revisione della disciplina prevede anzitutto la modifica del catalogo delle pene sostitutive: escono di scena (per desuetudine, verrebbe da dire) la semidetenzione e la libertà controllata; fanno il loro ingresso nel catalogo delle pene sostitutive la semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità; viene confermata la pena pecuniaria sostitutiva, innalzando da sei mesi a un anno, come si è anticipato, il limite della pena detentiva sostituibile, e prevedendo una diminuzione del tasso minimo di conversione, oggi fissato in € 250.

Cambia lo stesso concetto di pena detentiva “breve”, sostituibile con pene non detentive o semi-detentive, raddoppiandone i limiti: da due si sale a quattro anni. Si rompe così la sovrapposizione tra l’area delle sanzioni sostitutive e l’area della sospensione condizionale della pena (che ha comportato la mancata applicazione delle sanzioni sostitutive, meno appetibili di una mera sospensione dell’esecuzione della pena) e si fa coincidere il limite di pena detentiva sostituibile con quello della pena soggetta a sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 659 c.p.p., in vista della richiesta di una misura alternativa alla detenzione.

Così facendo, si anticipa nel giudizio di cognizione la possibilità di applicare misure corrispondenti alle attuali due misure alternative di cui si è detto, con evidenti effetti deflativi sul procedimento di sorveglianza.

Più in particolare, la pena detentiva inflitta entro il limite di 4 anni potrà essere sostituita con la semilibertà o con la detenzione domiciliare; quella inflitta entro il limite di 3 anni, anche con il lavoro di pubblica utilità, se il condannato non si oppone; quella inflitta entro il limite di 1 anno altresì con la pena pecuniaria. Le pene sostitutive non saranno sospendibili condizionalmente e potranno applicarsi solo quando favoriscano la rieducazione del condannato e non vi sia pericolo di recidiva.

Non punibilità per la particolare tenuità del fatto 

La delega interviene anche ad ampliare l’ambito di applicabilità dell’istituto di cui all’art. 131-bis c.p., avendo questo già mostrato significative potenzialità di deflazione processuale. Si prevede, in particolare, come limite all’applicabilità, la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, sola o congiunta a pena pecuniaria, in luogo della pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni come oggi previsto (art. 1, co. 21).

In sede di attuazione dovranno, poi, essere individuati ulteriori casi in cui, ai sensi del co. 2 dell’art. 131 bis c.p., l’offesa non può essere considerata di particolare tenuità. Una espressa indicazione legislativa esclude l’estensione dell’ambito di applicabilità dell’art. 131 bis c.p. i reati riconducibili alla Convenzione di Istanbul, in tema di violenza contro le donne. Rilievo dovrà, inoltre, attribuirsi alla condotta successiva al reato ai fini della valutazione della particolare tenuità dell’offesa.

Sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato 

Viene previsto l’ampliamento dell’applicabilità anche della disciplina dell’art. 168-bis c.p., dovendo – in sede di attuazione della delega – essere individuati, oltre ai casi previsti dall’art. 550, co. 2 c.p.p., ulteriori specifici reati, puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell’autore, compatibili con l’istituto (art. 1, co. 22). Attualmente l’istituto, salvi i menzionati casi di cui all’art. 550, co. 2 c.p.p., richiamato dall’art. 168 bis c.p., non è applicabile in relazione ai procedimenti per reati puniti con pena detentiva superiore nel massimo a quattro anni.

Per incentivare l’applicazione dell’istituto nella fase delle indagini, si prevede che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato possa essere proposta anche dal P.M.

Estinzione delle contravvenzioni per condotte riparatorie/ripristinatorie 

Ancora, la L. 134/2021 prosegue delegando il Governo a prevedere una causa di estinzione delle contravvenzioni destinata a operare nella fase delle indagini preliminari, per effetto del tempestivo adempimento di apposite prescrizioni impartite dall’organo accertatore e, alternativamente, del pagamento di una somma di denaro determinata in una frazione del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa, ovvero del lavoro di pubblica utilità (art. 1, co. 23).

In sede di attuazione, dovranno essere individuate le contravvenzioni per le quali consentire l’accesso alla causa di estinzione del reato. Dovrà trattarsi di contravvenzioni suscettibili di elisione del danno o del pericolo mediante condotte ripristinatorie o risarcitorie. La disciplina non potrà applicarsi, tuttavia, qualora tali contravvenzioni concorrano con delitti. La delega prevede, inoltre, che dal momento dell’iscrizione della notizia di reato fino al momento in cui il pubblico ministero riceve comunicazione dell’adempimento o dell’inadempimento delle prescrizioni il procedimento penale rimanga sospeso.

 Giustizia riparativa 

Una rilevante novità prevista della legge delega è riferita alla giustizia riparativa, della quale in sede di attuazione dovrà essere introdotta una disciplina organica nel rispetto della Direttiva 2012/29/UE e dei principi stabiliti in materia a livello internazionale (art. 1, co. 18-20).

Molti gli aspetti che dovranno essere disciplinati in sede di attuazione: la definizione di “vittima del reato” – intesa come persona fisica (compreso il familiare della persona uccisa) che ha subito un danno, fisico, mentale o emotivo, o perdite che sono state causate direttamente da un reato; l’accesso alla giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento penale e durante l’esecuzione della pena, su iniziativa dell’autorità giudiziaria competente, nell’interesse della vittima e dell’autore del reato, con il loro consenso e senza preclusioni in relazione al reato per cui si procede; le specifiche garanzie per l’accesso ai programmi di giustizia riparativa, anche in rapporto alla inutilizzabilità in sede penale delle dichiarazione rese; la valutazione dell’esito favorevole dei programmi di giustizia riparativa nel procedimento penale e in fase di esecuzione; la formazione dei mediatori e i requisiti professionali e di accreditamento presso il Ministero della Giustizia; i centri di giustizia riparativa (strutture pubbliche facenti capo ad enti locali e convenzionate con il Ministero della Giustizia).

Da segnalare che per l’attuazione della disciplina in tema di giustizia riparativa la legge prevede l’autorizzazione alla spesa di oltre quattro milioni di euro (art. 1, co. 19). Il dato non è privo di significato, se si considera che nel passato proprio la previsione di riforme da attuare senza oneri o spese per lo Stato, inclusa la riforma Orlando, ne ha ostacolato una reale incisività. Ciò testimonia la forte determinazione politica e la rilevanza strategica e culturale dell’intervento, che promette di elevare la qualità e l’efficienza della giustizia penale.

Fonti:

  • Relazione n. 60/2021 dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione, avente ad oggetto la legge 27 settembre 2021, n. 134, consultabile qui.
  • G.L. GATTA, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della ‘legge Cartabia’, in Sistema Penale, consultabile qui.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.