L’equa riparazione per ingiusta detenzione

La riparazione per ingiusta detenzione (altrimenti detta equa riparazione) è regolata dagli artt. 314 e 315 del codice di rito e mira ad indennizzare un soggetto che abbia subito ingiustamente una limitazione della propria libertà personale per effetto di una misura custodiale.

Trattasi di un vero e proprio diritto soggettivo riconosciuto all’imputato, che è stato introdotto con il codice di procedura penale del 1988 ed adempie un preciso obbligo posto dalla Convenzione dei diritti dell’uomo (cfr. art 5, comma 5, C.E.D.U.). La materia è stata, poi, riformata dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (c.d. “Legge Carotti”), con l’aumento del limite massimo dell’indennizzo erogabile agli attuali € 516.456,90, oltre che del termine ultimo per proporre, a pena di inammissibilità, domanda di riparazione (da 18 a 24 mesi).

Presupposto del diritto ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione consiste nella ingiustizia sostanziale o nella ingiustizia formale della custodia cautelare subita.

L’ingiustizia sostanziale è prevista dall’art. 314, comma 1, c.p.p. e ricorre quando vi è proscioglimento con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato. E’ importante tenere presente che, ai sensi del successivo comma 3 dell’art. 314 c.p.p., alla sentenza di assoluzione sono parificati la sentenza di non luogo a procedere e il provvedimento di archiviazione.

L’ingiustizia formale è disciplinata dal comma 2 dell’art. 314 c.p.p. e ricorre quando la custodia cautelare è stata applicata illegittimamente, cioè senza che ricorressero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p., a prescindere dalla sentenza di assoluzione o di condanna.

La domanda di riparazione per ingiusta detenzione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, entro 2 anni dal giorno in cui la sentenza di assoluzione o condanna è diventata definitiva, presso la cancelleria della Corte di Appello nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza o il provvedimento di archiviazione che ha definito il procedimento. Nel caso di sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, è competente la Corte di Appello nel cui distretto è stato emesso il provvedimento impugnato; sulla richiesta decide la Corte di Appello con un procedimento in camera di consiglio. E’ obbligatoria l’assistenza di un difensore munito di procura speciale.

Nel caso di decesso della persona che ha subito l’ingiusta detenzione, possono richiederne la riparazione: il coniuge, i discendenti e gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, gli affini entro il primo grado e le persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta.

Tutti coloro che sono stati licenziati dal posto di lavoro che occupavano prima della custodia cautelare e per tale causa, hanno diritto di essere reintegrati nel posto di lavoro ove venga pronunciata a favore sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero venga disposta l’archiviazione.

Ai sensi dell’art. 315 c. 2 c.p.p., l’entità della riparazione non può superare i 516.456,90 euro. Tale limite costituisce la base di calcolo per la determinazione dell’indennità in concreto nella sua componente quantitativa, da suddividere per il termine massimo di durata della custodia ex art. 303 c. 4 c.p.p. al fine di ottenere l’importo dovuto per ciascun giorno di ingiusta detenzione. Le Sezioni Unite (sentenza n. 24287/2001) hanno, in particolare fissato, la formula 516.456,90 euro / 2.186 giorni = 235,82 euro quale parametro standard, dal quale il giudice potrà discostarsi, in aumento o in diminuzione, secondo una valutazione equitativa che tenga in considerazione “tutte le conseguenze pregiudizievoli che la durata della custodia cautelare ingiustamente subìta ha determinato per l’interessato“.

La natura indennitaria e non risarcitoria della riparazione esclude la sussistenza in capo al giudice di un obbligo a provvedere necessariamente ad una specificazione degli importi, che tengano eventualmente conto delle varie voci di danno, quando questi abbia comunque tenuto presenti tutte le possibili circostanze idonee a fissare un equo indennizzo.

Vi sono poi alcune ipotesi in cui la riparazione non può essere concessa. Si tratta dei casi in cui l’imputato abbia dato causa o concorso a cagionare la detenzione con dolo o colpa grave. Alcuni comportamenti, pur legittimamente assunti nel procedimento penale, possono infatti risultare ostativi al riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, attesa l’autonomia del giudice della riparazione nel verificare se le condotte dell’imputato si pongano come fattore condizionante alla produzione dell’evento detenzione; in particolare, il giudice della riparazione, ai fini della sussistenza della colpa grave, può prendere, ad esempio, in esame il comportamento silenzioso o l’indicazione di un alibi rivelatosi falso. Il diritto all’equa riparazione presuppone una condotta dell’interessato idonea a chiarire la sua posizione, tanto più in presenza di un quadro indiziario già di per sè significativo (cfr. sez. IV, sentenza 14/09/2017 n. 42014).

Il diritto alla riparazione è, altresì, escluso quando la custodia cautelare sofferta venga computata ai fini della determinazione della misura di altra pena (c.d. fungibiltà), ovvero per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all’applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo.

Infine, nel caso in cui venga emessa sentenza di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato per abrogazione della norma incriminatrice, il diritto alla riparazione è escluso per quella parte di custodia cautelare sofferta prima della abrogazione medesima.

Vale la pena ricordare che La Corte di Giustizia di Strasburgo (sentenza 9 giugno 2005 ricorso 42644/02) ha richiesto una modifica dell’art. 314 c.p.p. che ammette l’indennizzo per ingiusta detenzione solo se l’imputato è assolto, se è disposta l’archiviazione del caso o il non luogo a procedere o se, in caso di condanna, la custodia cautelare è stata disposta in assenza di gravi indizi di colpevolezza o per reati per i quali la legge stabilisce una reclusione superiore a tre anni. Per la Corte si tratta di previsioni restrittive perché l’art 5 comma 5 della convenzione prevede in ogni caso di illegittima restrizione il diritto ad una riparazione.

 

http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/9201_03_2018_no-index.pdf

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.