Il giudicato sulla sanzione amministrativa sostanzialmente penale dichiarata incostituzionale

La Corte costituzionale, con sentenza n. 43 del 24 febbraio 2017, si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale),  promossa dal Tribunale di Como con ordinanza del 4 febbraio 2015, lamentando la violazione degli artt. 3, 25, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 6 e 7 della CEDU.

L’oggetto del giudizio è rappresentato dalle sanzioni amministrative che risultino – secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza di Strasburgo (c.d. criteri Engel) – “sostanzialmente penali”, in particolare quella prevista dall’art. 18-bis, comma 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213.

Tale ultima disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza n. 153 del 2014, quando il rapporto obbligatorio era ormai esaurito per il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, con ciò escludendo, a dire del giudice rimettente, diversamente da quanto affermato dalle parti, l’applicabilità del comma 3 dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, che prevede che la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma in applicazione della quale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna comporta la cessazione della sua esecuzione e di tutti gli effetti penali a essa connessi.

Il giudice rimettente, reputata la natura sostanzialmente penale della sanzione di cui all’art. 18-bis, comma 4 e ritenuta la necessità che siano rimossi gli effetti prodotti da una sanzione divenuta priva di base legale (in quanto dichiarata costituzionalmente illegittima), chiede allora che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 30, comma 4, della legge n. 87 del 1953 nella parte in cui, non applicandosi anche alle sanzioni amministrative qualificabili come “penali” ai sensi della CEDU, contrasta con gli artt. 6 e 7 CEDU e, per il loro tramite, con l’art. 117, primo comma, Cost. In altri termini, a dire del giudice remittente, l’illegittimità costituzionale della disposizione deriverebbe dalla limitazione della sua portata normativa alle sole sentenze irrevocabili di condanna con le quali sia stata inflitta una sanzione penale nel significato proprio dell’ordinamento giuridico italiano, e non anche nel significato, più ampio, proprio del sistema convenzionale.

La giurisprudenza della Corte di Strasburgo in diverse occasioni (v. decisioni 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi; 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania; 1 febbraio 2005, Ziliberberg contro Moldavia) ha affermato la natura sostanzialmente penale, ai fini dell’applicazione delle garanzie del giusto processo (di cui all’art. 6 CEDU), di sanzioni pur formalmente qualificate come amministrative nell’ordinamento interno degli Stati, purché sia riscontrata la presenza di almeno uno dei criteri (cosiddetti “criteri Engel”) elaborati dalla stessa giurisprudenza sovranazionale per tale riqualificazione. Perché una sanzione debba considerarsi sostanzialmente penale ai sensi della CEDU occorre che presenti almeno uno di questi caratteri:

  • la norma che commina la sanzione amministrativa deve rivolgersi alla generalità dei consociati e perseguire uno scopo preventivo, repressivo e punitivo, e non meramente risarcitorio;
  • ovvero la sanzione suscettibile di essere inflitta deve comportare per l’autore dell’illecito un significativo sacrificio, anche di natura meramente economica e non consistente nella privazione della libertà personale.

La Corte ha dichiarato infondata la questione, con riferimento a tutte le norme di cui si è sospettata la violazione.

Con riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con gli artt. 6 e 7 della CEDU, la Corte rileva come l’attrazione di una sanzione amministrativa nell’ambito della materia penale in virtù dei menzionati criteri trascina con sé tutte e soltanto le garanzie previste dalle pertinenti disposizioni della Convenzione, come elaborate dalla Corte di Strasburgo. Rimane, invece, nel margine di apprezzamento di cui gode ciascuno Stato aderente la definizione dell’ambito di applicazione delle ulteriori tutele predisposte dal diritto nazionale, in sé e per sé valevoli per i soli precetti e le sole sanzioni che l’ordinamento interno considera espressione della potestà punitiva dello Stato, secondo i propri criteri. Ciò, del resto, corrisponde alla natura della Convenzione europea e del sistema di garanzie da essa approntato, volto a garantire una soglia minima di tutela comune, in funzione sussidiaria rispetto alle garanzie assicurate dalle Costituzioni nazionali.

Occorre, pertanto, verificare se nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sia reperibile un principio analogo a quello previsto dall’art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, volto a precludere l’esecuzione di una sanzione sostanzialmente penale, anche se inflitta con sentenza irrevocabile, qualora la norma che la prevedeva sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima o altrimenti invalida ex tunc.

Invero, a dire della Corte, dalla giurisprudenza della Corte Edu non si evince, allo stato, una affermazione, tale da esigere che gli Stati aderenti sacrifichino il principio dell’intangibilità del giudicato nel caso di sanzioni amministrative inflitte sulla base di norme successivamente dichiarate costituzionalmente illegittime. Ne consegue la non fondatezza della denunciata violazione degli obblighi internazionali, di cui all’art. 117, primo comma, Cost.

La questione non è fondata neppure in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 3 Cost. L’intervento additivo richiesto dal giudice rimettente poggia su un erroneo presupposto: ossia, che le garanzie previste dal diritto interno per la pena debbano valere anche per le sanzioni amministrative, qualora esse siano qualificabili come sostanzialmente penali ai (soli) fini dell’ordinamento convenzionale. Tuttavia, come si è detto poco sopra, l’ordinamento nazionale può apprestare garanzie ulteriori rispetto a quelle convenzionali, riservandole alle sole sanzioni penali, così come qualificate dall’ordinamento interno.

In tale contesto di coesistenza, e non di assimilazione, tra le garanzie interne e quelle convenzionali, si pone dunque la peculiare tutela di cui all’art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, e la sua applicazione alle sole ipotesi di sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità di norme penali, e non anche di norme amministrative.

Pertanto, conclude la Corte, la qualificazione degli illeciti e la conseguente sfera delle garanzie, circoscritta ad alcuni settori dell’ordinamento ed esclusa per altri, risponde, a scelte di politica legislativa in ordine all’efficacia dissuasiva della sanzione, modulate in funzione della natura degli interessi tutelati, sindacabili da questa Corte solo laddove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio.

La pronuncia emessa dal Supremo Giudice delle Leggi, invero, non sembra convincere molto. Senz’altro condivisibile l’affermazione secondo cui l’attrazione di una sanzione amministrativa nell’ambito della materia penale, in virtù dei menzionati criteri Engel, trascina con sé soltanto le garanzie previste dalle pertinenti disposizioni convenzionali. Tuttavia, la Corte sembra non considerare adeguatamente che tra queste garanzie vi sono quelle degli artt. 7 Cedu (Nulla poena sine lege) e 1 prot. add. (Protezione della proprietà), i quali stabiliscono univocamente la necessità che la sanzione penale (o “sostanzialmente penale”), oltre che qualsiasi provvedimento limitativo della proprietà privata, debbano trovare fondamento in una legge, per tale dovendosi intendere, con tutta evidenza, un provvedimento legittimo sulla base del diritto interno.

Ebbene, la declaratoria di incostituzionalità della disposizione sanzionatoria in oggetto ha avuto l’effetto di invalidare ex tunc tale norma che, nel momento dell’esecuzione della sanzione, risulta quindi tamquam non esset. Il fatto che un provvedimento di evidente natura afflittiva (atteso l’importo elevatissimo della sanzione amministrativa di tipo pecuniario applicata nel caso di specie), nel momento in cui viene eseguito, si trovi sprovvisto di qualsiasi copertura legale comporta un innegabile problema di giustizia sostanziale, ponendosi in contrasto con il principio di legalità convenzionale.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.