L’attività di raccolta delle scommesse organizzate, anche per via telefonica o telematica, in assenza dei prescritti titoli autorizzatori (artt. 88 T.U.L.P.S. e 4 L. n. 401/1989)

scommesse sportive

La materia del gioco nelle sue varie forme (sale da gioco e da biliardo, scommesse, giochi d’azzardo, giochi elettronici con o senza vincita in denaro, etc.) è oggetto di disciplina soprattutto della legislazione statale, attesi gli interessi che in esso vengono in rilievo, quali la tutela delle entrate patrimoniali dello Stato e dei soggetti deboli (minori o persone affette da c.d. ludopatia), nonché la lotta al riciclaggio dei proventi illeciti tramite l’utilizzo delle scommesse e delle attività connesse da parte delle organizzazioni criminali.

Guardando alle scommesse, oggetto del presente articolo, tale fenomeno interessa il mondo del diritto sotto diversi profili ( molti dei quali civilistici che qui tralasceremo, quali la rilevanza e la natura giuridica della scommessa; la natura dell’obbligo giuridico nascente dalla sua pattuizione; nonché la tutela giuridica da assegnare alle obbligazioni da essa nascenti).

Può preliminarmente definirsi scommessa, la contesa o sfida, fra due o più persone, con riferimento alla verità di un fatto o di un’affermazione, oppure con riferimento al verificarsi di un evento già accaduto – ma ignoto ai contendenti – o da verificarsi nel futuro.

Elemento caratterizzante la scommessa è dunque l’aleatorietà, che prevale su ogni abilità individuale. La scommessa infatti si distingue dal gioco, nel quale vi è un ruolo attivo del soggetto circa l’accadimento dell’evento cui è subordinata la vincita; nella scommessa invece, il ruolo di chi vi partecipa è totalmente estraneo ed ininfluente circa il verificarsi dell’oggetto della scommessa medesima.

È possibile distinguere tra scommesse tutelate e regolamentate (che assumono ad oggetto un evento sportivo) e scommesse proibite (art. 718 e ss. c.p.); o, ancora, tra scommesse occasionali (che intervengono tra privati) e scommesse organizzate (in cui una delle parti è un gestore professionale della loro raccolta).

In ordine alle scommesse organizzate, per l’attività di raccolta l’art. 88 T.U.L.P.S. prescrive il rilascio della licenza di preventiva concessione o autorizzazione da parte dell’Agenzia delle Dogane de dei Monopoli o dell’ente che, ottenuta la concessione, può a sua volta autorizzare altri operatori a tale attività. Per la raccolta telematica dei dati è, inoltre, necessaria  anche l’autorizzazione del Ministero delle Comunicazioni.

Evidente come il settore sia interamente controllato dallo Stato. L’attività di scommesse viene infatti autorizzata tramite concessioni rilasciate agli operatori privati in possesso di specifiche capacità tecniche e mediante procedure di gara aperte.

Non può concedersi la suddetta autorizzazione a chi abbia subito una condanna a determinate pene o per particolari delitti, o per reati contro la moralità o l’ordine pubblico. Inoltre, fino al 2002 non potevano partecipare ai bandi di gara per il rilascio della concessione neppure le società di capitali o quelle quotate in borsa, in virtù dell’anonimato dei loro azionisti.

L’art. 4 L. 401/1989 sanziona penalmente con la reclusione da sei mesi a tre anni coloro che, senza concessione, autorizzazione o licenza di cui all’art. 88 T.U.L.P.S., raccolgono scommesse di qualsiasi tipo, sia provenienti dall’Italia che dall’estero, effettuate anche per via telefonica o telematica, oppure emettano o accettino i biglietti di lotteria o di altre scommesse.

Con riferimento a tale disposizione, si è posto il problema di stabilire la sua compatibilità con i principi di libertà di stabilimento e di prestazione di servizi nell’ambito dell’UE, tutelati dagli artt. 49 e 56 TFUE.

Tale questione è stata affrontata dalla Corte di Giustizia Europea in più occasioni.

Con la sentenza Gambelli (CGE, 6 novembre 2003, Gambelli et al., C-243/01), la Corte ha ritenuto che la normativa italiana in materia e le relative sanzioni penali siano in contrasto tanto con la libertà di stabilimento, quanto con la libertà di prestazione di servizi, laddove essa vietava alle società di capitali di partecipare ai bandi indetti per il rilascio delle concessioni amministrative.

Secondo la Corte, le restrizioni imposte dal legislatore italiano presentavano natura discriminatoria, né potevano dirsi giustificate in virtù delle esigenze imperative connesse all’interesse generale perseguito, le quali possono semmai giustificare misure indistintamente applicabili a tutti. Inoltre, la legittimazione delle dette limitazioni in virtù di motivi imperativi d’interesse generale, secondo la Corte, andava certamente esclusa per l’incoerenza manifestata dal legislatore italiano, che da un lato incoraggiava per finalità fiscali il gioco d’azzardo se gestito da concessionari nazionali, dall’altro lo rendeva praticamente impossibile per gli operatori stranieri sia in forma stabile sia in forma transfrontaliera (si veda anche, sul punto, CGE, Grande Sezione, 6 marzo 2007, Placanica et al.).

La Corte di Giustizia Europea ha quindi precisato come una limitazione ai suddetti principi comunitari non sia vietata né in contrasto con il Trattato, solo ove essa sia meritevole di tutela in quanto diretta ad un preciso scopo e sia proporzionale allo scopo stesso, in quanto volta a tutelare un interesse generale.

Proprio sulla base dei criteri elencati dalla CGE in base ai quali ritenere legittime eventuali restrizioni in materia, la Corte di Cassazione – con le sentenze nn. 23271 e 23722 del 2004 – affermava la compatibilità degli artt. 4 l. 401/1989 e 88 T.U.LP.S. con la normativa comunitaria, atteso che tali disposizioni interne trovano giustificazione nelle specifiche finalità di ordine pubblico e di prevenzione delle infiltrazioni criminali nella gestione di giochi e scommesse, stabilendo a tal fine misure proporzionate alle finalità perseguite.

Pure la giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato ha sempre assunto ritenuto legittimo il regime posto dagli artt. 88 T.U.L.P.S. e 4 L. 401/1989, essendo questo volto al fine di impedire le possibili infiltrazioni della criminalità organizzata ed eventuali attività di riciclaggio; il Consiglio di Stato ha in particolare valorizzato il disposto di cui all’art. 41 co. 2 Cost., che prevede che la libertà di iniziativa economica privata non possa essere esercitata in contrasto con l’utilità sociale.

La CGE si è nuovamente pronunciata in materia con sez. IV, 16 febbraio 2012, Costa e Cifone, con riguardo ai bandi di gara per il rilascio di nuove concessioni emanati nel 2006 sulla base del c.d. Decreto Bersani, affermando come questi fossero finalizzati a favorire i soggetti che già avevano ottenuto in passato le concessioni sulla base di una normativa che escludeva le società di capitali e che quindi si presentava in contrasto con la normativa comunitaria, come esplicitato nella sentenza Gambelli. Ne consegue quindi che l’applicazione delle sanzioni penali, previste dal più volte citato art. 4 L. 401/1989, a soggetti illegittimamente esclusi dai primi bandi è in contrasto con gli artt. 49 e 56 TFUE. Tale disposizione quindi va disapplicata, solo così potendo l’Italia rispettare le regole di quell’ordinamento al quale essa ha aderito.

La sentenza testé accennata sembra essere stata pienamente recepita nelle successive decisioni della nostra S.C. di Cassazione.

Cass. sez. III, sent. 20 settembre 2012 n. 40865, ha così affermato: “integra il reato di cui all’art. 4 della l. n. 401 del 1989 la raccolta di scommesse su eventi sportivi da parte di un soggetto che compia attività di intermediazione per conto di un allibratore straniero senza il preventivo rilascio della prescritta licenza di pubblica sicurezza o la dimostrazione che l’operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare.

Ed ancora, con sent. 16 maggio 2012, n. 18767, la S.C. ha precisato come la CGE non abbia affermato l’illegittimità generale della normativa italiana in materia di scommesse, ma che detta illegittimità sussiste soltanto ove la legislazione interna abbia effettivamente limitato la libertà di cui agli artt. 49 e 56 TFUE , adottando restrizioni non giustificate da esigenze d’interesse pubblico ragionevoli, proporzionate, coerenti e non discriminatorie.

Sulla stessa scia, più di recente, la Cassazione ha quindi ribadito che non può invocarsi, per escludere il reato di cui all’art. 4 L. 401/1989, la contrarietà del sistema interno delle concessioni con gli invocati principi comunitari, quando non ricorrono le condizioni per rilevare una loro violazione tale da comportare la disapplicazione nel caso concreto della norma incriminatrice (così Cass. sez. III, 27 marzo 2014, n. 19462).

A conclusione, si rileva incidenter, che non fa venire meno il rilievo penale della condotta descritta all’art. 4 cit. la circostanza che l’attività svolta in Italia sia riferibile ad un operatore straniero che opera in un paese in cui essa non costituisce reato, posto che l’art. 6 c.p. impone l’applicazione della legge penale italiana anche quando sia stata realizzata sul territorio nazionale soltanto una parte della condotta delittuosa.

In base ad un recente annuncio della Commissione Comunità Europea, parrebbe inoltre essere intenzione degli Organi comunitari introdurre nuove regole al fine di realizzare un quadro normativo europeo che consenta di armonizzare le diverse discipline previste in materia dai singoli Stati membri, con la previsione di nuovi standard di sicurezza per gli utenti di tali servizi, con particolare riguardo ai sempre più numerosi giocatori minorenni.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.