Stalking condominiale, si applica l’art. 612 bis c.p.

Si sa come liti, anche violente, incomprensioni, intolleranze e conseguenti dispetti siano una realtà molto comune nei rapporti di vicinato, specie all’interno di un condominio. Alcune di queste liti, frutto di semplice maleducazione, vengono risolte in modo pacifico tra i condòmini; altre finiscono, invece, all’attenzione dei Tribunali. E non solo civili, potendo tali condotte configurare una peculiare fattispecie penale: lo stalking condominiale.

Non si tratta di una fattispecie espressamente codificata dal legislatore, bensì di una particolare applicazione giurisprudenziale dell’art. 612 bis c.p. (“atti persecutori”), resa possibile dalla non del tutto tassativa formulazione degli elementi costitutivi della fattispecie.

Lo stalking condominiale consisterebbe, infatti, in una serie di atti ripetuti (ne bastano due), volti ad arrecare volontariamente a uno o a una pluralità di condòmini un disturbo intollerabile per un periodo prolungato di tempo, tale da condizionarne la vita di tutti i giorni.

Le azioni volontarie e reiterate rappresenterebbero l’elemento oggettivo della fattispecie di stalking, mentre il condominio il mero locus commissi delicti.

Negli ultimi anni, si sono avvicendate numerose sentenze di condanna per stalking condominiale, tanto nella giurisprudenza di merito, che di legittimità

Ci limitiamo a segnalare in questa sede Cass. pen. sez. V, 25 maggio 2011, n. 20895, che, inaugurando l’applicazione estensiva dell’art. 612 bis, condannava l’imputato per il delitto di stalking ai danni di tutti i soggetti di sesso femminile residenti nel condominio, benché gli atti persecutori fossero stati rivolti direttamente solo ad alcune donne, in quanto la condotta tenuta dall’agente – per il suo carattere sistematico e persecutorio – aveva di fatto ingenerato nelle altre donne (c.d. vittime indirette del reato) uno stato di paura ed ansia tale da costringerle a modificare sensibilmente le proprie abitudini di vita. Proprio l’elemento spaziale dello stesso edificio ha, quindi, permesso di legare le vicende di tutte e ha permesso, al Giudicante, di ritenere configurato il delitto in parola.

Più di recente è intervenuta Cass. sez. V, 28 giugno 2016, n. 26878, che, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti dell’indagato per il delitto di cui all’art. 612 bis c.p. in danno di un vicino di casa, il quale, esasperato dalle condotte di disturbo dell’indagato, veniva affetto da un grave stato d’ansia che lo costringeva, a sua volta, ad assentarsi dal lavoro ed assumere tranquillanti, mutando così le proprie abitudini di vita.

Per tutelare la vittima di stalking condominiale , si noti come, tuttavia, non ci sia altro modo che quello di prescrivere allo stalker di non avvicinarsi fisicamente alla vittima, senza perciò impedirle di entrare o uscire da casa propria.

Cass. sent. n. 30926/16 del 19 luglio 2016 ha, infatti, precisato come l’applicazione delle misure previste agli artt. 282 bis e 283 c.p.p.  (allontanamento dalla casa familiare e divieto di dimora) si scontri con le esigenze abitative del colpevole.

Nel caso in cui vittima e stalker vivano nello stesso edificio – ipotesi frequente in caso di stalking condominiale – il divieto di dimora non può essere adottato, ma resta pur sempre prescrivibile il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa e di allontanarsi da quest’ultima ogni volta che il reo vi si imbatta.

Principi di civiltà giuridica impongono, infatti, di tutelare anche le libertà fondamentali dell’indagato/imputato, che non possono essere sacrificate in modo sproporzionato rispetto alle esigenze di tutela della persona offesa.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.