Te la faccio pagare: non sempre costituisce minaccia ex art. 612 cp

“Te la faccio pagare”, forse è una delle minacce più gettonate. Non sempre, però, il pronunciamento di tale espressione è idonea a costituire l’elemento oggettivo del reato di minaccia previsto dall’art. 612 del codice penale.

L’elemento discretivo tra il lecito e l’illecito va ricercato nella volontà ed intenzione di colui che la proferisce, indagata in base al contesto e alle modalità con cui si pronuncia la frase. Se nell’affermare “te la faccio pagare”, si sta brandendo un bastone o si fa chiaramente intendere il ricorso ad azioni di forza o di violenza, nessun dubbio sulle intenzioni dell’agente e la conseguente configurabilità del reato.

A diversa valutazione potrebbe invece approdarsi ove si tratti pronunciata tra due persone in conflitto da anni, protagoniste di azioni giudiziarie reciproche, etc. In questo caso, o altri similari, non si tratterebbe di una minaccia, ma di un rimando a future azioni giudiziarie e, quindi, all’esercizio di una facoltà riconosciuta dal nostro ordinamento.

Il reato di minaccia si caratterizza, infatti, per la capacità di limitazione della libertà psichica della persona offesa, mediante la prospettazione del pericolo di un male ingiusto. Nel caso in cui la frase sia intesa nel senso di ricorrere alle vie giudiziarie, ciò non prefigura alcun male ingiusto e dunque non è ascrivibile al reato di minaccia (cfr. sul punto Cassazione penale, sezione V, sentenza 26 settembre 2017, n. 44381).

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Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.