Utilizzo del collare elettrico: è reato

Il padrone che impone al proprio cane l’utilizzo del collare elettrico integra il reato di maltrattamento di animali ex art. 727 c.p., essendo l’inflizione di scariche elettriche produttiva di sofferenze e di conseguenze anche sul sistema nervoso dell’animale, in quanto volto ad addestrarlo attraverso lo spavento e la sofferenza.

È quanto ha, recentemente, stabilito la III sez. penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 50491, depositata il 29 novembre scorso, dichiarando inammissibile il ricorso e confermando quanto già deciso dal Tribunale di Trento (condanna dell’imputato al pagamento di 1.500 euro in favore della cassa delle ammende, oltre alle spese processuali).

Il Collegio, dando sostanzialmente continuità al precedente orientamento, ritiene che il collare elettronico sia certamente incompatibile con la natura del cane: esso si fonda sulla produzione di scosse o altri impulsi elettrici che, tramite un comando a distanza, si trasmettono all’animale provocando reazioni varie.

Così, si veda Cassazione penale sez. III, sentenza n. 21932 dell’ 11 febbraio 2016, che sul punto aveva già chiarito come: “l’utilizzo di collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, integra la contravvenzione di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, poiché concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale“.

 Il riferimento va, dunque, all’art. 727 c.p. , rubricato “Abbandono di animali“, il quale sanziona due differenti condotte: non solo coloro i quali abbandonino cani domestici o che abbiano acquisito le abitudini della cattività, ma altresì coloro i quali mantengano un animale “in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze”.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.