Violenza privata – art. 610 c.p.

Sciopero degli spazzini (Roma, 1920)
Sciopero degli spazzini (Roma, 1920)

Tra i delitti contro la libertà individuale (rectius, libertà morale) di cui al capo III del titolo XII del libro II c.p., è collocata all’art. 610 la fattispecie di violenza privata:

Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni .

La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339.

Il bene giuridico tutelato è la libertà morale della persona, considerata quale aspetto essenziale della libertà individuale, e intesa sia come libertà di autodeterminarsi spontaneamente secondo motivi propri, sia – conseguentemente –  come libertà di azione orientata secondo le autonome scelte del soggetto: la norma intende proteggere l’intero processo di formazione e di attuazione della libertà morale del soggetto passivo nei confronti di condotte aggressive che mirino a condizionarne il momento genetico e quello esecutivo (cfr. Fiandaca, Musco).

Sotto il profilo funzionale, il delitto di violenza privata rappresenta una fattispecie di carattere generale e centrale dei delitti contro la libertà morale, trovando applicazione in tutti i casi in cui il fatto specificamente considerato non integri gli estremi di altra fattispecie incriminatrice (ha cioè carattere di sussidiarietà).

Sotto il profilo strutturale, il delitto in esame si qualifica come reato d’evento e a forma vincolata: il fatto tipico consiste, infatti, nel costringere altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa, mediante impiego di violenza o di minaccia.

Quanto al concetto di violenza rilevante, secondo la maggioranza della giurisprudenza, esso è costituito dall’esplicarsi di qualsiasi energia fisica da cui derivi una coazione personale; non rileva, pertanto, né la qualità dei mezzi adoperati, né che essi siano diretti o indiretti, di carattere materiale o psicologico, occorrendo solo l’idoneità di essi al raggiungimento dello scopo che è quello di costringere altri a fare, tollerare od omettere qualcosa.

Frequente è anche il richiamo alla distinzione tra violenza propria e violenza impropria: per violenza deve intendersi non solo quella fisica (violenza “in senso proprio“), che si esplica direttamente sulla vittima, ma anche quella “impropria“, che si esplica attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui.

Pacifica appare la configurabilità della violenza anche laddove essa non si indirizzi contro l’altrui persona, ma sulle cose, alla sola condizione che dispieghi un’effettiva incidenza costrittiva sulla volontà della vittima.

A titolo esemplificativo, in materi di c.d. picchettaggio, la giurisprudenza non ha espresso dubbi nel considerare come violenta la condotta consistente nell’impedimento opposto – anche a mezzo della mera predisposizione di una barriera umana, e pur in assenza di momenti rilevante di aggressività – al diritto di esercitare l’attività lavorativa da parte di coloro che non intendessero aderire allo sciopero.

La giurisprudenza di legittimità si è dimostrata compatta nel reputare il cd. picchettaggio ostruzionistico non coperto dalla garanzia di cui all’art. 40 Cost., e nel sottolineare come il diritto di sciopero copra solo l’attività di mera propaganda e persuasione verso gli incerti o i dissidenti disposti ad essere informati sui motivi che inducono il lavoratore ad astenersi dal lavoro, restando – per contro – escluse tutte le condotte compiute con modalità lesive di diversi interessi privati penalmente tutelati, fino a giungere alla violenza privata.

Nozione meno problematica di quella di violenza è quella di minaccia, quale mezzo per la coercizione della volontà del soggetto passivo. La minaccia consiste, infatti, nella prospettazione di un male futuro e ingiusto, la cui realizzazione dipende dalla volontà e dall’azione del reo.

Circa le modalità della minaccia, essa si può realizzare in tutte le forme e i modi psicologicamente idonei a coartare l’altrui volontà: non occorre una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente qualsiasi comportamento o atteggiamento, indirizzato verso il soggetto passivo o terzi, il quale, avuto riguardo alle condizioni ambientali in cui il fatto si svolge, risulti idoneo a incutere timore e suscitare la preoccupazione di subire un ingiusto danno, tanto da indurre la vittima a fare, tollerare, ovvero omettere alcunché (cfr. Antolisei).

Circa l’idoneità offensiva, la minaccia, quali che ne siano le modalità di estrinsecazione, deve apparire idonea – alla luce di un giudizio ex ante – a creare uno stato di costringimento, apprezzato secondo alle circostanze oggettive del caso concreto.

Il reato in questione viene generalmente considerato come reato ad evento naturalistico, alla cui condotta costituiva deve eziologicamente ricollegarsi una specifica conseguenza: la violenza o la minaccia devono causare una costrizione (assoluta o relativa) del soggetto passivo a tenere una condotta, attiva od omissiva, che egli altrimenti non avrebbe tenuto, e in mancanza di tale effettivo costringimento, il fatto potrà eventualmente essere punito a titolo di tentativo (cfr. Fiandaca, Musco).

Il dolo richiesto è generico, essendo sufficiente la coscienza e volontà di costringere taluno, mediante violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, non essendo necessario che l’azione illecita sia illuminata di una particolare finalità illecita ulteriore.

In casi determinati, addirittura, l’esistenza di un fine particolare può determinare un mutamento del titolo di reato, come per il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, con violenza sulle cose o alle persone di cui agli artt. 392 e 393, in cui l’agente opera al fine di esercitare un preteso diritto.

Il reato è consumato nel momento e luogo del comportamento coartato e, trattandosi di reato istantaneo, non è necessario che l’effetto di costringimento si protragga nel tempo.

Ai sensi del secondo comma, il delitto di violenza privata è aggravato ove ricorrano le circostanze di cui all’art. 339 c.p., ovvero se la violenza o laminaccia è commessa con armi , o da persona travisata, o da più persone riunite.

In relazione agli aspetti procedurali, il reato di violenza privata è procedibile d’ufficio e la competenza spetta al tribunale in composizione monocratica.

È previsto l’arresto facoltativo in flagranza (art. 381 c.p.p.), nonché l’applicabilità delle misure cautelari personali (artt. 280 e 287 c.p.p.), mentre non è consentito il fermo di indiziato di delitto.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.