Cause di esclusione dell’imputabilità ed incapacità preordinata o determinata da altri

Ai sensi dell’art. 85 c.p.nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”. Tale formula legislativa sintetizza chiaramente le condizioni psico-fisiche di normalità che consentono l’attribuzione di responsabilità penale all’autore di un fatto di reato.

La capacità di intendere, segnatamente, rappresenta l’attitudine del soggetto di comprendere il significato del proprio comportamento, a rendersi conto del disvalore delle sue azioni. La capacità di volere invece si identifica con il potere di controllo dei propri impulsi e stimoli ad agire.

La capacità di intendere e di volere è oggetto di presunzione: essa è infatti considerata normalmente esistente nei soggetti che abbiano raggiunto la maggiore età.

Essa deve essere valutata in relazione al singolo fatto concreto, potendo accadere che sussista in relazione ad un fatto e non in relazione ad un altro. Il suo accertamento ha pertanto valore solo in relazione al procedimento penale in cui è condotto. La sua sussistenza va inoltre riferita al momento in cui è stato commesso il fatto; è invece irrilevante il momento in cui si è realizzato l’evento.

L’imputabilità va, come già detto, distinta dalla suitas, rappresentando uno status, una condizione personale dell’autore. Può esservi imputabilità senza suitas e viceversa.

Quanto invece ai rapporti con la colpevolezza, la dottrina tradizionale e la giurisprudenza prevalente ritiene, aderendo alla concezione psicologica della colpevolezza, che si tratti di due elementi distinti che operino su piani diversi, dovendo considerarsi l’imputabilità come “capacità di pena”.

Più di recente si è andata tuttavia affermando la tesi che assegna all’imputabilità valenza di presupposto del giudizio di rimproverabilità di cui consta la colpevolezza; sicchè in assenza di imputabilità, il fatto non è rimproverabile al suo autore (concezione normativa della colpevolezza). A tale impostazione hanno espressamente aderito S.U. 9163/2005.

L’adesione all’uno o all’altro orientamento comporta notevoli risvolti applicativi. Se si ritiene che la colpevolezza prescinda dall’imputabilità, anche a carico del non imputabile pare configurarsi il reato con possibilità di estendere a questo anche le circostanze di tipo soggettivo. Diversamente, aderendo all’altra tesi, il fatto configurabile a carico del non imputabile sarà antigiuridico e tipico, ma non colpevole. Tuttavia anche senza imputabilità e colpevolezza parrebbe che la legge ammetta la configurazione del reato, se si considerano quelle disposizioni che fanno riferimento al fatto commesso dal non imputabile (v. artt. 86, 111, 648 c.p.).

Inoltre ne deriva anche una diversa rilevanza ascritta all’errore del non imputabile. Secondo il primo orientamento infatti l’art. 47 c.p. trova incondizionata applicazione anche nei confronti dei non imputabili. Viceversa per i fautori della tesi contraria, occorre distinguere tra errore patologico e errore normale. Il primo non avrebbe alcuna autonoma rilevanza, essendo conseguenza della stessa non imputabilità. Il secondo invece ha efficacia scusante, non dipendendo dall’infermità dell’autore, potendo lo stesso indurre in errore anche soggetti pienamente imputabili.

Cause di esclusione dell’imputabilità.

Venendo adesso alle cause di esclusione dell’imputabilità, esse possono suddividersi in cause fisiologiche (minore età), patologiche (infermità) e di natura tossica (ubriachezza o intossicazione cronica).

A tenore dell’art. 97 c.p. non è imputabile chi al momento in cui ha commesso il fatto non aveva compiuto gli anni 14 (presunzione assoluta), ferma l’applicazione di misure di sicurezza ai soggetti (ancorchè di minore età) ritenuti socialmente pericolosi. Diversamente per  i maggiorenni vige una presunzione relativa di imputabilità, superabile da prova contraria.

Ai sensi dell’art. 98 c.p. invece, per i minori degli anni 18 ma che abbiano già compito i 14 anni, occorre un accertamento in concreto, caso per caso, della capacità di intendere e di volere del minore (v. anche art. 9 d.p.r. 448/1988 sul processo penale minorile).

Ove si concluda per la sussistenza dell’imputabilità, il minore sarà assoggettato alla pena prevista per il fatto commesso, ma potrà usufruire di una diminuzione prevista in ragione della sua età oltre che di agevolazioni in tema di pene accessorie. Viceversa, il minore andrà esente da pena.

Immaturità e infermità sono concetti però da tenere distinti, in quanto il minore – pur maturo – può versare in una condizione di infermità totale o parziale. In tal caso troveranno applicazione allora gli artt. 88 e 89 c.p., con la precisazione che in caso di infermità parziale il minore godrà di una doppia diminuzione di pena: quella prevista dall’art. 98 e quella prevista per i seminfermi dall’art. 89.

Ai sensi dell’art. 88 c.p. non è imputabile chi nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere.

Occorre quindi che l’infermità abbia azzerato la capacità di intendere o di volere del soggetto.

L’infermità può essere di qualsiasi genere, tanto psichica che fisica, tanto permanente quanto transitoria. Quanto all’infermità psichica, essa deve intendersi non necessariamente causata da una malattia mentale psichiatrica in senso stretto, potendo anche derivare da altre deficienze psichiche (es. l’imbecillità) o situazioni morbose (psicopatie, gravi disturbi della personalità).

In particolare sui disturbi della personalità, si ritiene che non possa affermarsi la loro assoluta inidoneità ad integrare un’ipotesi di incapacità di intendere e di volere, i quali, quando dotati di consistenza, gravità e intensità tali da incidere su tale capacità possono ben escluderla o scemarla grandemente. Va, invece, esclusa la rilevanza di stati emotivi o passionali, ai sensi dell’art. 90 c.p. Non può nondimeno escludersi che gli stessi possano rappresentare un indice sintomatico di un infermità patologica.

La presenza di un’infermità che incida sulla imputabilità va riferita al momento di commissione del fatto. Si pone pertanto qualche difficoltà nella valutazione dell’imputabilità di un soggetto che sia affetto da una malattia mentale in cui si alternino momenti di alterazione a momenti di lucidità. Allorchè il soggetto delinqua in un momento di lucido intervallo, è sempre necessario infatti verificare se il reato sia stato commesso in una fase libera da disturbi di natura patologica o se invece il fatto commesso è comunque espressivo di alterazioni di tipo psichiatrico.

Il vizio di mente può essere parziale o totale. La differenza è di tipo quantitativo e afferisce all’intensità della lesione arrecata dall’infermità alla capacità di intendere e di volere. Nel vizio totale, l’infermità esclude totalmente tale capacità; in quello parziale, la limita soltanto. Se infatti si ha proscioglimento nel caso di vizio totale, nel caso di vizio parziale invece il soggetto verrà condannato, ma ad una pena ridotta. Si tratterebbe dunque di una circostanza attenuante di tipo soggettivo inerente le condizioni del colpevole, e come tale soggetta al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.

Il vizio parziale di mente va poi distinto dalla incapacità settoriale, che consiste in un’anomalia psichica che incide su un settore circoscritto della mente (es. piromania), la quale potrebbe anche condurre ad un giudizio di totale inimputabilità del reo.

Quanto alle cause di esclusione dell’imputabilità di natura tossica, l’ubriachezza esclude l’imputabilità solo ove sia accidentale, cioè ove derivi da caso fortuito o forza maggiore. Se l’ubriachezza non è piena, e quindi sussiste parziale capacità di intendere o di volere, il reo è condannato ma a pena diminuita (art. 91 c.p.). Quanto ai rapporti tra la norma da ultimo citata e l’art. 89 c.p., si dibatte in merito all’applicazione di una doppia riduzione di pena ex artt. 89 o 91 c.p., o di quella solo prevista dall’art. 91 o 89.

Non esclude ne diminuisce l’imputabilità invece l’ubriachezza volontaria o colposa (art. 92, co. 1 c.p.), così come l’uso di stupefacenti (art. 93). In tale ipotesi, secondo dottrina e giurisprudenza di maggioranza, il titolo di imputazione soggettiva del dolo o della colpa va individuato al momento del fatto ( e non dell’ubriachezza), secondo un accertamento condotto caso per caso secondo i normali criteri. Non si possono tacere in merito i dubbi di costituzionalità dell’art. 92 con l’art. 27 Cost., rinvenendosi in tale disciplina l’introduzione di una finzione legale di imputabilità che finisce per introdurre un’ipotesi mascherata di responsabilità oggettiva. Alcuni hanno infatti proposto una diversa lettura dell’art. 92, il quale si limiterebbe ad affermare che l’ubriachezza de qua non esclude l’imputabilità, senza tuttavia prevedere che tale imputabilità implichi automaticamente la colpevolezza del reato commesso.

L’ubriachezza è invece preordinata quando viene posta in essere allo scopo di commettere un reato o di prepararsi una scusa (art. 92 co. 2 c.p.). Si tratta di una fattispecie esemplificativa dell’actio libera in causa, prevista dall’art. 87 c.p. Tale preordinazione giustifica anche il rigore sanzionatorio che connota la disciplina de qua, implicante un aggravamento di pena.

L’ubriachezza abituale comporta anch’essa un aumento di pena, nonché la possibilità di applicare una misura di sicurezza. Essa richiede due condizioni: la dedizione del soggetto al consumo di alcol o stupefacenti e il frequente stato di ubriachezza. Parte della dottrina più recente è alquanto critica nei confronti di tale disposizione, in quanto chiama l’ubriaco a rispondere per la propria condotta di vita e ne auspica la abolizione.

Ai sensi dell’art. 95 c.p., la cronica intossicazione da alcol o da stupefacenti può escludere o limitare la capacità di intendere e di volere. Si ha cronica intossicazione quando vi sia impossibilità di guarigione per il soggetto, sicchè vi sia in atto una vera e propria patologia, che giustifica l’applicazione degli artt. 88 e 89 c.p. La cronica intossicazione  va distinta dall’ubriachezza abituale, la quale causa una mera dipendenza fisica, mentre la prima è idonea a cagionare tanto una dipendenza fisica che psichica, tale da compromettere la capacità del soggetto (si vedano le crisi di astinenza).

Il legislatore dichiara poi non imputabile il sordomuto che nel momento in cui ha commesso il fatto non era , a causa della sua infermità, capace di intendere e di volere. Anche qui può venire in rilievo una parziale imputabilità, con conseguente condanna a pena diminuita. Si tratta di un accertamento che il giudice deve compiere caso per caso. Oggi, in realtà, tale norma appare superata, attesa comunque la sussumibilità del sordomutismo all’interno degli artt. 88 e 89, e inappropriata, attese le moderne conoscenze mediche e le tecniche di recupero funzionale di tali soggetti.

Ai sensi dell’art. 86 c.p., se taluno mette altri nello stato d’incapacità di intendere e di volere, al fine di fargli commettere un reato, del reato commesso dalla persona resa incapace, ne risponde chi ha cagionato lo stato di incapacità. Il determinatore può essere considerato responsabile a titolo di dolo o colpa. Tale disposizione va inoltre letta in coordinato disposto con l’art. 613, che punisce chi pone, con varie condotte alternative, una persona senza il consenso di questa in stato di incapacità. Il soggetto reso incapace sarà invece parimenti responsabile del commesso reato, quando abbia prestato il consenso alla induzione in stato di incapacità (actio libera in causa). Si evidenzia inoltre come l’art. 86 c.p. trovi applicazione solo nei casi di sussistenza di uno stato di incapacità totale. Ove infatti sia ravvisabile una parziale capacità, non può escludersi la responsabilità del soggetto, ma si tratterà di un’ipotesi di concorso materiale di persone nel reato.

L’ Actio libera in causa.

L’art. 87 c.p. dispone invece che la prima parte della disposizione di cui all’art. 85 c.p. non si applica a chi si è messo in condizione di incapacità di intendere e di volere al fine di commettere un reato o di prepararsi una scusa. In tale ipotesi per giustificare la responsabilità del soggetto incapace si ricorre al paradigma delle actiones liberae in causa, il quale consente di retrocedere il giudizio di rimproverabilità al momento in cui il soggetto ha liberamente scelto di porsi in tale stato di incapacità al fine di commettere un reato o prepararsi una scusa.

Tale norma trova innanzitutto applicazione, come detto, nel caso di ubriachezza preordinata di cui all’art. 92 co. 2 o di assunzione preordinata di stupefacenti di cui all’art. 93. La maggior parte della dottrina ritiene che l’art. 87 trovi applicazione solo con riguardo a fattispecie imputabili a titolo di dolo.

Nello spettro di applicazione dell’art. 87 non sono sussumibili le condotte di coloro che si pongano nella impossibilità di agire, poiché in tali casi non si verifica una procurata incapacità di intendere o di volere. Sembrano invece potersi ricomprendere in tale norma le ipotesi di incapacità procurata da terzi con il consenso del soggetto.

Secondo l’impostazione preferibile, il fondamento della punibilità del soggetto non imputabile di cui all’art. 87 risiede nella colpevolezza, venendo al soggetto mosso il rimprovero di essersi posto in condizione di incapacità per commettere il reato.

Quanto alla valorizzazione del momento in cui il soggetto si procura l’incapacità, secondo parte della dottrina in tali ipotesi l’azione esecutiva del reato ha inizio nel momento in cui il soggetto si pone volontariamente nella condizione di incapacità, sicchè ad es. in tema di errore, esso avrà rilievo solo se indipendente dall’incapacità procurata, così come le cause di giustificazione rileveranno sin dal momento della procura incapacità al momento della commissione del preordinato reato.

Quanto ai rapporti con l’art. 85 c.p., secondo l’orientamento prevalente l’art. 87 pone una deroga al suddetto articolo, che richiede la capacità di intendere e di volere al momento del fatto per potersi avere responsabilità. Chi invece ritiene che l’art. 87 ponga semplicemente un’anticipazione dell’inizio dell’esecuzione del reato, ne afferma la conformità alle regole generali in tema di imputabilità.

L’adesione all’una o all’altra tesi comporta una ricaduta pratica in ordine all’individuazione della soglia di rilevanza del tentativo punibile, posto che secondo l’interpretazione prevalente essa va individuata negli atti idonei e diretti in mondo non equivoco alla commissione del reato programmato in ossequio alle regole ordinarie; secondo quella contraria invece , il tentativo sarebbe configurabile già nel caso di atti preparatori diretti a creare lo stato di incapacità

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.