Il recidivo nel reato, art. 99 c.p. Recidiva obbligatoria e recidiva facoltativa: Corte Cost. n. 185/2015

recidiva 99 c.p.

La recidiva (dal latino recidivum, “colui che ricade”) indica lo status di colui che essendo già stato condannato in via definitiva per un reato, ne commette uno o più altri.

Trattasi di un vero e proprio status oggetto di accertamento giudiziario, che inerisce alla persona del colpevole.

Quanto alla natura giuridica dell’istituto in parola, in giurisprudenza è prevalente la tesi che configura la recidiva come circostanza aggravante di natura soggettiva, inerente la persone del colpevole. Essa, infatti, al pari di altri elementi la cui natura circostanziale non è posta in dubbio, esplica un’efficacia extraedittale sulla pena, atteso che è idonea a ricondurre la sanzione finale oltre i limiti di pena fissati dalla norma di riferimento, assolvendo al contempo la funzione di commisurazione della pena, adeguandola al fatto commesso (così SS.UU. n. 20798/11).

Più nel dettaglio, la recidiva richiede l’accertamento nel caso concreto della relazione qualificata tra lo status e il fatto, che deve risultare sintomatico di una maggiore attitudine a delinquere del reo, idonea a incidere sulla risposta punitiva, dovendosi fuggire da qualsivoglia automatismo applicativo.

Il codice penale opera una classificazione dell’istituto. Si distingue infatti tra:

  • Recidiva semplice, che ricorre allorché un soggetto già condannato commette un altro reato di tipo diverso;
  • Recidiva aggravata, che ricorre in tre diverse ipotesi:
  1. Quando il nuovo reato commesso dal reo sia della stessa indole del precedente (recidiva specifica);
  2. Quando il nuovo reato è commesso nell’arco di 5 anni dalla condanna precedente (recidiva infraquinquennale);
  3. Quando il nuovo reato è commesso durante o dopo l’esecuzione della pena o durante il tempo in cui il reo si sottrae volontariamente ad essa (recidiva vera);
  • Recidiva reiterata, quando il reato viene commesso da persona già qualificata come recidiva. La recidiva reiterata può essere semplice o aggravata.

Com’è noto, la recidiva è stata oggetto di riforma ad opera della l. 251/2005 (L. ex Cirelli), che ha adottato un regime composto dell’istituto: per alcuni casi è prevista la facoltatività della sua applicazione (art. 99, commi 1, 2 e 4), per altri invece risulta obbligatoria (art. 99 co. 5 c.p.).

È venuta meno inoltre la genericità della sua applicazione, potendo essere applicata solo per i delitti non colposi.

L’art. 99 co. 5 c.p., così come introdotto dalla legge ex Cirelli, stabiliva che se un soggetto già condannato per un reato ne commette un altro rientrante nel catalogo dei delitti di “grave allarme sociale” (art. 407, comma 2, lett. a, c.p.p.), l’aumento di pena per la recidiva è obbligatorio. Il fondamento giuridico di tale disposizione veniva, dalla giurisprudenza, individuato nella più marcata colpevolezza e nella maggiore pericolosità del reo che commette tali delitti. Rimanevano invece come facoltative tutte le ipotesi di recidiva diverse da quella appena accennata, compresa la recidiva reiterata di cui all’art. 99, comma 4, c.p. (in cui l’obbligatorietà attiene semmai al quantum di aumento di pena da irrogare in virtù della sua applicazione).

La Quinta Sezione della Cassazione e la Corte d’appello di Napoli hanno tuttavia sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 99 co. 5 c.p., ritenendo che tale disposizione violi sia il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. (non lasciando alcuno spazio al giudicante per valutare la rilevanza e la significatività in concreto del “nuovo” reato sotto il profilo della espressione della maggiore pericolosità del soggetto che lo ha compiuto), sia il principio di proporzionalità tra pena ed offesa di cui all’art. 27, comma 3, Cost.( in quanto la preclusione dell’accertamento giurisdizionale della sussistenza, nel caso concreto, delle condizioni “sostanziali” legittimanti l’applicazione della recidiva renderebbe la pena palesemente sproporzionata, vanificandone, già a livello di comminatoria legislativa astratta, la finalità rieducativa).

La Corte Costituzionale, investita della questione, ha condiviso tutte le censure di incostituzionalità (v. Corte Costituzionale, sent. 23 luglio 2015, n. 185).

Secondo i Giudici delle leggi infatti, nel caso previsto dall’art. 99, comma 5, c.p., l’aumento della pena consegue automaticamente al mero riscontro formale della precedente condanna e dell’essere il nuovo reato compreso nell’elenco dell’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p., senza che il giudice sia tenuto ad accertare se, in concreto, in rapporto ai precedenti, il nuovo delitto sia indicativo di una più accentuata colpevolezza o maggiore pericolosità del reo, con la conseguenza di porre in essere un vero e proprio automatismo sanzionatorio che si pone in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.

Si legge nel testo della sentenza, come “… il rigido automatismo sanzionatorio cui dà luogo la norma censurata – collegando l’automatico e obbligatorio aumento di pena esclusivamente al dato formale del titolo di reato commesso – è del tutto privo di ragionevolezza, perché inadeguato a neutralizzare gli elementi eventualmente desumibili dalla natura e dal tempo di commissione dei precedenti reati e dagli altri parametri che dovrebbero formare oggetto della valutazione del giudice, prima di riconoscere che i precedenti penali sono indicativi di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo”.

Guardando infine al trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 99 c.p., sono previsti i seguenti aumenti di pena:

  1. Di un terzo in caso di recidiva semplice (co.1);
  2. Della metà in caso di recidiva aggravata (co. 2);
  3. Sino alla metà in caso di concorso di più circostanze (co. 3);
  4. Della metà o di due terzi in caso di recidiva reiterata (co. 4).

La giurisprudenza prevalente ritiene che le ipotesi previste ai commi 3 e 4 siano facoltative nell’an e obbligatorie nel quantum dell’aumento. Il giudice decide discrezionalmente se applicare la recidiva, ed in caso di applicazione deve procedere all’aumento di pena predeterminato in misura fissa dal Legislatore.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.