Le Sez. Un. sulla restituzione nel termine per appellare e accesso al rito abbreviato

Sez. Un., sentenza n. 52274, ud. 29 settembre 2016 – deposito 7 dicembre 2016 (Presidente G. Canzio; Relatore S. Amoresano – Disposta la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado, ai sensi dell’art. 175 comma 2, c.p.p., nel testo vigente prima della entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67, applicabile ai procedimenti in corso a norma dell’art. 15 bis della legge citata, l’imputato, il quale non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento, può chiedere al Giudice di appello d essere ammesso a un rito alternativo (nella specie: giudizio abbreviato).


Dopo essere stato condannato in primo grado alla pena di anni 2, mesi 2 di reclusione ed euro 600,00 di multa per il reato di cui agli artt. 648, 110 e 81 c.p., l’imputato chiedeva al Giudice dell’esecuzione che venisse declarata la nullità degli atti del processo a suo carico e, in subordine, di essere rimesso in termini per impugnare la sentenza ai sensi dell’art. 175, comma 2, c.p.p., per essere la sentenza stata emessa in contumacia.

Il Giudice accoglieva la richiesta subordinata.

Innanzi al Giudice dell’impugnazione, l’imputato chiedeva allora l’ammissione al rito abbreviato; richiesta, che veniva rigettata, rilevandosi che l’accesso a riti alternativi fosse ormai precluso dall’esaurimento della fase precedente.

Proponeva allora ricorso in Cassazione l’imputato, deducendo – tra altro – che il Giudice dell’appello non avesse considerato che egli non aveva mai ricevuto la notifica del decreto di citazione a giudizio e che, quindi, era stato in precedenza nella possibilità di far richiesta di ammissione a un rito alternativo.

La Seconda Sezione, investita del ricorso, ravvisando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, rimetteva alle Sezioni Unite la seguente questione:

Se la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado ai sensi dell’art. 175, comma 2, c.p.p. (nel testo antecedente alla novella di cui alla legge n. 67 del 2014) legittimi la richiesta al Giudice di appello di rimessione nel termine per l’ammissione ad un rito alternativo”.

Sul punto, infatti, era dato rilevare due diversi orientamenti:

– secondo un primo approccio, l’imputato rimesso in termini, secondo il testo della normativa vigente ante riforma ex L. 28 aprile 2014, n. 67, non può chiedere l’accesso a riti alternativi;

– secondo un diverso orientamento, invece, si è osservato come, in termini sistematici, la rimessioni in termini dell’imputato per impugnare è rimedio insufficiente, ove non accompagnato da rimedi idonei a reintegrare l’imputato dei diritti e facoltà che egli è stato impossibilitato ad esercitare in primo grado.

Le Sezioni Unite, preliminarmente, premettono una breve analisi sulla evoluzione storica dell’istituto della restituzione nel termine, fino ad arrivare all’emanazione della L. 67/2014, con la quale il Legislatore ha riordinato l’intera materia, prevedendo interventi preventivi del Giudice in ordine alla verifica della effettiva conoscenza (art. 420 ter) o successivi (art. 625 ter) ed abrogando l’art. 175, comma 2, e l’art. 603, comma 4, c.p.p.

Orbene, è pacifico che nel caso in oggetto, trovi applicazione la disciplina precedente la riforma; e ciò per effetto dell’art. 15 bis della L. 67/2014 (norma transitoria), essendo la sentenza di primo grado intervenuta in data 24 maggio 2005, e quindi prima dell’entrata in vigore della legge predetta

Tuttavia, l’evoluzione caratterrizzante l’istituto in parola – rileva la Corte – si riflette indubbiamente sull’interpretazione della norma medesima, nonché sul richiamato contrasto giurisprudenziale.

In particolare, la definitiva riformulazione dell’art. 175 c.p.p. va letta ed interpretata nel contesto delle decisioni della Corte di Strasburgo che obbligavano lo Stato italiano ad adottare le misure necessarie per garantire all’imputato, assente inconsapevole, l’esercizio dei diritti di difesa (v. F.C.B. c. Italia, 28 agosto 1991; Somogyi c. Italia, 18 maggio 2004).

E segnatamente – proseguono le Sezioni Unite -, laddove la rimessione nel termine dipenda dalla mancata conoscenza del procedimento ab initio, non si comprende come l’imputato possa far richiesta dei riti alternativi, prima e a prescindere dalla restituzione nel termine per impugnare la sentenza di primo grado… è insostenibile che la richiesta di rimessione per avvalersi dei riti alternativi, da proporre a norma dell’art. 175, comma 1, possa essere avanzata in modo autonomo e indipendente rispetto alla richiesta di rimessione in termini per impugnare la sentenza di primo grado, perché l’ostacolo di una sentenza irrevocabile renderebbe inamissibile qualsiasi richiesta di “riapertura” del procedimento. Né, tanto meno, viene spiegato, con sufficiente chiarezza, da quale momento dovrebbe decorrere il termine di dieci giorni, previsto dal comma 1 dell’art. 175 c.p.p., per presentare la richiesta.

Affinchè la riscrittura dell’art. 175 sia conforme all’art. 6 CEDU ed ai principi del giusto processo in esso espressi, occorre che di tale norme venga data una interpretazione che consenta all’imputato di esercitare tutti i diritti di difesa che in precedenza non ha potuto far valere, per la mancata conoscenza incolpevole del procedimento a suo carico, sempreché tale esercizio non stravolga, o non sia comunque incompatibile, con la fase processuale instaurata a seguito della restituzione nel termine.

Diversamente, detta restituzione sarebbe inefficace, ove non permetta all’imputato di esercitare il proprio inviolabile diritto di difesa, del quale costituisce espressione la facoltà di chiedere l’accesso a riti speciali.

Si ricordi, anche, come la stessa Corte Costituzionale abbia affermato, a più riprese, che la richiesta di riti alternativi, siccome espressione del diritto di difesa ex art. 24 comma 2 Cost., debba essere riconosciuta tutte le volte in cui l’imputato, per cause indipendenti dalla sua volontà, non l’abbia potuta proporre nei tempi e nei modi previsti dal codice di rito (cfr. sentenza n. 265/1994; n. 530/1995; n. 333/2009, n. 237/2012; n. 184/2014).

È evidente che l’imputato che non abbia avuto conoscenza del procedimento, non si è trovato nella condizione di potersi avvalere dei riti alternativi nei termini perentori stabiliti dal codice. Precludergli tale facoltà, anche dopo la restituzione in termini ex art. 175 comma 2, significherebbe violare gravemente il suo diritto di difesa.

Né la ragionevole durata del processo verrebbe compromessa, dalla facoltà di accedere ai riti alternativi, i quali rispondono proprio ad esigenze di deflazione dei processi. Ma a del tutto voler prescindere, per espresso dictum dello stesso Giudice delle Leggi, il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione… ciò che rileva è esclusivamente la durata del giusto processo; (…) un processo non giusto, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che ne sia la durata (C.Cost. n. 317/2009, già cit.).

Da quanto tutto sopra premesso, consegue, dunque, che all’imputato – restituito nel termine ex art. 175, comma 2, c.p.p. – deve essere riconosciuta, attraverso una interpretazione della disposizione costituzionalmente orientata e conforme alle norme convenzionali e alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la facoltà di richiedere con il primo atto di impulso processuale (nel caso di specie, l’appello) uno dei riti alternativi.

Scarica il testo della sentenza 52274_2016

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.