Con la pronuncia oggetto del presente titolo, la Corte di Cassazione è stata investita di un ricorso per saltum, presentato dal Pubblico Ministero avverso la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale monocratico di Torino, con la quale si assolvevano tutti gli imputati – perché il fatto non costituisce reato – dal delitto di ricettazione di farmaci anabolizzanti, provento del delitto previsto dall’art. 9/7 L. 376/2000 di commercio di farmaci ricompresi nella classi di cui all’art. 2 della suddetta legge.
Più in dettaglio, il Giudice del primo grado era giunto alla conclusione che il compendio probatorio non consentisse di ritenere raggiunta la prova in ordine all’elemento soggettivo del delitto di ricettazione ascritto a ciascun imputato (…), non potendo affermarsi che ciascuno degli imputati avesse ricevuto i farmaci e le sostanze indicate in imputazione al fine di procurare a sé o ad altri un profitto. (…) Dalle risultanze istruttorie non emergeva infatti alcun elemento che consentisse di ipotizzare che tali prodotti farmaceutici fossero dagli imputati rivenduti a terzi o, comunque, ceduti ad altri. Emergevano, invece, elementi che avvaloravano l’ipotesi che tutti gli imputati avessero ricevuto le sostanze in oggetto al fine di fame uso personale allo scopo di migliorare l’estetica del proprio profilo fisico.
La Corte, investita del ricorso, mostra di prendere le distanze dalla conclusione alla quale è pervenuto il Giudice di primo grado.
Il ragionamento logico-giuridico seguito dagli Ermellini prende le mosse dall’analisi della ratio del reato di ricettazione, la quale consiste, sostanzialmente, nell’intento di bloccare “a valle” la circolazione di beni che siano provento di reato: infatti, il ricettatore è, spesso, punito più gravemente di chi abbia commesso il reato presupposto.
La ricettazione è un reato a dolo specifico, posto che l’art. 648 c.p. richiede , quale elemento costitutivo della fattispecie, che l’agente agisca al fine di procurare a sé o ad altri un profitto.
Quanto alla nozione di profitto questo andrebbe rinvenuto – ad avviso della Corte – ogni qualvolta il patrimonio del soggetto agente, per effetto del reato, s’incrementa di un bene che abbia la capacità di soddisfare un bisogno umano (sia esso di natura economico o spirituale) che prima non aveva.
Ebbene, nel caso di specie, gli imputati hanno incrementato il proprio patrimonio di beni che, non avrebbero potuto acquistare nel mercato legale o lo avrebbero potuto solo a condizioni diverse. Solo per effetto della ricettazione, questi hanno potuto soddisfare quel loro bisogno “edonistico” di incrementare la propria massa muscolare; bisogno che, ove fossero ricorsi al “circuito” legale, di certo non avrebbero potuto conseguire o, comunque, lo avrebbero conseguito in misura diversa, in quanto, quelle sostanze, vanno prescritte su prescrizione medica e per necessità terapeutiche che solo un medico può valutare.
L’errore di giudizio in cui sarebbe incorso il giudice del merito – si legge in sentenza – è stato allora quello di aver confuso e sovrapposto tre concetti che vanno tenuti rigorosamente separati:
- il dolo specifico, configurabile nel caso di specie perché gli imputati hanno voluto e si sono rappresentati che dall’acquisto di quei farmaci, avrebbero tratto “un profitto”;
- “il profitto“, individuato nella ricezione di beni (sostanze dopanti) che, avendo un valore economico, hanno incrementato il loro “patrimonio” potendo trarre da essi un vantaggio e, quindi, idonei a soddisfare un proprio bisogno (materiale o spirituale);
- il “movente” per cui decisero di ricettare quei beni, ossia”per soli fini edonistici“, il quale è irrilevante ai fini della configurabilità del reato, potendo essere preso in esame solo ai fini del trattamento sanzionatorio .
Pertanto, alla luce di tali argomentazione, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata e pronunciato il seguente principio di diritto:
“Il profitto, il cui conseguimento integra il dolo specifico del reato di ricettazione, può avere anche natura non patrimoniale. Il profitto nel delitto di ricettazione è configurabile ogni qual volta, per effetto del reato, il patrimonio del soggetto agente s’incrementa di un bene dal quale il medesimo possa trarre un vantaggio e, quindi, in sé, idoneo a soddisfare un bisogno umano, sia esso di natura economico o spirituale: conseguentemente risponde del delitto di ricettazione l’agente che acquisiti o riceva farmaci e sostanze dopanti provento del delitto di cui all’art. 9/7 Legge 376/2000; Ai fini del delitto di ricettazione è irrilevante il movente, ossia la causa psichica che ha indotto l’agente ad agire, potendo il medesimo essere preso in considerazione ai soli fini del trattamento sanzionatorio”.