Finanziamento illecito ai partiti: le norme penali non si applicano ai candidati a Sindaco

Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale

Sentenza n. 28045 ud. 29/11/2016 – deposito del 07/06/2017

PARTITI POLITICI – FINANZIAMENTO ILLECITO AI PARTITI – DISPOSIZIONI PENALI – AMBITO APPLICATIVO – ESTENSIONE AI MEMBRI DEL PARLAMENTO, AI CONSIGLIERI REGIONALI, PROVINCIALI E COMUNALI E AI CANDIDATI ALLE PREDETTE CARICHE – CANDIDATO ALLA CARICA DI SINDACO – APPLICABILITÀ DELLE DISPOSIZIONI PENALI – ESCLUSIONE.


La Terza sezione della Corte di cassazione ha affermato che le disposizioni penali concernenti il finanziamento illecito ai partiti politici e ai gruppi parlamentari, previste dall’art. 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, non si applicano ai candidati alla carica di sindaco, in quanto tale ipotesi non è stata contemplata dall’art. 4, comma 1, della legge 18 novembre 1981, n. 659, che ha esteso l’applicabilità delle predette disposizioni solo ai membri del Parlamento nazionale ed europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, nonché ai candidati alle predette cariche.

Dal combinato disposto degli artt. 7 L. 195/1974 e 4 L. 659/1981, emerge ictu oculi l’assenza del nominativo del sindaco (o candidato a tale carica) quale destinatario della norma. Ebbene, l’indicazione dei soggetti destinatari individuati, in particolare, dall’art. 4 su citato è da ritenersi – secondo il convincimento del Collegio – tassativa, sicché trattandosi di norme di stretta interpretazione in relazione alla valenza penale che essa assume per il richiamo all’art. 7 L. 195/1974, l’estensione a determinate categorie di soggetti non menzionati nel testo di legge è da ritenersi assolutamente preclusa.

Interpretazione estensiva e interpretazione analogica

A tal fine, la Corte richiama brevemente il discrimine tra interpretazione estensiva (consentita in materia penale) ed interpretazione analogica (vietata se in malam partem). Mentre l’interpretazione estensiva opera tutte le volte in cui la norma è applicata a un caso da essa previsto, nel rispetto dunque del suo tenore letterale ed a chiarimento del significato della norma; l’analogia ricorre ogni volta si applica la norma oltre i casi in essa, espressamente o implicitamente, previsti in presenza di un rapporto di similitudine tra un caso, espressamente disciplinato, e un caso non previsto che permette di estendere al secondo la previsione utilizzata per il primo.

Il divieto di analogia in malam partem

Alla stregua di tale assunto, il Collegio ritiene che l’operazione ermeneutica compiuta nei precedenti gradi di giudizio non appare per nulla rispettosa del divieto di analogia in malam partem. Evidente infatti come, preso atto della mancata indicazione del sindaco (o del candidato a tale carica istituzionale) tra i destinatari della norma penale, la Corte di merito abbia, con una vera e propria opera di “ortopedia” giuridica, incluso comunque il sindaco tra i soggetti destinatari in nome di una presunta irragionevolezza della norma e di una interpretazione diversa; laddove, invece, secondo gli Ermellini la vera irragionevolezza vada riferita all’interpretazione analogica effettuata dalla Corte di appello, spacciandola per interpretazione estensiva.

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Cass_III_28045_del_2017

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.