Libertà di riunione, autorizzazioni di polizia e poter di scioglimento

La libertà di riunione trova la sua disciplina fondamentale nell’art. 17 Cost., il quale testualmente dispone che “i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senza armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.”

Essa trova tutela anche a livello sovranazionale, ove l’art. 11 CEDU dispone ulteriormente che la libertà di riunione, unitamente a quella di associazione, assurge a strumento essenziale della formazione di una sfera pubblica comunicativa ed aperta e di un’opinione pubblica democratica (c. P. Ridola).

La libertà di riunione rientra nel novero delle libertà negative o libertà dallo Stato, che si caratterizzano come diritti pubblici soggettivi aventi come oggetto la sfera di autonomia dei cittadini dallo Stato. Quale libertà negativa, il diritto di riunione rientra fra i diritti inviolabili che l’art. 2 Cost. riconosce e garantisce all’uomo sia uti singuli , sia nelle formazioni sociali ove egli sviluppa la sua personalità.

L’art. 17 Cost. non fornisce una definizione espressa della nozione di riunione, lasciando questo compito all’interprete. A tal proposito è da ritenere che essa consista nella contemporanea presenza di più persone nello stesso luogo, ove ciascun partecipante soddisfa un proprio interesse singolarmente per il solo fatto di prendere parte alla riunione. Ne consegue che tale nozione è intesa in senso ampio, capace di ricomprendere assemblee, adunanze, cortei, processioni, sit-in, e così via.

Il diritto di riunione non è illimitato. Il suo esercizio sarà costituzionalmente legittimo se avverrà pacificamente e senz’armi, ossia in modo non violento.

La Carta Costituzionale effettua poi una distinzione tra riunioni in luogo aperto al pubblico (spazio fisico separato dal mondo esterno, il cui ingresso è tuttavia aperto a un numero tendenzialmente indeterminato di persone) e riunioni in luogo pubblico (spazio indistinto dal mondo esterno e libero all’accesso di chiunque, quali vie, piazze, parchi, etc). Solo in relazione alle riunioni in luogo pubblico viene previsto un obbligo di preavviso alle Autorità in capo ai promotori.

L’art. 18 T.U.L.P.S. prevede poi, a livello ordinario, che i promotori devono adempiere al suddetto obbligo di preavviso almeno tre giorni prima nei confronti del Questore. La norma prevede inoltre che , nel caso in cui sia omesso il preavviso, i promotori siano «puniti con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da € 103 a € 413» e che alla stessa pena soggiacciano «coloro che prendono la parola», ma solo qualora questi siano a conoscenza della violazione dell’obbligo di preavviso (sul punto v. C. Cost. 11 giugno 1970, n. 90).

D’altronde la finalità del preavviso è finalizzata al fine di consentirne la valutazione circa la necessità di predisporre una adeguata vigilanza da parte delle Autorità preposte all’Ordine e Sicurezza pubblica, ovvero di esprimere un diniego in presenza di cause ostative.

Ai sensi del comma 4 del medesimo art. 18, in caso di omesso avviso ovvero per ragioni di ordine pubblico, di moralità o di sanità pubblica, è infatti attribuito al Questore un potere interdittivo, consistente nel vietare lo svolgimento delle riunioni, o in alternativa un potere prescrittivo, consistente nell’imposizione di prescrizioni in ordine alle modalità di tempo e luogo della riunione, sanzionando penalmente i contravventori con un pena pecuniaria.

Nonostante il tenore letterale della norma testé citata, è da ritenere che l’omissione del preavviso non costituisca ex se ragione di interdizione (né di scioglimento) della manifestazione; dal combinato disposto dell’art. 17 Cost. emerge infatti che i poteri interdittivi del Questore presuppongano ben altre condizioni.

Sempre in ordine al tema dell’omesso preavviso, ci si è altresì domandati se lo svolgimento della riunione in palese violazione del divieto del Questore di cui all’art. 18 T.U.L.P.S. possa invece costituire motivo di scioglimento della stessa. Sul punto, la dottrina prevalente qualifica come insufficiente il predetto elemento, sia perchè il mancato rispetto del divieto integra gli estremi di un reato di natura contravvenzionale ( e non di un delitto ex art. 20 T.U.L.P.S.), sia perchè lo scioglimento può essere disposto solo a fronte di un concreto pericolo per l’ordine pubblico oppure qualora non sia rispettato, nei termini sopraindicati, il dettato costituzionale di cui al comma 1 dell’art. 17 Costituzione.

Carattere di ultima ratio riveste infine il potere di scioglimento della riunione attribuito all’Autorità di P.S. e disciplinato dall’art. 20 T.U.L.P.S. Esso può essere esercitato quando, in occasione di riunioni o di assembramenti in luogo pubblico, o aperto al pubblico, avvengono manifestazioni o grida sedizione o lesive del prestigio dell’autorità o che comunque possono mettere in pericolo l’ordine pubblico o la sicurezza dei cittadini, ovvero quando nelle riunioni o negli assembramenti predetti sono commessi delitti. La ratio della disposizione può facilmente individuarsi nell’intenzione di colpire tutte quelle situazioni di strumentalizzazione di una riunione in luogo pubblico per obbiettivi volti a destabilizzare l’ordinamento giuridico, politico ed istituzionale.

Il procedimento di scioglimento inizia con l’invito l’ufficiale di pubblica è tenuto a rivolgere ai manifestanti (art. 22 T.U.L.P.S.). Qualora l’invito rimanga senza seguito, lo scioglimento deve essere ordinato con tre distinte formali intimazioni, e solo qualora anch’esse siano rimaste senz’effetto può ordinarsi che la riunione venga disciolta con la forza (artt. 23-24 T.U.L.P.S.). In caso di rifiuto di obbedire all’ordine di scioglimento da parte di taluno dei partecipanti alla riunione, gli ufficiali provvederanno a deferire questi all’autorità giudiziaria.Di tutte le varie fasi della riunione, e sui reati eventualmente commessi, deve essere redatto processo verbale.

Rientrano nel genus delle riunioni anche le cerimonie religiose che si svolgono fuori dai templi di culto; l’art. 25 T.U.L.P.S. dispone che “chi promuove o dirige funzioni, cerimonie o pratiche religiose fuori dei luoghi destinati al culto, ovvero processioni ecclesiastiche nelle pubbliche vie, deve darne avviso, almeno 3 giorni prima al Questore territorialmente competente.Sono esclusi da tale obbligo, ai sensi del disposto di cui all’art. 27 T.U.L.P.S. , gli accompagnamenti funebri ed il relativo viatico. Il Questore, per ragioni di ordine pubblico o di sanità pubblica, può vietarle o può prescrivere l’osservanza di determinate modalità, dandone avviso ai promotori almeno ventiquattro ore prima”.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.