Quando la condotta del parcheggiatore abusivo configura reato

Colui che eserciti l’attività di parcheggiatore in modo abusivo, ovvero senza le prescritte autorizzazioni, non commette per ciò solo reato, ma un illecito amministrativo punito dall’art. 7 comma 15 bis del Codice della Strada con la sanzione pecuniaria da euro 1.000 a euro 3.500. Ove,poi, nell’attività siano impiegati minori o nei casi di reiterazione della condotta, la sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata del doppio, ferma restando – in ogni caso – la confisca delle somme percepite.

Nel caso in cui, però, il parcheggiatore abusivo pretenda di essere pagato, le fattispecie penali che possono venire in rilievo sono diverse.

Una tale condotta potrebbe, innanzitutto, configurare il reato di estorsione. Ai sensi dell’art. 629 c.p., si ha in effetti estorsione se l’agente, con violenza o minaccia, costringe qualcuno a fare o omettere qualcosa, così procurandosi un ingiusto profitto con altrui danno.

Pertanto il parcheggiatore che, con violenza o minaccia, costringa un’automobilista a consegnargli del denaro, anche ove si tratti di pochi spiccioli, costituisce condotta idonea a configurare il delitto di estorsione (cfr. ex multis Cass. sent. n. 21942/2012). È ovvio, tuttavia, che la condotta intimidatoria, sia pure indiretta e mascherata, debba essere manifestata all’esterno dall’abusivo e non possa trattarsi invece di un semplice timore soggettivo dell’automobilista.

Inoltre, la minaccia costitutiva del reato di estorsione, oltre che essere palese, esplicita, determinata, può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui questa opera.

Diversamente, nel caso in cui il parcheggiatore abusivo piuttosto che pretendere, in modo violento o minaccioso, un pagamento, impedisca ad un’automobilista di parcheggiare il proprio veicolo in uno degli spazi di parcheggio sotto il suo “controllo”, proprio in virtù di un rifiuto dell’automobilista di corrispondere la somma richiesta, potrebbe venire in rilievo il delitto di violenza privata.

L’art. 610 c.p. punisce, infatti, con la reclusione fino a 4 anni “chiunque, con violenza  o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa“.

Ai fini dell’integrazione del delitto, è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, essendo, invece, penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, pur costituendo violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali, si rivelino inidonei a limitarne la libertà di movimento, o ad influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà (Cass. n. 1786/2017).

La minaccia o la violenza, ai fini della violenza privata, devono avere l’effetto di costringere la persona offesa a fare, tollerare od omettere qualcosa di determinato; in assenza di una tale determinatezza, potrebbero eventualmente integrarsi i più lievi reati di minaccia, molestia, ingiuria, percosse, ma non quello di violenza privata.

Da precisare, inoltre, come la violenza rilevante ex art. 610 c.p. vada intesa in senso ampio, comprensivo anche della violenza diretta alle cose o a soggetti diversi diversi dalla vittima. Ugualmente anche la minaccia comprende un ventaglio applicativo molto ampio, che prescinde quindi dal tipo di mezzi utilizzati o dal grado della minacci stessa.

Infine, ove in conseguenza del rifiuto dell’automobilista di pagare alcunché al parcheggiatore abusivo, questo reagisca aggredendo l’automobilista, potranno eventualmente configurarsi i reati di percosse o lesioni personali, nonché il reato di minacce, ove il parcheggiatore reagisca minacciando l’automobilista di un male ingiusto.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.