Irretroattività della legge penale e i decreti-legge non convertiti (o convertiti con emendamenti): distinzione tra fatti pregressi e fatti concomitanti

decreti legge non convertitiCom’è noto il principio di irretroattività della legge penale costituisce un corollario del principio di legalità, assicurando al cittadino di non essere sottoposto a un trattamento più severo di quello prevedibile al momento del fatto. La ratio del principio in esame è, infatti, essenzialmente quella di evitare che condotte originariamente lecite siano esposte al rischio di incriminazioni legislative future.

Esso è formalmente sancito, quale principio generale dell’ ordinamento giuridico, dall’ art. 11 delle disposizioni preliminari al c.c. Tuttavia, per quanto concerne il settore penale, rinviene uno specifico riferimento costituzionale nell’art. 25, co. 2 della Carta fondamentale.

Inoltre, il principio trova espressione anche a livello sovranazionale, all’interno dell’art. 7 della CEDU e dell’art. 49 della Carta di Nizza.

A livello ordinario, invece, il principio trova il suo precipuo riferimento nell’art. 2 c. p. e nell’art. 199 c. p. (quest’ultimo riferito alle misure di sicurezza, secondo cui non può applicarsi una misura di sicurezza per un fatto che, al tempo in cui è stato commesso, non costituiva reato).

In particolare, l’art. 2 c.p., dopo aver sancito al comma 1 il principio dell’irretroattività delle norme penali incriminatrici, detta un’articolata disciplina della successione di leggi penali nel tempo, prevedendo diverse ipotesi:

  1. a) comma 2: l’abolizione di una norma penale opera retroattivamente, determinando la cessazione dell’ esecuzione della condanna e dei suoi effetti penali, anche laddove sia passata in giudicato;
  2. b) comma 3: l’intervento legislativo che muta la pena detentiva in pecuniaria opera retroattivamente, determinando la conversione della pena detentiva irrogata in pecuniaria, anche laddove la sentenza sia passata in giudicato;
  3. c) comma 4: l’ intervento legislativo che muta in senso favorevole una norma penale opera retroattivamente, determinando l’applicazione della disciplina più mite, ma incontrando – stavolta – il limite del giudicato della condanna.

I successivi commi 5 e 6 dispongono la non operatività delle suddette disposizioni relativamente alle leggi eccezionali e temporanee; mentre l’ultimo comma dell’art. 2 ne afferma l’applicabilità anche ai decreti leggi non convertiti o convertiti con modificazioni.

La disposizione, dettata prima dell’entrata in vigore della Costituzione, si adeguava alla previgente disciplina, la quale prevedeva che l’inefficacia del decreto legge non convertito decaduto operasse ex nunc, e cioè dal momento della mancata conversione.

Tuttavia, la successiva disciplina costituzionale ha disposto – com’è noto – l’inefficacia del decreto legge non convertito con decorrenza ex tunc (v. art. 77 Cost., secondo cui le disposizione del decreto legge non convertito sono da considerare come mai venute ad esistenza per effetto della mancata conversione), con la conseguente riespansione retroattiva della legge in tutto o in parte sospesa da tale provvedimento. Ne deriva la non ravvisabilità di un’ipotesi di successione di leggi tra il decreto non convertito e la legge che, sospesa dal decreto non ratificato, è destinata a riespandersi in via retroattiva.

Di qui l’impossibilità di applicare retroattivamente la norma penale più mite contenuta nel decreto legge non convertito ai fatti c.d. pregressi, ossia commessi antecedentemente l’entrata in vigore del decreto stesso. Ferma restando, al contrario, la necessità di applicare la norma più mite ai fatti c.d. concomitanti, ossia commessi sotto la vigenza del decreto, stante la prevalenza, sul disposto dell’art. 77, terzo comma Cost., del superiore ed irrinunciabile principio di irretroattività della legge penale più severa, sancito dall’art. 25, secondo comma Cost.

I decreti legge non convertiti continueranno quindi ad applicarsi, ove più favorevoli, ai fatti commessi durante il loro vigore, qualora la norma successiva non abroghi il reato, ma ne modifichi soltanto la struttura/qualità in senso sfavorevole per il reo (si noti come tale principio, tuttavia, non troverebbe copertura costituzionale nell’art. 25, bensì nell’art. 3 Cost. e nel principio di ragionevolezza da esso sancito).

Parimenti, per quanto attiene, invece, all’ipotesi in cui non venga convertito il decreto legge contemplante un’ipotesi di reato, la condotta illecita – pur posta in essere nel periodo della sua vigenza –  non può essere più perseguita e sanzionata, dando luogo ad un fenomeno di abolitio criminis rispetto ai fatti c.d. concomitanti; a nulla rilevando che la norma che ne prevedeva la illiceità sia stata reiterata in un successivo decreto legge o che una legge successiva abbia regolamentato i rapporti sorti sulla base di decreti legge non convertiti, facendone salvi gli effetti, stante appunto il divieto di retroattività della legge incriminatrice stabilito dall’art. 25 co. 2 Cost. (cfr., ex multis, Cass. sez. I, 22 aprile 1999 n. 3209).

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.