Il regime carcerario al 41 bis: il c.d. carcere duro

Il regime del c.d. “carcere duro”, introdotto all’articolo 41 bis comma 2 ord. penit. con il D.L. n. 306/1992, rappresenta uno strumento di contrasto alle più importanti organizzazioni criminali su uno dei terreni più essenziali per la loro stessa sussistenza: quello della comunicazione tra membri della criminalità organizzata.

Con l’art. 41 bis viene infatti ad esistenza un modello di detenzione differenziato da quello ordinario, previsto per tutti gli altri detenuti, e connotato dalla sottrazione di ulteriori spazi di libertà già di per sé compromessi dall’incarcerazione (“...come se nel carcere si introducesse una ulteriore incarcerazione“; “il prigioniero imprigionato“).

E’ senza dubbio corretto affermare che per effetto del regime di cui all’art. 41 bis si realizza la massima aggressione alla persona umana da parte dell’intervento punitivo dello Stato. Tuttavia, la sua introduzione è stata avvertita come necessaria per fronteggiare pericolosissimi criminali, rei di crimini efferatissimi e di appartenere ad una forma di criminalità tra le più pericolose e insidiose: la criminalità organizzata mafiosa e terroristica.

Lo scopo perseguito dal 41 bis non è infatti quello della sicurezza interna dell’istituto penitenziario dove sono ristretti tali pericolosi detenuti, ma quello della sicurezza pubblica esterna, tutelata mediante la rescissione di ogni collegamento del detenuto con gli appartenenti delle varie organizzazioni criminali, sia all’interno degli istituti di pena, sia contatti e comunicazioni tra gli esponenti detenuti delle varie organizzazioni e quelli ancora operanti nel mondo libero.

Non manca, tuttavia, chi consideri l’art. 41 bis una norma costituzionalmente illegittima, perché disciplinante un trattamento carcerario “inumano e degradante“. Si è inoltre osservato come la sospensione di alcune regole trattamentali non sempre risulterebbe giustificata, perché effettivamente capace di impedire le relazioni pericolose del detenuto con l’organizzazione, contribuendo invece ad aumentare significativamente ed esclusivamente la sofferenza della pena (es. divieto di cottura dei cibi).

Applicazione del regime detentivo al 41 bis: competenza, presupposti, reclamo

Il 41 bis è applicato dal Ministro della giustizia con apposito decreto, nei confronti di detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo 4-bis o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso (cd. presupposto formale), in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere in concreto la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva (c.d. pericolosità soggettiva).

Nella prassi applicativa, ai fini dell’accertamento di tale pericolosità, soccorrono due indici presuntivi (basati su massime d’esperienza, conoscenze processuali):

a) il grado di capacità operativa sul territorio dell’organizzazione alla quale il detenuto appartiene;

b) il ruolo rivestito dal soggetto all’interno dell’organizzazione fino al momento dell’arresto, con particolare riguardo alle cariche direttive eventualmente ricoperte in seno all’associazione criminale, alla partecipazione ai gruppi di fuoco della stessa associazione e alla capacità di veicolare all’esterno informazioni, messaggi, ordini.

Il provvedimento di applicazione del regime ha durata pari a 4 anni ed è prorogabile per successivi periodi, ciascuno pari a 2 anni, potenzialmente a tempo indefinito.

Il detenuto o l’internato nei confronti del quale è stata disposta o prorogata l’applicazione del regime, nonché il difensore, possono propone reclamo avverso il provvedimento applicativo entro 20 giorni dalla sua comunicazione. Competente a decidere – in camera di consiglio ex artt. 666 e 678 c.p.p. – sul reclamo è il tribunale di sorveglianza di Roma. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento.

Ove il reclamo sia accolto, il Ministro della Giustizia, se intenda disporre un nuovo provvedimento, deve, tenendo conto della decisione del tribunale di sorveglianza, evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo.

Avverso il provvedimento del tribunale di sorveglianza è esperibile ricorso per Cassazione, ma solo per violazione di legge.

Le limitazione del regime al 41 bis: il carcere dentro il carcere

Andando nel concreto, il detenuto che venga raggiunto dalla notifica del decreto di applicazione del 41 bis, verrà immediatamente assegnato o trasferito in un istituto esclusivamente dedicato alla gestione di detenuti sottoposti a tale regime carcerario e custoditi dai reparti specializzati della polizia penitenziaria. Attualmente, sono circa una ventina le strutture penitenziarie dedicate, sparse per tutto il territorio nazionale.

Come previsto dalla normativa, deve essere attuata una netta separazione tra detenuto e internato. E’ stata, pertanto, istituita una casa di lavoro per internati 41 bis, ove vengono assegnati solo i soggetti che, a seguito di espiazione della pena o custodia cautelare, assumono lo status di internato in esecuzione di misura di sicurezza.

Ivi verrà immatricolato, perquisito e spogliato dei suoi abiti ed effetti personali, ricevendo al loro posto oggetti standardizzati uguali per tutti forniti dall’Amministrazione penitenziaria. Verrà, dunque, avviato ad occupare una cella singola, composta dell’essenziale.

E’ fatto obbligo al detenuto di utilizzare “abiti consoni”, che siano di modico valore, atteso che “il vestiario lussuoso potrebbe manifestare una condizione di superiorità su altri detenuti/internati o divenire merce di scambio tra gli stessi”.

In cella, al detenuto sarà consentito di avere pochissime cose sue. Niente medicinali, se non autorizzati dietro precisa prescrizione medica. Nessun quadro, poster, fotografia o orologio potranno essere appesi alle pareti. Nessun apparecchio elettrico o elettronico, ad eccezione di un televisore, di proprietà dello Stato, con ricezione di canali selezionati.

In questa cella, il detenuto al 41 bis vi trascorrerà in completa solitudine 22 ore al giorno, ogni giorno per il tempo dell’esecuzione della pena sotto il regime duro. Solo due saranno infatti le ore che egli potrà trascorrere fuori dalla cella all’aria aperta, oppure – ove lo preferisca il detenuto –  nella biblioteca o nella palestra o nella sala pittura, e in gruppi non superiori a quattro persone (c.d. gruppi di socialità), peraltro preventivamente approvati dalla direzione (il detenuto al 41 bis non potrà quindi scegliere nemmeno con chi socializzare).

Il detenuto non potrà spostarsi all’interno del carcere, se non per motivi particolari, come ad esempio per sottoporsi a una visita medica o per recarsi al colloquio con i famigliari, piuttosto che con lo psicologo. Tali movimentazione avverranno sotto scorta di apposito personale e costituiranno occasione di perquisizione personale, le cui modalità  continuano a prevedere il denudamento e la flessione.

Tali pratiche così invasive, e invero lesive della dignità umana, continuano ad essere legittimate da un colpevole ritardo dello Stato Italiano. L’adozione di  strumenti di controllo nelle carceri più moderni, analoghi a quelli adottati negli aereoporti o negli stadi, è infatti già stata prevista dall’Amministrazione penitenziaria in una circolare del 2000, proprio al fine di limitare se non eliminare di tali controlli così invasivi.

A tal proposito, deve tuttavia precisarsi come, nella recentissima circolare D.A.P. del 2 ottobre 2017, non vi sia più cenno alcuno alle “flessioni” ma solo al “denudamento”. Inoltre, con riferimento ai colloqui visivi dei detenuti con i famigliari, nella stessa circolare si prevede ora che il detenuto ammesso al colloquio “sarà perquisito con l’ausilio del metal detector prima e dopo la fruizione del colloquio stesso. La perquisizione manuale è consentita soltanto quando sussistono comprovaste ragioni di sicurezza sulla sussistenza delle quali contestualmente all’effettuazione della perquisizione dovrà essere redatta apposita relazione di servizio attestante le motivazioni dell’attività compiuta”.

La cella, invece, è e continuerà ad essere sottoposta a frequenti perquisizioni e controlli (almeno uno al giorno), consistenti nella battitura delle inferriate delle finestre e nell’ispezione dei muri perimetrali al fine di di accertare, attraverso la tonalità del suono che ne deriva, se essa sia stata segata in qualche parte; ed altresì nel controllo della dotazione personale consentita e delle dotazioni dell’Amministrazione ospitante. Durante il controllo, in particolare, il detenuto verrà fatto uscire dalla cella dove attenderà la fine del controllo.

Tutti gli scritti e, in particolare, le lettere del detenuto, salve particolari eccezioni, saranno sottoposte a censura o a visto di controllo. Le sue letture saranno limitate a quei pochi libri e riviste che avrà acquistato esclusivamente tramite la Direzione del carcere e che avrà l’autorizzazione a tenere in cella.

Il detenuto non potrà lavorare, tranne che nell’ambito della sezione di allocazione, a rotazione o a sorteggio, per la distribuzione dei pasti o la pulizia della sezione e fermo restando quanto previsto  circa il divieto di comunicazione tra diversi gruppi di socialità. Per la pulizia della sezione (ma anche per la pulizia delle singole celle), i detenuti saranno dotati dei necessari prodotti dosati e razionati al fine di evitare accumuli di materiale ed utilizzo di tipo diverso da quello previsto. Anche durante lo svolgimento di dette attività, il detenuto sarà sempre sotto scorto di personale preposto.

I colloqui potranno avvenire soltanto con i parenti più stretti (i famigliari entro il terzo grado di parentela o affinità e i conviventi), in apposite sale attrezzate in modo da impedire il passaggio di oggetti, e cioè dotate di un vetro divisorio che impedisce ogni contatto fisico tra i partecipanti al colloquio. Nel solo caso in cui il colloquio avvenga con un figlio minore di 12 anni, potrà essere consentito il colloquio anche senza il vetro divisorio. I colloqui non potranno, inoltre, avere frequenza superiore a una volta al mese, nel senso che tra un incontro e l’altro dovrà trascorrere un intervallo di tempo di circa 30 giorni.

La corrispondenza telefonica con i famigliari, senza riservatezza e per un massimo di 10 minuti, sarà consentita esclusivamente in caso di mancata fruizione, nell’arco del mese, del colloquio visivo e sempre che siano trascorsi almeno 6 mesi dal momento dell’inizio del regime di carcere duro.

Il detenuto può ricevere massimo due pacchi al mese, del peso complessivo non superiore a 10 Kg, ricevuto a mezzo posta o tramite corriere o in occasione del colloquio visivo. Nel caso in cui il mittente è persona fisica diversa dai familiari o conviventi, le direzioni dovranno richiedere un parere alla competente DDA, elencando gli oggetti contenuti nel pacco. I pacchi privi dell’indicazione del mittente non dovranno essere assolutamente ritirati.

Il detenuto al 41 bis non potrà partecipare personalmente ai processi che lo riguardano, dovendovi partecipare necessariamente attraverso il sistema della videoconferenza.

Non potrà ricevere dall’esterno, o acquistare in carcere, generi alimentari che richiedano cottura per il loro consumo. L’utilizzo di fornelli personali è, infatti, consentito in regime 41 bis solo per la preparazione di bevande calde e cibi di facile e rapida preparazione.

Oltre a queste evidenti limitazioni, i detenuti al 41 bis, raggiunti da provvedimenti disciplinari, potranno altresì essere punti con l’isolamento, che comporta l’esclusione della socialità e delle attività in comune, o con la sorveglianza  particolare ex artt. 14-bis ord. penit., che aggiunge ulteriori limitazione alle restrizioni tipiche del regime (ad es. il divieto di guardare la tv).

Alcuni detenuti in regime di 41 bis potranno, inoltre, essere stati condannati alla dell’isolamento diurno per un determinato periodo di tempo. Altri, scontata la pena proseguiranno il regime del 41 bis da internati o sottoposti a misura di sicurezza restrittiva della libertà personale. Si avrà così l’assurdo tutto Italiano di una persona sottoposta a misura di sicurezza e, quindi, ad una misura cui è assegnata una funzione essenzialmente rieducativa o curativa, cui saranno sottratte, per effetto del regime di cui all’art .41 bis le principali occasioni del trattamento rieducativo stesso cui dovrebbe essere sottoposto in quanto internato.

Approfondimenti: Circolare D.A.P. 2 ottobre 2017.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.