Le dichiarazioni autoindizianti rese dal teste

Può accadere che nel corso della deposizione, un testimone o una persona informata sui fatti renda dichiarazioni autoindizianti (o autoincriminanti), e cioè dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico.

L’art. 63 comma 1 c.p.p. dispone che, in tale eventualità, l’autorità procedente deve:

a) interrompere l’esame;

b) rivolgere alla persona l’avvertimento che a seguito delle sue dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti;

b) invitare il soggetto a nominare un difensore (o nominarne uno d’ufficio).

Le dichiarazioni rilasciate fino a quel momento dal soggetto non potranno essere utilizzate nei suoi confronti (c.d. inutilizzabilità relativa). La ratio sottesa alla disciplina è quella di salvaguardare la libertà di autodeterminazione di chi, se avesse avuto consapevolezza del proprio status, avrebbe potuto esercitare il diritto al silenzio. Tale norma va, infatti, a dare attuazione ad un principio di carattere generale, espresso dall’art. 198 comma 2 c.p.p., in base al quale nessuno è obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere la propria responsabilità penale (nemo tenetur se detegere).

Vi sono tuttavia delle dichiarazioni che restano comunque utilizzabili, e cioè: quelle favorevoli a terzi o a colui che le ha rese; quelle inerenti soggetti complici di colui che le ha rese in reati diversi, non connessi o collegati con quello per cui esistevano indizi di reità, poichè nei confronti di questi egli assume la veste di testimone.

Il codice si preoccupa, inoltre, di assicurare che la disciplina dettata in materia di interrogatorio dell’indagato non venga elusa da un’inquirente che interroghi un indagato senza riconoscergli formalmente tale qualità, e quindi senza muovergli i prescritti avvisi.

L’art. 63 comma 2 c.p.p. prevede infatti che se una persona sentita come teste “doveva essere sentita sin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utiizzate“.

In tal caso, la sanzione prevista non è più quella dell’inutilizzabilità relativa, ma di inutilizzabilità assoluta. In tal modo si garantisce l’inutilizzabilità anche nei confronti di coloro che sono rimasti coinvolti dalle dichiarazioni indizianti, proprio al fine di sanzionare quei comportamenti diretti ad ottenere delle dichiarazioni accusatorie anche nei confronti di terzi.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.