Processo minorile: non luogo a procedere per irrilevanza del fatto

L’art. 27 del D.P.R. n. 448/1988 – ”sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto” – prevede una particolare forma di definizione anticipata del procedimento a carico dell’imputato minorenne.

Si tratta di un istituto che consente di perseguire due differenti finalità: da un lato, la  tutela della personalità del minore, realizzando sia il principio di minima offensività che il principio di adeguatezza, sanciti dall’art. 1 D.P.R. 448/1988; dall’altro, persegue una finalità deflattiva nella misura in cui permette di estromettere dal circuito penale quei fatti di reato che si caratterizzano per scarsa offensività ed allarme sociale.

Ai sensi del comma 1, il GIP può pronunciare il non luogo a procedere già durante le indagini, ove risulti la tenuità del fatto e l’occasionalità del comportamento, nonché quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudichi le esigenze educative del minorenne.

La sentenza di non luogo a procedere può essere, più in dettaglio, pronunciata quando sussistono contemporaneamente i seguenti tre requisiti:

  •  il fatto di reato deve poter essere definito, alla luce dei parametri indicati dall’art. 133 c.p., come tenue;
  • il comportamento del minore deve poter essere giudicato, alla luce delle relazioni rese dai servizi sociali e delle dichiarazioni del minore e delle altre parti, occasionale, cioè a dire, che la condotta non risulti il frammento di una vita dedita al crimine e che tale comportamento sia determinato da fattori ambientali, sociali e personali tali da non essere prevedibilmente ripetibili;
  • infine, il giudice dovrà valutare se proseguire l’iter processuale significhi arrecare un pregiudizio alle esigenze educative del minore, e solo in caso di risposta positiva, ossia solo nel caso in cui il processo si qualificherebbe come una risorsa non utile per il minore a fronte di un percorso di crescita e di responsabilizzazione compiuto dal minore, dovrà pronunciarsi ai sensi dell’art. 27 d.p.R. 448/1988.

Ai tre presupposti indicati dalla norma, secondo una linea interpretativa manifestata sia in dottrina sia in giurisprudenza, si aggiunge un ulteriore presupposto implicito: la responsabilità del minore.

La declaratoria di irrilevanza del fatto può essere pronunciata, in ossequio al dato letterale, già durante l’indagine preliminare e ad esito dell’udienza preliminare. La declaratoria di irrilevanza del fatto pronunciata in queste due fasi deve essere, secondo la linea esegetica prevalente, preceduta dal consenso del minore alla definizione anticipata del processo.

Un tale esito può anche concludere il giudizio immediato, il giudizio direttissimo e, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, anche la fase dibattimentale.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.