Reati fallimentari: il delitto di bancarotta

Tra i c.d. reati fallimentari, previsti dal R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (c.d. Legge Fallimentare), rileva senza dubbio il delitto di bancarotta.

La principale distinzione all’interno del delitto di bancarotta è tra bancarotta semplice (artt. 217 e 224, L. F.) e bancarotta fraudolenta (artt. 216, 223, L. F.). Tale distinzione ha fondamento essenzialmente psicologico, evocando la seconda una volontà deliberatamente offensiva degli interessi tutelati, e rappresentando la prima una categoria residuale (come si evince dalla clausola di sussidiarietà “fuori dei casi preveduti nell’articolo precedente”, che figura nel preambolo dell’art. 217) connotata dall’assenza della componente fraudolenta e classificata come meramente colposa, benché le indicazioni fornite dalla legge con riguardo all’elemento psicologico siano frammentarie ed ambigue.

Sia i fatti di bancarotta semplice che di bancarotta fraudolenta possono essere commessi su beni o su libri o scritture contabili. Nei primi casi si parla di bancarotta patrimoniale (o bancarotta in senso stretto), mentre nell’ultima ipotesi si parla di bancarotta documentale.

Ancora, si distingue la bancarotta prefallimentare, posta in essere prima della dichiarazione di fallimento (art. 216, co. 1 L. F.), da quella postfallimentare, compiuta dopo tale dichiarazione (art. 216, co. 2 L. F.).

La bancarotta, ancora, viene denominata propria, per indicare il reato commesso dal fallito sul proprio patrimonio e sulla propria documentazione contabile. Ad essa si affianca la bancarotta cd. impropria, commessa da persone diverse dal fallito, e segnatamente da amministratori, sindaci, direttori generali e liquidatori di società, di persone e di capitali, dichiarate fallite in relazione ai beni delle stesse (artt. 223, primo comma, e 224, n. 1; detta anche bancarotta societaria).

Al genus della bancarotta impropria o societaria vengono ricondotte anche le ipotesi delittuose previste dal n. 1 dell’art. 223, secondo comma (si tratta di fatti previsti da disposizioni penali societarie seguiti dal fallimento della società); dal n. 2 dell’art. 223, secondo comma  (causazione del fallimento con dolo o per effetto di operazioni dolose); e dall’art. 224 n. 2 (causazione colposa del dissesto della società).

Bancarotta semplice

Ai sensi dell’art. 217 L. F., è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;

2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;

3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento (es. il ricorso a mutui con tassi usurari, nel tentativo di mascherare la situazione di insolvenza e posticipare l’inevitabile fallimento);

4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa (ove per dissesto, secondo la giurisprudenza, deve intendersi una situazione di squilibrio economico patrimoniale progressivo, tale da comportare un inarrestabile aggravamento della situazione dell’impresa, fino alla totale insolvenza);

5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.

Mentre le condotte descritte sub nr. 1-4 rientrano nel genere di bancarotta patrimoniale, la condotta di cui al n. 5 configura invece un’ipotesi di bancarotta documentale. Allo stesso genus di bancarotta semplice documentale va ricondotta anche la condotta del fallito che, durante i 3 anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta (art. 217 comma 2 L.F.).

La tenuta delle scritture è irregolare quando queste non presentano i requisiti di regolarità formale e sostanziale richiesti dalla legge e degli usi commerciali, mentre sono scritture incomplete quelle in cui, sebbene formalmente regolari, si riscontrano lacune o intermittenze a causa della mancata registrazione di alcune operazioni.

L’art. 224 L. F. estende le pene contemplate dall’art. 217 agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori delle società dichiarate fallite (bancarotta semplice c.d. impropria o societaria), i quali abbiano commesso alcuno dei fatti contemplati da tale ultima norma (art. 224, n. 1) o abbiano concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi a essi imposti dalla legge (art. 224, n. 2).

L’art. 227 L. Fall. estende la responsabilità per i fatti di cui agli artt. 216 e 217 all’institore dell’imprenditore dichiarato fallito. Anche in questo caso si parla di bancarotta impropria, in quanto trattasi di soggetto diverso dall’imprenditore fallito.

Bancarotta fraudolenta

Ai sensi dell’art. 216 L.F., è punito con la reclusione da 3 a 10 anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti (bancarotta fraudolenta patrimoniale);

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (bancarotta fraudolenta documentale).

In merito alla condotta di cui all’art. 216 n. 1 (fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale), possiamo pertanto distinguere:

  • distrazione: distrarre un bene significa distoglierlo da una destinazione giuridicamente vincolante, che, nella specie, sarebbe quella di tenere a disposizione degli organi fallimentari i beni dell’imprenditore insolvente, affinché possano essere distribuiti ai creditori secondo il principio della par condicio; nella fase postfallimentare, distrarre un bene significa invece sottrarlo, non alla funzione di garanzia, ma all’attivo fallimentare, nel quale deve confluire l’intero patrimonio del fallito, fermo restando che non costituisce bancarotta per distrazione, ma eventualmente bancarotta preferenziale, il pagamento di un creditore in violazione della par condicio. Dopo l’apertura della procedura concorsuale, l’imprenditore (o l’ente societario tramite i suoi organi) non ha più alcun potere di disposizione sui propri beni, per cui ogni forma di utilizzo da parte sua dei cespiti rientranti nella massa fallimentare realizza il reato in esame. Tale affermazione viene, tuttavia, precisata richiedendosi che la distrazione realizzi comunque un utilizzo del bene incompatibile con la sua appartenenza alla massa fallimentare, ovvero con le finalità della procedura, purché al curatore venga preclusa l’apprensione del bene, rileverà qualsiasi modalità di condotta concretamente tenuta dal fallito;
  • occultamento: occultare significa nascondere materialmente i beni del patrimonio, in modo da renderne impossibile l’apprensione da parte degli organi deputati alla procedura fallimentare. Il confine tra la condotta di occultamento e quella di dissimulazione è molto labile, qualora, infatti, l’occultamento avvenga per es. mediante un negozio giuridico simulato e non tramite espedienti materiali, si avrà dissimulazione;
  • dissimulazione: nella dissimulazione, i beni non vengono sottratti materialmente ai creditori, ma il soggetto attivo ne rende impossibile l’apprensione facendo credere, mediante negozi giuridici simulati, che detti beni appartengano ad altri;
  • distruzione: consiste nella condotta diretta alla eliminazione materiale del bene, con conseguente eliminazione del valore economico dello stesso;
  • dissipazione: consiste nella distruzione giuridica della ricchezza, potendosi identificare con lo sperpero ingiustificato attuato mediante atti a titolo gratuito, a titolo oneroso o atti di adempimento ad obbligazioni naturali.

Per quanto attiene invece alle condotte di cui all’art. 216 n. 2 (fatti di bancarotta fraudolenta documentale), le condotte che vengono in rilievo sono le seguenti:

  • sottrazione: sottrarre significa togliere all’organo fallimentare la possibilità di acquisire i libri e le altre scritture contabili e tale condotta può realizzarsi con qualunque modalità, fatta eccezione per la distruzione, che comporta l’eliminazione materiale del documento;
  • falsificazione: tale condotta si concreta nella creazione di un falso documento o nella sostituzione di un documento originario con uno artefatto e la falsità che può venire in rilievo può essere tanto materiale, che ideologica;
  • esposizione o riconoscimento di passività inesistenti: si tratta di una particolare tipologia di falso ideologico che non cade direttamente sui libri o sulle scritture contabili, ma si attua mediante la predisposizione di falsi atti o la effettuazione di false dichiarazioni, inducendo in errore gli organi del fallimento sull’esistenza di determinate voci passive del patrimonio;
  • tenuta caotica dei libri e delle scritture contabili: anche per tale condotta rileva un’attività di falsificazione in senso lato, consistente cioè in alterazioni e manomissioni tali da rendere impossibile il soddisfacimento dei creditori.

Il 3° comma dell’art. 216 L. F. nel disporre, testualmente, che è punito con la reclusione da 1 a 5 anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione, prevede l’ipotesi della c.d. bancarotta fraudolenta preferenziale.

Tale fattispecie delittuosa – a differenza di quella sopra analizzata, che è posta a tutela del diritto di garanzia di cui all’art. 2740 c.c –  lede il principio, sancito dall’art. 2741 c.c., secondo il quale “i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le legittime cause di prelazione”, principio che la procedura concorsuale mira a garantire, come suo fine primario.

La condotta di tale ipotesi delittuosa può consistere, innanzitutto, in un pagamento, da intendersi in senso lato, come qualsiasi ipotesi di solutio con efficacia estintiva di un precedente rapporto., senza che rilevi alcuna distinzione tra pagamenti di crediti non ancora scaduti e pagamenti di crediti liquidi ed esigibili o tra pagamenti effettuati in denaro o eseguiti con mezzi differenti.

La seconda modalità di condotta consiste nella simulazione di titoli di prelazione. La simulazione deve essere idonea a produrre effetti giuridici, con la conseguenza che non potrà configurarsi come tale una semplice dichiarazione del fallito senza la predisposizione di un titolo ideologicamente falso.

Secondo quanto disposto dall’art. 223, L. F. si applicano le pene stabilite dall’art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali abbiano commesso uno dei fatti previsti da quest’ultimo articolo (bancarotta fraudolenta impropria o societaria).

Operazioni dolose causative del fallimento

La fattispecie di fallimento determinato da operazioni dolose (art. 223 n. 3) presenta una valenza onnicomprensiva poiché estende la sua applicabilità ad ogni condotta da cui sia poi scaturito il fallimento ed è questa la ragione per cui essa riveste, nell’ambito della repressione della bancarotta impropria, la funzione di “valvola di sicurezza”.

La locuzione “con dolo” – come si è sopra accennato – va intesa alla luce della definizione dell’art. 43 c.p.: l’evento “fallimento” deve essere previsto e voluto dall’agente come conseguenza della sua azione od omissione. Secondo parte della dottrina, data la genericità del richiamo, deve ritenersi ricompreso anche il dolo indiretto o eventuale: basta, in altre parole, ad integrare il reato che il soggetto qualificato preveda e accetti il fallimento quale possibile conseguenza del proprio comportamento.

Per “operazioni”, secondo la dottrina dominante e la giurisprudenza, deve intendersi qualsiasi atto o complesso di atti implicante disposizioni del patrimonio, compiuti dalle persone preposte all’amministrazione della società con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla loro qualità.

Dal testo della legge, ed in particolare dall’espressione “hanno cagionato”, risulta in modo palese che il fallimento della società deve essere conseguenza del comportamento del soggetto. Cagionare il fallimento significa, dunque, porre in essere le premesse necessarie e sufficienti della declaratoria, ossia determinare una situazione aziendale in presenza della quale la pronuncia del Tribunale fallimentare diventi un atto dovuto.

Si noti come non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento fallimentare, né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente verso il dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 c.p., né l’aggravamento di un dissesto già in atto.

Per la maggior parte della dottrina è esclusa in questa ipotesi la rilevanza di omissioni ex art. 40, comma 2, c.p. Non aderisce per contro all’esclusione in parola la giurisprudenza, netta e concorde nel sostenere che le operazioni dolose ben possono “consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa” (Cass., Sez. V, 15 maggio 2014, n. 29586; Cass., Sez. V, 29 novembre 2013, n. 12426).

E’ ipotizzabile, dunque, una causazione omissiva ai sensi dell’art. 40 c.p.: data la posizione di garanzia degli interessi creditori immanente alle funzioni societarie prese in considerazione, vale come causazione l’omesso impedimento di un fallimento determinato da fattori esterni, a condizione che sia dimostrabile la concreta possibilità di un efficace intervento impeditivo da parte del soggetto qualificato.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.