Legge Pinto: la riparazione per irragionevole durata del processo

La legge 24 marzo 2001, n. 89 – nota come legge Pinto –  prevede che coloro che hanno subito un processo di durata irragionevole possano richiedere una riparazione equa per il danno subito, patrimoniale e non.

Si tratta, con ogni evidenza, di uno strumento processuale posto a contrasto del fenomeno delle lungaggini processuali, che affligge il nostro sistema giudiziario.

Che il processo abbia una durata ragionevole, rappresenta un principio di diritto espresso sia dal nostro ordinamento, che a livello internazionale. L’art. 111 Cost., comma 2, dispone che “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale…. la legge ne assicura la ragionevole durata.”. L’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966,  afferma che“ogni persona ha diritto ad essere giudicata senza eccessivo ritardo”. L’art. 47 della Carta dei diritti dell’ Unione Europea, adottata a Nizza nel 2000,  espressamente dispone“ Il diritto di ogni individuo a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e entro un termine ragionevole da un giudice indipendente ed imparziale, precostituito per legge.”  Ancora, l’art. 6 CEDU prevede che “ogni persona ha diritto di farsi ascoltare, in corretto e pubblico giudizio, da un giudice imparziale ed indipendente, costituito per legge, cui spetti decidere in tempo ragionevole, sulle controversie intorno ai suoi diritti ed obblighi di carattere civile, cosi come sul fondamento di ogni accusa mossa a suo carico”. 

Ebbene, nonostante la formalizzazione di tale principio, solo nel 2001 con la citata Legge Pinto il Legislatore ha provveduto ad introdurre nel nostro ordinamento appositi strumenti di tutela diretta da azionare dinanzi al giudice nazionale.

La legge definisce, innanzitutto, il concetto di durata ragionevole del processo, fissando delle precise scansioni temporali. A tal proposito dispone che per il primo grado di giudizio si reputano ragionevoli 3 anni, per il secondo grado 2 anni e per il grado di legittimità un anno. Termini specifici valgono per il procedimento di esecuzione forzata e per le procedure concorsuali. Il termine ragionevole si ritiene in ogni caso rispettato se il giudizio definitivo e irrevocabile giunge nel termine massimo di sei anni. Ai fini del computo non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso e di quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa.

Vengono disciplinati una serie di rimedi a carattere preventivo, differenti in base alla tipologia di processo (civile, penale, amministrativo, contabile e pensionistico) e che, nel processo penale , si traducono nel diritto dell’imputato e delle altre parti del processo di depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno 6 mesi prima che siano trascorsi i termini di ragionevole durata positivamente stabiliti.

L’esperimento dei rimedi costituisce, oggi, passaggio necessario al fine di ottenere l’indennizzo dovuto in caso di danno da irragionevole durata del processo. Solo dopo l’esperimento del rimedio preventivo, infatti, la persona che ha subito un danno a causa del protrarsi della lungaggine processuale, assistita da un procuratore speciale, potrà presentare un’istanza di equa riparazione, nella forma del ricorso al Presidente della Corte d’appello del distretto in cui ha la sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo contestato.

Sulla questione relativa alla effettività degli strumenti di tutela preventiva si è pronunciata la Corte Europea Dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza Olivieri del 25 febbraio del 2016. Sul punto, la Corte EDU ha sottolineato la non effettività dei rimedi predisposti dall’ordinamento italiano, atteso che gli stessi non sono idonei a produrre effetti obbligatori e quindi non assicurano in maniera certa la dichiarazione dell’urgenza della causa e l’anticipazione della sua trattazione; né la sua mancata proposizione appare idonea ad allungare la durata del processo e pertanto non costituisce ostacolo, sotto il profilo del mancato esaurimento delle vie di ricorso interno, alla liquidazione dell’indennizzo per la sua eccessiva durata.

A pena di decadenza, il termine per provvedere al deposito del ricorso è di 6 mesi dal momento in cui è divenuta definitiva la decisione che ha concluso il procedimento. La Corte Costituzionale con sentenza 21 marzo – 26 aprile 2018, n. 88 (in G.U. 1ª s.s. 02/05/2018, n. 18) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto. D’altronde, se i parametri evocati presidiano l’interesse a veder definite in un tempo ragionevole le proprie istanze di giustizia, rinviare alla conclusione del procedimento presupposto l’attivazione dello strumento volto a rimediare alla sua lesione, seppur a posteriori e per equivalente, significa inevitabilmente sovvertire la ratio per la quale è concepito, connotando di irragionevolezza la relativa disciplina.

Nei procedimenti ordinari la controparte è il Ministro della Giustizia, il Ministro della difesa se il procedimento presupposto è un procedimento militare e il Ministro dell’economia e delle finanze in tutti gli altri casi.

Una volta ricevuta una domanda di equa riparazione, il presidente della Corte d’appello o un magistrato designato a tal fine vi provvede entro 30 giorni con decreto esecutivo motivato.

Se il ricorso è accolto, il giudice ingiunge al Ministero convenuto di pagare la somma liquidata senza dilazione e autorizza la provvisoria esecuzione. La somma liquidata ha natura indennitaria e il suo ammontare non potrà essere inferiore a 400 euro e non superiore a 800 euro per ciascun anno o frazione ultra semestrale di anno in cui il processo ha ecceduto la durata ragionevole.

La controparte potrà presentare opposizione al decreto nel termine di 30 giorni dalla comunicazione o notificazione del relativo provvedimento. Tale opposizione non sospende l’esecuzione del provvedimento salvo i casi in cui il collegio vi provveda con ordinanza non impugnabile per la presenza di gravi motivi. Su di essa la Corte di appello si pronuncia con decreto entro 4 mesi dal deposito del ricorso. Il decreto è immediatamente esecutivo e impugnabile per Cassazione.

Se, invece, il ricorso è respinto, il ricorrente non potrà più riproporlo. A tal proposito si prevede che l’indennizzo non possa essere accordato alla parte che nel processo presupposto è stata condannata per lite temeraria o che risulti comunque consapevole dell’infondatezza originaria o sopravvenuta della sua posizione. Inoltre sono state introdotte alcune ipotesi di presunzione di insussistenza del danno, che obbligano la parte che intende ottenere l’equo indennizzo a dimostrare il pregiudizio subito. Si pensi, ad esempio, ai casi di irrisorietà della pretesa o del valore della causa.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.