Prova e indizio nel processo penale

La prova nel processo penale può essere definita, nel complesso, come un ragionamento che da un fatto noto ricava l’esistenza di un fatto avvenuto nel passato e sulle cui modalità di svolgimento il giudice deve formare il proprio convincimento (c.d. ragionamento inferenziale).

Il termine “prova” può genericamente essere adoperato per riferirsi alle fonti di prova (art. 65 c.p.p.), ai mezzi di prova (art. 194 e seguenti c.p.p.), agli elementi di prova o al risultato probatorio.

Sono fonti di prova, ad esempio, le persone informate sui fatti e quindi in grado di riferire informazioni utili alla ricostruzione del fatto, o le cose (documenti, foto, etc.) dai quali può trarsi un elemento di prova.

L’elemento di prova è l’informazione, il dato che si ricava dalla fonte di prova e che dovrà essere sottoposto alla valutazione del giudice al fine di ricavarne il relativo risultato probatorio.

Sono, invece, mezzi di prova gli strumenti con cui si acquisiscono nel processo penale gli elementi di prova (es. testimonianza, perizia, etc.). Nel nostro sistema, i mezzi di prova non costituiscono un numero chiuso, ma possono essere assunti anche mezzi di prova diversi da quelli tipici (v. art. 189 c.p.p.).

La prova, inoltre, si distingue in prova storica o prova rappresentativa ed in prova critica o prova indiziaria.

La prova rappresentativa è quel ragionamento che ricava per diretta rappresentazione da un fatto noto, un fatto che deve essere accertato. Rappresentare un fatto significa renderlo conoscibile ad altre persone, dopo che lo stesso sia già accaduto. Il fatto può essere rappresentato da immagini, parole, gesti o suoni. La testimonianza di chi riferisca aver visto coi propri occhi l’imputato porre in essere la condotta oggetto di contestazione costituisce, ad esempio, prova rappresentativa.

L’indizio, detto anche prova critica, è invece riferito a quel ragionamento che da un fatto provato (la circostanza indiziante) ricava l’esistenza di un ulteriore fatto da provare, attraverso un’inferenza basata su di una massima di esperienza o su di una legge scientifica. Pensiamo al testimone che, in un procedimento volto ad accertare il colpevole di un omicidio perpetrato nell’abitazione della vittima, dichiari che di aver visto, all’incirca all’ora del decesso, l’imputato uscire di corsa dall’abitazione con fare sospetto e guardingo. Tale prova indiziaria può suggerire al giudice che l’imputato si trovava sul luogo del delitto, ma non anche che sia stato egli a commetterlo.

La prova rappresentativa e l’indizio differiscono dunque non per l’oggetto da provare, ma per la struttura del ragionamento inferenziale: nella prova rappresentativa il fatto è provato mediante la sua rappresentazione ad opera della fonte di prova (testimone, fotografia, videoriprese, etc.); nell’indizio, invece, il fatto è indotto da un altro fatto mediante un ragionamento che fa uso di massime di esperienza o leggi scientifiche.

La massima di esperienza è una regola di comportamento che esprime quello che avviene nella maggior parte dei casi. Permanendo nell’esempio sopra esposto, il giudice ritenuto provato che l’imputato si trovava sulla scena del delitto in un orario compatibile con l’azione omicidiaria, valuterà come l’uscire in fretta e con fare sospetto dall’abitazione è un comportamento che, in casi simili, viene tenuto generalmente dal colpevole che ricerca l’impunità. E’ evidente che ragionamenti di tal fatta non consentono di accertare l’esistenza di un fatto storico con certezza, ma soltanto in maniera probabilistica.

La legge scientifica, invece, è una legge soggetta a verifica attraverso un metodo sperimentale ovvero attraverso uno specialista della materia (perito) che potrà farla conoscere al Giudice. Le leggi scientifiche esprimono una relazione certa, o statisticamente elevata, tra due fatti della natura, collegando un evento alla sua causa.

Per quanto la legge scientifica dia maggiore certezza rispetto alla massima di esperienza, residuano comunque margini di opinabilità, in quanto si tratta comunque di scegliere quale sia la legge da applicare al caso concreto e di individuare i fatti ai quali applicarla. E’ evidente, dunque, che ci si trova sempre innanzi a un’attività valutativa.

Da quanto fin’ora detto, si comprende perchè – ai sensi dell’art. 192 comma 2 c.p.p. – l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti. Si tratta di un criterio legale di valutazione probatoria, dal quale si ricava – innanzitutto – che un solo indizio non può mai essere posto a base della decisione del giudicante.

L’art. 192 comma 2, inoltre, impone anche che gli indizi siano gravi, precisi e concordanti. Un indizio è grave quando resiste alle obiezioni ed è quindi dotato di elevata persuasività. E’ preciso, quando la circostanza indiziante è provata ampiamente e non è suscettibile di diverse interpretazioni (ad es. è preciso l’indizio sulla coincidenza tra profili genetici risultante dall’esame del DNA ritualmente raccolto). Sono, infine, concordanti gli indizi che convergono tutti verso la medesima conclusione.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.