La collaborazione impossibile ex art. 58 ter op

L’art. 4 bis o.p., al comma 1 bis, dispone che i condannati per una serie di “delitti ostativi” non possono essere ammessi ai benefici penitenziari, a meno che essi non collaborino con la giustizia a norma dell’art. 58-ter.

I benefici – prosegue la norma – possono essere ugualmente concessi, nel caso in cui sussista l’ipotesi della c.d. collaborazione impossibile, fermo restando l’accertamento della insussistenza dell’attualità di legami con la criminalità organizzata.

L’accertamento dell’impossibilità di collaborare, quale condizione equipollente alla collaborazione positivamente prestata ai fini dell’accesso ai benefici penitenziari, è demandato al Tribunale di sorveglianza, chiamato a pronunciarsi su un’istanza di accesso ai benefici penitenziari proposta da un soggetto condannato per uno dei reati elencati all’art. 4 bis op.

Tale accertamento a sua volta presuppone, precisamente:

  • l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile, da cui derivi l’accertamento dell’impossibilità di un utile collaborazione (c.d. collaborazione inesigibile);
  • ovvero la limitata partecipazione al fatto criminoso accertata nella sentenza di condanna, che determini l’impossibilità per il condannato di aver avuto accesso ad informazioni spendibili ai fini collaborativi (c.d. collaborazione irrilevante).

Mentre per la verifica della collaborazione c.d. inesigibile, fondata sulla limitata partecipazione del condannato al fatto criminoso, occorre fare riferimento all’accertamento sul punto operato nella sentenza di condanna dell’istante; per la collaborazione c.d. irrilevante, occorre fare riferimento alla sentenza irrevocabile che quell’accertamento abbia operato e non solo specificamente a quella di condanna dello stesso istante.

Inoltre, assumono rilievo non soltanto i comportamenti di collaborazione che ineriscono al delitto per cui è in esecuzione la custodia o la pena, ma anche gli apporti informativi che hanno consentito la repressione o prevenzione di condotte criminose diverse da esso, in coerenza con la ratio legis che ha inteso incentivare il fatto obiettivo della collaborazione (cfr. Cass. Sez. I n. 7968/2016).

Evidente, tuttavia, come non sia possibile estendere eccessivamente il perimetro delle condotte per cui vada accertata la collaborazione impossibile, non potendosi ricomprendere tutte quelle condotte di cui semplicemente si presume che il condannato sia a conoscenza, sul solo presupposto della sua posizione all’interno di gruppi di criminalità organizzata.

I delitti per i quali può essere pretesa la collaborazione del condannato, estranei o meno alla previsione dell’art. 4-bis, dovrebbero essere oggetto di condanna irrevocabile. Non può, tuttavia, escludersi la validità dell’accertamento sulla possibilità di collaborare compiuto dal giudice che, a prescindere da una sentenza di condanna, individui con sufficiente chiarezza profili di possibile coinvolgimento di altri soggetti e adduca che, in ragione della collocazione associativa dell’interessato e della riconducibilità di quei fatti al contesto associativo, lo stesso possa essere in grado di svelare responsabilità di terzi, il cui accertamento non sia precluso dall’esistenza di un giudicato assolutorio (Cass. Sez. I, n. 40044/2013).

Di fondamentale importanza sono, a tal fine, i dati investigativi: “prima ancora di analizzare le sentenze di condanna in atti, è necessario che sia l’Autorità giudiziaria incaricata delle indagini ad indicare se nel corso delle stesse, eventualmente collegate ad altre tuttora in corso, siano rimasti fatti connessi, circostanze spunti investigativi che a suo tempo non trovarono uno sbocco processuale e che, pertanto, non furono oggetto di accertamento con sentenza irrevocabile e che il Tribunale di Sorveglianza mai potrà rinvenire nel titolo in esecuzione, in quanto reperibili solo mediante accesso agli atti di indagine; spetta all’organo investigativo, in termini positivi, affermare che, ancorchè genericamente, l’istante in relazione a specifici fatti connessi all’organizzazione criminale di appartenenza, per la sua posizione all’interno del sodalizio, ove tuttora operante, o diramazioni dello stesso, è in grado di fornire ora una qualche utile collaborazione”; è proprio l’art. 58-ter, secondo comma, ord. pen. a prevedere che «le condotte indicate nel comma 1, sono accertate dal tribunale di sorveglianza, assunte le necessarie informazioni e sentito il pubblico ministero presso il giudice competente per i reati in ordine ai quali è stata prestata la collaborazione»” (Trib. Sorv. Milano ord. n. 2945/2018).

In sostanza, ai fini della declaratoria della collaborazione impossibile o inesigibile ex art. 58 ter op, occorre accertare:

  • se con riferimento ai reati le cui condanne sono in esecuzione, tenuto conto della posizione rivestita dal soggetto, vi siano stati all’epoca del processo spazi che avrebbero consentito di fornire all’A.G. un utile collaborazione nella fase delle indagini o successivamente;
  • se una eventuale collaborazione fornita al momento della decisione del Tribunale di Sorveglianza possa essere considerata comunque utile;
  • se l’organizzazione criminale cui il condannato risulta legato o gruppi collegati alla stessa siano tuttora operanti e se vi siano elementi sintomatici che consentano di escludere collegamenti del soggetto con gruppi criminali di diversa o originaria appartenenza (si tratta di un accertamento molto articolato, che impegna il Tribunale di sorveglianza in una approfondita verifica di numerosi dati: processuali, investigativi, osservazione in carcere).

Va comunque evidenziato che, secondo la giurisprudenza, il dubbio sulla impossibilità della collaborazione con la giustizia, non può risolversi in danno di chi ne fa richiesta (Cass. Penale Sez. 1 n. 7409/2018.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.