I divieti di cui all’articolo 4 bis ord. penit.

Con la norma contenuta nell’art. 4 bis ord. penit., il legislatore ha inteso fornire una severa risposta esecutiva alla ferocia della criminalità organizzata, intervenendo drasticamente sulle condizioni e sui termini per l’accesso ai benefici previsti dalla legge n. 354/1975; ciò sul presupposto che la commissione di alcuni reati legittimi una presunzione, pressoché assoluta, di pericolosità dei relativi autori e, quindi, una diversa offerta trattamentale, rappresentata da percorsi di rieducazione più severi o comunque differenziati rispetto a quelli ordinari.

La disciplina contenuta all’art. 4 bis è alquanto articolata e complessa, enucleando ai suoi commi 1, 1 bis, 1 ter, 1 quater e 1 quinquies diverse regole trattamentali. Non sono, invece, del tutto diverse le diverse categorie di reato cui si riferiscono; vi è, infatti, quanto meno parziale sovrapposizione, per cui può accadere che in relazione ad alcuni dei delitti contemplati dalla norma, le regole poste dall’art.4 bis si applichino cumulativamente. Si può, in maniera grossolana, distinguere due fasce di reati particolarmente gravi: la prima implicante una realtà associativa di tipo mafioso, terroristico o eversivo; la seconda reati, che invece esulano da una tale realtà.

Il rigore che caratterizza il trattamento previsto per i condannati per reati di cui all’art. 4 bis, emerge fin dal primo atto d’inizio dell’esecuzione: nei confronti dei condannati per uno dei delitti di cui all’art. 4-bis non opera, infatti, il meccanismo sospensivo dell’esecuzione penale di cui all’art. 656 c.p.p., il cui comma 9 pone espressamente alcune preclusioni.

Il comma 1 dell’art. 4 bis dispone che “l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi solo nei casi in cui i detenuti e gli internati, collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter”.

Tale regola si applica alle persone detenute o internate per uno dei seguenti delitti:

a) delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;

b) associazioni di tipo mafioso, camorristico e simili anche straniere (art.416 bis c.p.);

c) scambio elettorale politico mafioso (art.416 ter c.p.);

d) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste;

e) sequestro di persona a scopo di estorsione (art.630 c.p.);

f) riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù (art.600 c.p.);

g) tratta di persone (art. 601 c.p.);

h) acquisto e alienazione di schiavi (art.602 c.p.);

i) prostituzione minorile (600 bis primo comma c.p.);

l) pornografia minorile (art.600 ter commi primo e secondo);

m) violenza sessuale di gruppo (art.609 octies);

n) delitto previsto e punito dall’ art. 12, commi 1 e 3  di cui TU sull’immigrazione e successive modificazioni (procurato ingresso illecito);

o) associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri;

p) associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 del testo d.P.R. 1990, n. 309).

Quella contenuta al comma 1 è certamente la regola più criticata, sia nella dottrina che nella giurisprudenza: per effetto della regola posta dall’art. 4 bis comma 1, il condannato si troverebbe in posizione irrazionalmente deteriore rispetto all’imputato. Infatti, il diritto al silenzio, garantito nel processo  di cognizione, si tramuta nella fase di esecuzione in un onere di collaborare, finendo con l’attribuirsi alla pena una funzione di incentivo alla collaborazione, che fuoriesce dalla finalità di rieducazione costituzionalmente imposta.

Inoltre, si è osservato come, per effetto della regola in esame, sarebbe stata introdotta una sorta di presunzione assoluta di non rieducazione in assenza di collaborazione, in palese contrasto con l’art. 27 comma 3 Cost. Richiedere la collaborazione ad ogni caso, rischia di annullare gli effetti di una rieducazione effettivamente realizzatasi a prescindere da quella collaborazione, mentre l’indisponibilità a collaborare non dovrebbe sempre e in ogni caso valutarsi come indizio di non avvenuta rieducazione (varie possono essere le ragioni per cui non si intende collaborare, come la paura per l’incolumità dei propri cari).

A tali critiche si oppone l’orientamento costante della Corte Costituzionale, che ha sempre dichiarato la legittimità dell’introduzione della collaborazione quale condizione per l’accesso ai benefici. Secondo la Corte (v. Corte Cost. sentenza 306/1993), la scelta del legislatore di privilegiare finalità di prevenzione generale e di sicurezza della collettività, attribuendo determinati vantaggi ai detenuti che collaborano con la giustizia, è giustificata nell’ambito della teoria polifunzionale della pena.

La preclusione prevista dall’art. 4-bis comma 1 inoltre, ad avviso della Corte di legittimità, non è conseguenza che discende automaticamente dalla norma, ma deriva dalla scelta del condannato di non collaborare, pur essendo nelle condizioni per farlo; tale disciplina non preclude, pertanto, in modo assoluto l’ammissione ai benefici, sta al condannato scegliere se collaborare o meno.

Infine, si è rilevato come l’art. 4 bis ord. penit., nella parte in cui subordina la concessione di benefici penitenziari ad una condotta di tipo collaborativo (od alla “inesigibilità” della stessa), non viola il diritto di tacere e di non contribuire alla propria incriminazione, posto che tale diritto attiene al processo di cognizione e non alla fase esecutiva della pena.

I benefici di cui al comma 1 – dispone il successivo comma 1 bis – possono essere concessi ai detenuti o agli internati per uno dei delitti ivi previsti, purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, non solo quando “tali detenuti e internati, collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter o.p.”, ma anche quando tali detenuti o internati sono impossibilitati a collaborare e tale impossibilità derivi dalla limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna divenuta irrevocabile, ovvero quando nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’art. 62 n. 6 c.p. (anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna) o dall’articolo 114 o 116 comma 2 c.p. (anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante).

Prosegue il comma 1 ter dell’art. 4 bis ord. penit.: “i benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, purchè non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva” alle persone detenute o internate per uno dei seguenti delitti:

a) omicidio (art.575 c.p.);

b) rapina aggravata (art.628 terzo comma c.p.);

c) estorsione aggravata (art.629 secondo comma c.p.);

d) fruizione di rapporto sessuale col minore verso compenso (art.600-bis, secondo e terzo comma;

e) diffusione di materiale pornografico o di notizie finalizzate all’adescamento o sfruttamento sessuale dei minori (art.600 ter terzo comma c.p.);

f) iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art.600 quinquies c.p.);

g) contrabbando di tabacchi lavorati esteri aggravato (articolo 291-ter decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43);

h) delitto di cui all’articolo 73 del D.P.R. limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, comma 2, del medesimo testo unico;

i) delitto di cui all’articolo 416, primo e terzo comma, del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 (contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti modelli e disegni) e 474 (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) c.p.;

l) delitto di cui all’articolo 416 del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII (delitti contro la persona), capo III (delitti contro la libertà individuale), sezione I (delitti contro la personalità individuale).

Ancora, ai sensi del comma 1 quater art. 4 bis, “i benefici di cui al comma 1 possono essere concessi solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno….” alle persone detenute o internate per uno dei seguenti delitti:

a) prostituzione minorile (art.600-bis c.p.);

b) pornografia minorile (art.600-ter c.p.);

c) detenzione di materiale pornografico (art.600-quater c.p.);

d) iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-quinquies c.p.);

e) violenza sessuale (art.609 bis c.p.) salvo che risulti applicata la circostanza attenuante dallo stesso contemplata;

f) violenza sessuale aggravata (art.609-ter c.p.);

g) atti sessuali con minorenne (art.609-quater c.p.);

h) corruzione di minorenni (art.609-quinquies c.p.);

i) violenza sessuale di gruppo (art.609-octies c.p.);

l) adescamento di minorenni (art.609-undecies c.p.).

Il comma 1 quinques aggiunge infine che, “salvo quanto previsto dal comma 1, ai fini della concessione dei benefici il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza valuta la positiva partecipazione al programma di riabilitazione specifica di cui all’articolo 13-bis della presente legge”, per quanto concerne le persone detenute o internate per uno dei seguenti delitti:

a) prostituzione minorile (art.600-bis c.p.);

b) pornografia minorile (art.600-ter c.p.) anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1;

c) iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-quinquies c.p.);

d) atti sessuali con minorenne (art.609-quater c.p.);

e) corruzione di minorenni (art.609-quinquies c.p.);

f) adescamento di minorenni (art. 609 undecies c.p.);

g) violenza sessuale (art.609 bis c.p.) e violenza sessuale di gruppo (art.609-octies c.p.) se commessi in danno di persona minorenne.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.