Nessuna forza maggiore per l’imprenditore che paga i dipendenti anziché le imposte

L’imprenditore in crisi di liquidità che sceglie di pagare i dipendenti, anziché le imposte, non può invocare la non colpevolezza per forza maggiore. Proprio la possibilità di scelta, infatti, esclude la sussistenza di tale scusante.

Ciò è quanto recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione, sez. III, con sentenza n. 46684/18 depositata lo scorso 15 ottobre.

Il caso

Nel caso sottoposto alla S.C., l’imputato era stato ritenuto responsabile dal giudice del primo grado per il reato di  cui all’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per aver omesso il versamento dell’IVA, nell’anno d’imposta 2011, per la società cooperativa di cui era legale rappresentante.

Il Giudice dell’appello confermava l’affermazione di penale responsabilità.

Nel ricorso di legittimità, il difensore dell’imputato lamentava – tra altri motivi – la violazione dell’art. 45 c.p., per non essere stata riconosciuta la sussistenza della causa della forza maggiore o dell’inesigibilità della condotta in relazione all’assoluta impossibilità dell’imputato di adempiere al debito d’imposta per la crisi in cui versava l’impresa.

In particolare, l’imputato preferiva utilizzare le non sufficienti risorse disponibili per pagare gli stipendi ai soci lavoratori, in adempimento di crediti privilegiati a cui sono posteregati quelli erariali e contributivi.

I motivi della decisione

E bene. La Corte, nel rigetto del ricorso, ha evidenziato come non sussista la dedotta violazione dell’art. 45 c.p., atteso che la situazione rappresentata dal ricorrente non integra gli estremi della forza maggiore.

Secondo consolidato principio, in tema di reati fiscali omissivi, l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128; fattispecie in cui la Corte escludeva che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità).

La Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante.

A ciò si aggiunga che:

a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta;

b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore, quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità;

c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato concausato dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità;

d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.

Nel caso di specie, si è rilevato come, proprio nell’anno oggetto di contestazione, fossero affluite nelle casse della società significative risorse, ma che l’imputato ne aveva privilegiato l’utilizzo per pagamenti diversi dalle obbligazioni tributarie.

Si trattò, dunque, di una scelta di politica imprenditoriale, che non consente – giusta i principi sopra richiamati – di ravvisare gli estremi della forza maggiore.

Non è inoltre pertinente il richiamo all”art. 2777 cod. civ., che indica il regime di privilegio dei crediti, anteponendo quelli per retribuzione a quelli erariali e contributivi, indicati nel successivo art. 2778 cod. civ., perché – com’è noto – questi vengono in rilievo soltanto laddove si tratti di far valere la responsabilità patrimoniale del debitore in una procedura esecutiva concorsuale (o individuale con l’intervento di altri creditori) e non possono evidentemente essere invocati per legittimare l’inadempimento di talune tipologie di obbligazioni a scapito di altre al di fuori di tale contesto procedurale, contesto che non risulta essere stato attuale al momento di consumazione del reato.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.