La ricognizione (informale) di persone.

La ricognizione è il mezzo di prova mediante cui, ad una persona che abbia percepito coi propri sensi un essere umano, voci, suoni o quant’altro può essere oggetto di percezione sensoriale, si chiede di riconoscerli tra altri simili (artt. 213 e ss. c.p.p.).

Quando la ricognizione ha ad oggetto un essere umano, si parla di ricognizione di persone; diversamente, di ricognizione di cose. Per entrambe le tipologie, si osservano modalità analoghe di svolgimento della prova.

L’assunzione di tale mezzo di prova – che può avvenire in dibattimento o in incidente probatorio – è disciplinata dettagliatamente dal codice nel seguente modo.

Il Giudice invita il c.d. ricognitore a descrivere la persona che ha visto, fornendo tutti i dettagli di cui ha memoria.

Dopodiché, gli rivolge le seguenti domande:

  • Se sia stato in precedenza già chiamato ad eseguire il riconoscimento;
  • Se, prima o dopo il fatto per cui si procede, abbia visto la persona da riconoscere, anche se riprodotta in foto o video, etc.;
  • Se la stessa gli sia stata indicata o descritta;
  • Se vi siano altre circostanze che possano influire sull’attendibilità del riconoscimento.

Si tratta, con ogni evidenza, di accertamenti volti a saggiare l’attendibilità del ricognitore.

Superata questa prima fase, il ricognitore abbandona l’aula, affinché il Giudice disponga la presenza di almeno due persone (c.d. distrattori), che somiglino il più possibile – anche nell’abbigliamento – alla persona da riconoscere. Invita, quindi, quest’ultima a prendere il posto che preferisce tra i distrattori.

Rientrato in aula il ricognitore, il Giudice gli chiede se riconosce taluno tra i presenti, avvertendolo che la persona da riconoscere potrebbe anche non essere presente. In caso di risposta positiva, il Giudice lo invita a indicare la persona che abbia riconosciuto e se ne sia certo.

Il verbale, a pena di nullità, deve indicare le modalità di svolgimento della ricognizione.

Ove vi sia fondata ragione di ritenere che il ricognitore possa essere sottoposto a intimidazione da parte della persona della persona da riconoscere, il Giudice dispone che l’atto sia compiuto senza che quest’ultima possa vedere il ricognitore.

Anche l’imputato può assumere il ruolo di ricognitore. Egli può, tuttavia, esercitare il diritto al silenzio.

Assai discussa è la configurabilità dell’istituto della c.d. ricognizione informale dell’imputato. In dibattimento, non è insolito che il Pubblico Ministero chieda al testimone se riconosca in aula l’autore del reato.

La giurisprudenza ammette tale strumento, ritenendolo un elemento atipico che si inserisce nel corso di un mezzo di prova tipico, qual è la testimonianza (cfr., ad es., Cass. sez. I, 11 giugno 1992).

Di diverso avviso la dottrina, che evidenzia la necessità che la prova atipica non si risolva in uno strumento per aggirare i requisiti delle prove tipiche, contrabbandando omissioni o irritualità come semplici profili di atipicità. Da una lettura sistematica delle regole codicistiche, può, infatti, desumersi il principio di non sostituibilità che vieta l’aggiramento di quelle forme probatorie che sono poste a garanzia dei diritti dell’imputato o dell’attendibilità della prova medesima. In casi del genere, si configura un vero e proprio divieto probatorio a pena di inutilizzabilità dei risultati acquisiti (art. 191 c.p.p.).

Con specifico riferimento alla ricognizione informale, mentre la testimonianza si svolge mediante esame incrociato, sì da spingere il dichiarante a fornire deposizioni veritiere; la ricognizione ha luogo in un contesto differente, che cerca il più possibile di mettere a proprio agio il ricognitore. Né può negarsi che sia molto più attendibile una ricognizione effettuata tra più persone somiglianti, rispetto a quella effettuata nei confronti di unica persona, che – tra l’altro – sieda al banco degli imputati.

Fonti:

  • Manuale breve di diritto processuale penale, Paolo Tonini, Giuffré, 2016.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.