Sequestro di persona ex art. 605 codice penale

Disciplinato dall’art. 605 c.p., il reato di Sequestro di persona tutela la libertà personale, intesa coma libertà della persona da qualsiasi misura coercitiva sul corpo.

La norma in esame punisce, infatti, con la reclusione da 6 mesi a 8 anni chiunque privi taluno della libertà personale per una durata di tempo apprezzabile (reato permanente). Siamo in presenza di un reato comune, potendo essere commesso da chiunque, salvo per quanto previsto dall’aggravanti di cui al comma 2 n. 2) dell’articolo in esame.

Relativamente al soggetto passivo, è discusso se esso sia configurabile in quelle persone che, per le loro specifiche condizioni di natura fisica o psichica, non siano in grado di muoversi autonomamente o di intendere la portata della propria libertà di movimento. Secondo la dottrina dominante, la norma non tutelerebbe coloro che di tale libertà non godevano al momento del fatto, in quanto privi della facoltà di locomozione o perché incapaci di percepirla.

L’elemento oggettivo del reato consiste nel ”privare taluno della propria libertà personale”. Tale privazione non deve necessariamente essere assoluta al punto che non è possibile l’auto liberazione del soggetto, essendo sufficiente che la libertà personale venga limitata o comunque sia relativa, e cioè tale da non consentire un facile superamento degli ostacoli interposti.

Si tratta di un reato a forma libera e quindi può essere realizzato con qualsiasi modalità. Per la configurazione del reato è rilevante la durata, cioè è necessario che la privazione della libertà personale venga protratta per una durata apprezzabile, anche se nella prassi tale durata si riduce anche a qualche breve minuto.

Il dolo è generico, dunque consiste nella coscienza e volontà di commettere quella determinata azione.

Il tentativo è configurabile, trattandosi di un reato di danno, in quanto si potrebbero compiere atti idonei diretti, in modo non equivoco, a privare qualcuno della propria libertà personale.

La pena base, prevista nel 1 comma, è quella della reclusione da sei mesi ad anni otto. Il 2 comma prevede invece la pena della reclusione da 1 a 10 anni nel caso in cui:

1) la persona offesa sia un ascendente, discendente ovvero il coniuge;

2) nel caso in cui il soggetto agente rivesta la qualità di pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni.

Il 3 comma invece sanziona con la pena della reclusione da 3 a 12 anni il caso in cui la condotta abbia come persona offesa un minore; invece laddove sussista una delle circostanze di cui al 2 comma a danno di un minore ovvero in danno di un infraquattordicenne, ovvero nel caso in cui il minore è condotto ovvero trattenuto all’estero, la pena è della reclusione da 3 a 15 anni.

Laddove invece, dal sequestro derivi la morte della persona offesa, si applica la pena dell’ergastolo; la morte si configura come un’aggravante oggettiva, la quale viene esclusa solamente nel caso in cui si tratti di un evento eccezionale ed imprevedibile.

Il regime sanzionatorio indicato al 3 comma è diminuito sino alla metà nel caso in cui l’imputato si adoperi concretamente nel far si che il minore riacquisti la propria libertà; trattasi di recesso attivo, il quale crea una scissione tra la condotta del partecipe e quella dei correi (laddove ovviamente la condotta sia realizzata da più persone ex art. 110 c.p.).

Altra circostanza alla luce della quale il Legislatore ha previsto una diminuzione sino alla metà si ha quando l’imputato si adopera concretamente per evitare che l’attività penalmente rilevante sia portata a conseguenze ulteriori, dando un aiuto all’autorità di polizia ovvero giudiziaria attraverso la raccolta di elementi probatori decisivi ai fini della ricostruzione dei fatti e per l’individuazione ovvero la cattura di coloro che hanno concorso nel reato; infine la riduzione della pena sino alla metà si applica nel caso in cui l’imputato si adoperi concretamene per evitare la commissione di ulteriori fatti di sequestro del soggetto minore.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.