Sulla legittima provenienza del bene sequestrato da redditi evasi al fisco

Disposto il sequestro ex art. 20 D.lgs. 159/2011, inaudita altera parte, il proposto – una volta instauratosi il contraddittorio, può allegare elementi per giustificare la legittima provenienza del bene sequestrato offrendo elementi precisi e riscontrabili, in primo luogo sulla disponibilità del denaro utilizzato per l’acquisto.

Sul punto ci si è domandati se, a tal fine, il proposto possa neutralizzare gli elementi offerti dall’ accusa e accolti dal Tribunale sulla provenienza illecita del bene – desunta anche solo dalla sproporzione tra il valore dei beni stessi e le dichiarazioni rese a fini fiscali – deducendo che l’acquisto sarebbe avvenuto utilizzando denaro realmente entrato nella sua disponibilità, ma non dichiarato (illegittimamente) al fisco, perciò frutto di evasione fiscale.

La giurisprudenza da tempo ha escluso tale possibilità, trattandosi di redditi illeciti, derivanti da evasione fiscale o tributaria in genere (cfr., ex multis, Cass. Pen., Sez. I, 15 gennaio 1996 (dep. 22 febbraio 1996), n. 148, Anzelmo, CED 204036).

Secondo detta giurisprudenza infatti, l’inciso “o all’attività economica svolta” (presente tanto all’art. 20, che all’art. 24 D.lgs. 159/2011) è stato introdotto con l’art. 3 della l. n. 256/93, che modifica l’art. 2 ter, comma 2, della l. n. 575/65 (con l’obiettivo di semplificare l’applicazione della norma), plausibilmente per evitare che il confronto tra le dichiarazioni a fini fiscali e il valore dei beni pervenisse ad effetti inaccettabili in presenza di redditi di attività economiche che consentivano una dichiarazione a fini fiscali “forfettaria” e inferiore al livello reale dei redditi. Si pensi, a titolo esemplificativo, al reddito delle persone fisiche derivanti dall’ attività agraria, che è calcolato in modo forfettario e agevolato (senza necessità di tenere scritture contabili o documentazione di particolare natura).

A parere di chi scrive, questa soluzione invero non convince. Se il legislatore avesse voluto sottoporre a confisca i beni di valore sproporzionato al solo reddito dichiarato, non avrebbe aggiunto l’inciso “o all’attività svolta“. La legge va interpretata nel senso che la confisca è consentita qualora la sproporzione sussista non solo con riferimento ai redditi dichiarati, ma anche in relazione ai redditi prodotti ma non dichiarati, purché non illeciti. Altrimenti il richiamato inciso sarebbe privo di senso, né si può restringere ai casi come quello sopra esemplificato, trattandosi di un interpretatio abrogans a sfavore del proposto.

Si osservi, infatti, come nel caso in cui si ricolleghi l’acquisto dei beni all’utilizzo di provvista garantita da evasione fiscale, è evidente che la provenienza è giustificata, ossia individuata. E tale interpretazione è conforme alla ratio legis, laddove la confisca di prevenzione intende sottrarre al mercato beni di provenienza illecita, non già sanzionare l’evasione fiscale.

Ma anche a voler respingere questa lettura fuori dal coro della normativa in disamina, si noti come meriti approfondimento il tema della corretta individuazione dei redditi di origine lecita pur in presenza di un’evasione fiscale. Non necessariamente, infatti, il reddito non dichiarato a fini fiscali va considerato nella sua interezza illecito, potendo riverberarsi l’illiceità solo sulla parte sottratta al fisco in presenza di attività economica lecitamente svolta (cfr. MENDITTO, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali, 355 ss).

Può, dunque, sostenersi, attraverso una rigorosa interpretazione costituzionalmente orientata, che i redditi (imponibili) non dichiarati e assoggettati agli oneri derivanti dalla legislazione fiscale e tributaria derivante da attività economica lecita divengono illeciti nella quota-parte (imposta) che doveva essere versata al fisco, con onere del proposto di dimostrare e quantificare la parte non illecita (depurata dagli importi dovuti al fisco).

Una probatio forse diabolica, trattandosi di una dimostrazione non agevole proprio perché si è in presenza di redditi non dichiarati, per i quali normalmente la stessa parte mira a non lasciare traccia per evitare successivi accertamenti fiscali.

Diversa valutazione ha, invece, l’allegazione fondata sul reddito proveniente da evasione fiscale che sia operata dal terzo, ritenuto intestatario fittizio dei beni oggetto di sequestro (c.d. disponibilità indiretta del proposto).

Per il terzo formale intestatario non si pone un problema di provenienza illecita del bene – questione che riguarda il proposto e che consente una semplificazione probatoria attraverso la valorizzazione della sufficienza indiziaria – ed occorre, invece, dimostrare la disponibilità indiretta del bene in capo al proposto, anche (ma non solo) attraverso l’incapacità da parte del terzo ad acquistare quei determinati beni.

Il diverso onere gravante sul terzo consente a quest’ultimo (a differenza del proposto), di neutralizzare la sproporzione tra valore del bene e redditi dichiarati (qualora la sproporzione rappresenti indice dimostrativo della fittizia intestazione) allegando elementi idonei, di qualunque natura, atti a evidenziare la sua effettiva titolarità sul bene, in primo luogo attraverso la disponibilità economica all’ acquisto.

Tale allegazione può avvenire anche attraverso somme di denaro di provenienza illecita, ivi compresi redditi fiscalmente non dichiarati. Oggetto della prova (e dell’allegazione del terzo) è, si ribadisce, non l’illiceità della provenienza del bene, elemento che riguarda il proposto, ma la disponibilità di questo.

Allegata dal terzo l’effettiva disponibilità del bene sequestrato, l’origine eventualmente illecita del denaro indicato non è indifferente all’ordinamento, dovendo lo stesso terzo sopportare le conseguenze derivanti dall’illecito acquisto del bene. Il Tribunale, deliberata sommariamente la natura degli illeciti, dovrà disporrà la doverosa segnalazione: al pubblico ministero, qualora si configurino estremi di reato (che possono, talvolta, consentire di adottare misure reali nei confronti del medesimo bene), ovvero alle autorità competenti se si tratta di illeciti di altra natura (amministrativi, fiscali, etc.). Nonché, il terzo potrà assumere anche la qualifica di proposto in altro procedimento di prevenzione instauratosi ai suoi danni.

 

FONTI

 

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.