La Rilevanza dell’ommissione nel concorso di persone: in particolare la responsabilità penale degli amministratori senza deleghe per i reati commessi dai delegati

amministratori senza deleghe

La rilevanza della condotta omissiva nella fattispecie plurisoggettiva va verificata distinguendo tra concorso nel reato omissivo e concorso mediante omissione nel reato commissivo.

Concorso nel reato omissivo

In relazione a tale ipotesi bisogna ulteriormente distinguere tra:

  • il concorso mediante omissione nel reato omissivo, che ricorre quando più soggetti, tutti gravati un obbligo giuridico di realizzare l’azione doverosa, si accordano per non adempiere i loro obblighi.

Il concorso di persone non svolge una funzione di incriminazione, perché i soggetti avrebbero comunque  risposto del reato omissivo monosoggettivo, avendo l’obbligo di agire.

Il concorso, invece, svolge una funzione di disciplina, in quanto assoggetta alla specifica normativa concorsuale condotte già penalmente sanzionabili come reati monosoggettivi.

  • Il concorso mediante azione nel reato omissivo è configurabile qualora un soggetto, non gravato dall’obbligo giuridico di agire, determini un terzo a commettere l’omissione penalmente rilevante.

Lo schema del concorso omissivo svolge una funzione di incriminazione, perché permette di sanzionare penalmente condotte altrimenti irrilevanti.

Concorso mediante omissione nell’altrui reato commissivo

Il fondamento normativo di questo tipo di concorso è l’articolo 40 comma 2 c.p. secondo cui “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Nel concetto di evento da impedire rientra anche il reato commesso da altri.

La giurisprudenza, al fine di verificare la sussistenza della posizione di garanzia in capo all’omittente, utilizza prevalentemente la teoria mista e in alcune ipotesi la teoria formale.

L’altro presupposto necessario per attribuire rilevanza penale all’omissione è il nesso causale, perché la condotta omissiva deve essere stata condizione necessaria o agevolatrice per la consumazione del reato del terzo.

In virtù di tali considerazioni, è chiara la non punibilità della mera connivenza, cioè la situazione di colui che assiste alla consumazione di un reato senza intervenire.

Il soggetto connivente non è penalmente rimproverabile, non essendo gravato dall’obbligo ex articolo 40 comma 2 c.p..

Nella pratica, tuttavia, non è agevole distinguere tra mera connivenza non punibile e omissione penalmente rilevante.

Ad esempio, può accadere che la semplice presenza fisica sul luogo in cui si sta consumando un reato determini un rafforzamento della volontà degli esecutori.

Il soggetto, quindi, dovrà rispondere del reato concorsuale per aver fornito un contributo morale.

L’ipotesi classica è quella in cui un mafioso commette il reato alla presenza di un proprio sodale.

Responsabilità degli amministratori non delegati per i reati commessi dagli amministratori delegati

La questione della rilevanza penale dell’omissione nell’altrui reato commissivo si è recentemente posta in materia societaria.

La giurisprudenza e la dottrina si sono interrogate se a seguito della riforma del diritto societario realizzata nel 2003 sia ancora possibile configurare un concorso omissivo da parte degli amministratori privi di deleghe nei reati commessi dai delegati.

Il prima e il dopo

In passato tutti gli amministratori erano gravati da una diligenza equiparata a quella del mandatario.

La giurisprudenza riteneva pacificamente che la fonte formale della posizione di garanzia degli amministratori fosse l’articolo 2392 c.c., il quale prevedeva il dovere di vigilanza sull’andamento della società.

Il legislatore nel 2003 interviene su vari articoli del Codice civile.

La ratio della riforma è stata quella di differenziare le posizioni degli amministratori all’interno della compagine organizzativa, al fine di evitare forme di responsabilità sostanzialmente oggettiva.

Oggi si deve distinguere tra gli amministratori che svolgono l’attività in maniera professionale e che sono muniti di un bagaglio professionale di competenze elevate e coloro che non partecipano alla gestione dell’attività.

Il riscritto articolo 2392 c.c., infatti, prevede che gli amministratori sono gravati da una diligenza diversa, calibrata sulla natura dell’incarico individualmente ricevuto e sul tasso di professionalità e competenza di cui ciascuno è portatore.

Questo spirito sotteso alla riforma ha indotto il legislatore ad intervenire sul tema degli obblighi e delle responsabilità dei diversi amministratori.

La novità più importante è consistita nell’aver eliso il riferimento all’obbligo di vigilanza sul generale andamento della società.

L’articolo 2392 c.c., nella formulazione originaria, prevedeva il dovere degli amministratori di vigilare sul generale andamento della società.

Il testo attuale non prevede più tale obbligo.

A questa elisione si è accompagnata la riscrittura dell’articolo 2381 c.c., il quale prevede che il consiglio di amministrazione “Sulla base delle informazioni ricevute valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione”.

Dunque, si è passati da un dovere di vigilare ad un dovere di valutare, cd. “agire informato”.

Ci si è chiesti se, a seguito della riforma del diritto societario, gli amministratori possano ancora concorrere per omissione nel reato commesso dagli amministratori delegati.

In merito vi sono due tesi.

Un primo orientamento giurisprudenziale sostiene che l’eliminazione del dovere di vigilanza ha determinato la scomparsa della posizione di garanzia degli amministratori verso i delegati, in quanto il dovere di vigilanza e il dovere di valutazione sono ontologicamente diversi.

Gli amministratori deleganti, pertanto, non possono concorrere mediante omissione nei reati commessi dagli amministratori esecutivi.

La giurisprudenza prevalente, al contrario, reputa che sussista ancora una posizione di garanzia degli amministratori verso i delegati.

La riforma della disciplina delle società ha indubbiamente alleggerito gli oneri e la responsabilità degli amministratori, ma la posizione di garanzia degli stessi continua ad esistere ed ha il fondamento normativo nell’articolo 2392, comma 2, c.p. secondo cui “In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell’articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose”.

I poteri impeditivi vanno ricercati nelle disposizioni civilistiche che disciplinano i poteri attribuiti al singolo amministratore.

Il concorso omissivo nel reato commesso dagli amministratori esecutivi è configurabile in presenza di un nesso causale tra l’omissione e l’illecito realizzato.

Sotto il profilo psicologico è necessario tale omissione venga realizzata a titolo di dolo.

L’elemento soggettivo

La Corte di Cassazione ha compiuto importanti precisazioni in merito all’elemento soggettivo.

Come detto, a seguito della riforma, i fatti pregiudizievoli devono essere conosciuti dall’amministratore non delegato, il quale solo in questo caso ha l’obbligo di intervenire.

Sicchè, l’amministratore risponderà:

  • a titolo di dolo diretto se, essendo consapevole del reato in itinere da parte del delegato, non interviene, pur avendo la possibilità di impedirlo
  • a titolo di dolo eventuale qualora, privo di tale consapevolezza, sia cosciente del rischio che un reato possa essere commesso.

La giurisprudenza reputa che il dolo eventuale sia desumibile dalla percezione da parte dell’amministratore non delegato dei cd. “indici di allerta o di allarme”.

Con tale espressione si fa riferimento a situazioni che, secondo le massime di comune esperienza e il grado di diligenza imposto all’amministratore nell’adempimento dell’incarico, avrebbero dovuto indurlo ad attivarsi per accertare e impedire la realizzazione delle condotte illecite.

Sono tali, ad esempio, la mancata approvazione del bilancio, gli elevatissimi compensi riconosciuti all’amministratore delegato, etc…

Dunque, se l’amministratore è conscio che nella società c’è una situazione di anomalia gestionale, qualora non intervenga egli risponderà a titolo di dolo eventuale, perché, rimanendo inerte, ha assunto il rischio che il delegato possa commettere dei reati.

Spetta all’accusa dimostrare che i segnali di allarme erano chiari, specifici e che l’amministratore gli abbia effettivamente percepiti.

Caratteristiche degli indici di allarme

La Cassazione ha statuito le caratteristiche che gli indici di allarme devono presentare, affinché si possa configurare il dolo eventuale e non la colpa cosciente.

Primo

Gli indici di allarme devono essere effettivamente conosciuti, non è sufficiente una mera conoscibilità.

La mera conoscibilità resta confinata nell’area della colpa.

Secondo

Gli indici di allarme devono essere “perspicui e peculiari”, cioè idonei a rivelare che è in corso di esecuzione un reato di un certo tipo.

Non deve trattarsi di indici di allarme generici.

Terzo

L’amministratore deve percepirli nella loro idoneità ad attestare il rischio che sia in corso di esecuzione un reato di un certo tipo.

Solo se gli indici presentano tali caratteristiche è configurabile il dolo eventuale.

In mancanza sussiste la colpa cosciente dell’amministratore, non sufficiente per fondare una sua responsabilità penale.

Altra giurisprudenza

Giova precisare che una parte della giurisprudenza e della dottrina esigono un approccio più rigoroso.

Affinché sussista il dolo eventuale, non è sufficiente né il rischio che l’amministratore delegato stia per commettere il reato, né l’omissione volontaria da parte dell’amministratore.

La verifica del dolo va condotta in concreto in sede processuale.

Nel caso di specie, infatti, può mancare l’adesione volontaristica al reato del delegato qualora l’amministratore non sia intervenuto perché ragionevolmente nutriva, sulla base di elementi oggettivi, fiducia nelle competenze, nella professionalità, nella affidabilità, nella serietà, nella autorevolezza degli amministratori delegati.

Critiche all’orientamento giurisprudenziale prevalente

La giurisprudenza spesso ha mostrato di ritenere sufficiente l’art. 2392 c.c. per individuare la posizione di garanzia, senza specificare quali siano gli autentici poteri impeditivi di cui sono muniti gli amministratori non delegati.

La migliore dottrina del diritto commerciale, invece, si è impegnata nel tentativo di verificare che gli amministratori non delegati siano muniti di effettivi poteri per impedire il reato dell’amministratore delegato.

Il singolo consigliere di amministratore privo di deleghe, nel suo operato, incontra il limite rappresentato dal vincolo di collegialità.

In omaggio ad una concezione unitaria ed organica del consiglio di amministrazione, il singolo consigliere non può adottare individualmente atti direttamente impeditivi del reato dell’amministratore con delega.

Le delibere le assume il collegio e non il singolo consigliere, il quale non ha autonomia decisionale né poteri autonomi d’investigazione o d’iniziativa.

Solo in via eccezionale e in numero di casi piuttosto limitato, il consigliere può intraprendere autonome iniziative.

L’art. 2409 c.c., ad esempio, stabilisce che i soci possono sollecitare, attraverso il PM, l’intervento del Tribunale in caso di mala gestio.

Talvolta, però, il potere di sollecitare il PM ha efficacia impeditiva in astratto ma non in concreto.

Il Pubblico Ministero è legittimato ad avviare la procedura ex art. 2409 c.c. solo nei confronti delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Inoltre, il controllo giudiziario è stato notevolmente limitato sotto il profilo oggettivo, potendo essere avviato solo in presenza di gravi irregolarità che possano arrecare danno alla società o alle sue controllate.

Un’altra ipotesi eccezionale in cui il singolo consigliere può agire in autonomia riguarda tutte quelle società che sono assoggettate alla vigilanza di settore.

Il consigliere, infatti, può sollecitare l’intervento dell’autorità di vigilanza.

Anche questo potere non sempre ha attitudine impeditiva.

In omaggio al principio di legalità dei poteri amministrativi (art. 97 Cost.), queste autorità devono muoversi nell’ambito delle competenze loro attribuite dalla legge, e non sempre sono munite di poteri di impedimento del reato.

Infine, va ricordato che il consigliere assente o dissenziente può impugnare la delibera consigliare.

L’impugnazione della delibera è idonea ad impedire il reato qualora sia la materializzazione della delibera assembleare.

In molti casi, tuttavia, l’amministratore delegato commette il reato nell’esercizio delle deleghe al di fuori della sede consiliare, perché svincolati da delibere formali dell’organo amministrativo.