Successione di leggi nel tempo, art. 589 bis: rileva il criterio della condotta

In materia di successione di leggi nel tempo, le Sezioni Unite sono state chiamate a risolvere la seguente questione di diritto:

Se, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, debba trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta ovvero quella vigente al momento dell’evento.

Il caso di specie riguardava l’applicabilità della fattispecie di omicidio stradale ex art. 589-bis c.p., introdotta in epoca successiva alla condotta ascritta all’imputato e vigente, invece, al momento del verificarsi dell’evento, ovvero dell’art. 589 c.p. di omicidio colposo con applicazione dell’aggravante – oggi abrogata – prevista al secondo comma della violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.

In particolare, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla legge 23 marzo 2016, n. 41 e in vigore dal  25 marzo 2016, l’art. 589 co. 2 c.p. comminava, per il fatto di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, la pena della reclusione da 2 a 7 anni; la fattispecie di cui al secondo comma integrava una circostanza aggravante, non soggetta al regime derogatorio della disciplina relativa al giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee stabilito dall’art. 590-bis c.p.(sempre nella formulazione anteriore alla novella del 2016).

Di conseguenza, l’applicazione, come nel caso di specie, delle circostanze attenuanti generiche, poteva condurre all’irrogazione di una pena, nel minimo, di 6 mesi di reclusione, nel caso di giudizio di equivalenza, ovvero di 4 mesi di reclusione, nel caso di giudizio di prevalenza dell’attenuante.

Il quadro sanzionatorio è mutato radicalmente con l’avvento della legge n. 41 del 2016, che ha introdotto la fattispecie di omicidio stradale ex art. 589-bis c.p. quale autonoma fattispecie di reato, sicché l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche può condurre all’irrogazione, nel minimo, della pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione.

Evidente dunque, come nel caso di specie, essendo intercorso un determinato lasso di tempo tra la realizzazione della condotta e il verificarsi dell’evento, assuma rilevanza stabilire cosa debba intendersi per commissione del reato, ai sensi dell’art. 2 co. 4 c.p. che pone il divieto di irretroattività sfavorevole in caso di successioni di leggi nel tempo.

Secondo un primo orientamento (Sez. 4, n. 22379 del 17/04/2015, Sandrucci e Sez. 5, n. 19008 del 13/03/2014, Calamita), per il trattamento sanzionatorio deve aversi riguardo «a quello vigente al momento della consumazione del reato: cioè al momento dell’evento lesivo».

Secondo altro orientamento ( Sez. 4, n. 8448, del 05/10/1972, Bartesaghi), «al fine di stabilire la legge applicabile, non si tratta di individuare il momento della consumazione, ma quello nel quale il reato è stato commesso, come espressamente stabilisce la legge. E se vi sono reati nei quali commissione e consumazione coincidono, ve ne sono altri nel quali il momento della consumazione, col realizzarsi dell’evento, si verifica successivamente o può verificarsi successivamente»; diversamente, si giungerebbe all’«applicazione retroattiva della legge nel caso di nuove o più gravi statuizioni penali, quando la condotta si sia esaurita sotto l’imperio di una legge che non prevedeva il fatto come reato, o che lo prevedeva meno grave di quanto non sia considerato dalla nuova. Ed in tal modo il reo verrebbe ad essere punito più gravemente per il fatto puramente casuale che nel periodo di tempo intercorrente tra la sua condotta e l’evento sia sopraggiunta la nuova legge, in tal modo determinandosi quell’incertezza sul grado di illiceità del comportamento umano che è escluso in modo assoluto dal principio dell’irretroattività».

Le Sezioni Unite con sentenza 40986/2018 che qui si riporta ha inteso aderire al secondo dei due orientamenti sovra esposti.

La Corte chiarisce, innanzitutto, come il riferimento al “reato” e non al “fatto”, contenuto nell’art. 2 co. 4 c.p. non assuma valenza al fine di considerare il “reato” nella «triade dei suoi elementi costitutivi, condotta – nesso causale – evento naturalistico»: invero, il termine “fatto” contenuto al primo e al secondo comma dell’art. 2 c.p. evoca la fattispecie non (o non più) penalmente sanzionata, mentre il termine “reato” di cui al quarto comma indica quella penalmente sanzionata (e assoggettata al regime della successione di leggi penali).

Quanto invece all’individuazione del tempus commissi delicti, si rileva l’assenza nel codice penale di una definizione, per così dire, “onnicomprensiva” di tale momento.

Tale, in particolare, non può essere considerata quella offerta dall‘art. 6 c.p. che, al fine di individuare i reati commessi nel territorio dello Stato, fa coincidere la commissione del reato con il verificarsi nel territorio stesso della condotta (anche in parte) ovvero dell’evento.

Proprio l’equivalenza – ai fini dell’art. 6 c.p. – del criterio della condotta e del criterio dell’evento rende ragione dell’inidoneità di detta disciplina a fissare il tempus commissi delicti ai fini della successione di leggi nel tempo, posto che, come i casi in esame testimoniano, la distanza temporale che può riscontrarsi tra condotta ed evento impone di individuare in termini unitari (e non già alternativi) il tempus.

Il riferimento letterale alla “commissione del reato” non è di ostacolo all’individuazione della condotta dell’agente quale punto di riferimento cronologico della successione di leggi.

A fondamento del principio di irretroattività della norma più sfavorevole si pone, infatti, un’istanza di garanzia della persona contro i possibili arbìtri del legislatore e di preventiva valutabilità da parte dell’individuo delle conseguenze penali della propria condotta.

La condotta rappresenta il punto di riferimento temporale essenziale a garantire la “calcolabilità” delle conseguenze penali e, con essa, l’autodeterminazione della persona: ed è a tale punto di riferimento temporale che deve essere quindi riconnessa l’operatività del principio di irretroattività ex art. 25 Cost.

“Spostare in avanti” detta operatività, correlandola all’evento del reato, determinerebbe, qualora alla condotta interamente posta in essere nella vigenza di una legge penale sia sopravvenuta una normativa penale più sfavorevole, la sostanziale retroattività di quest’ultima rispetto al momento in cui è effettivamente possibile per la persona “calcolare” le conseguenze penali del proprio agire, in violazione dell’art. 25 Cost. e dell’art. 7, paragrafo 1, della CEDU, che sancisce il divieto di applicazione retroattiva delle norme penali incriminatrici e, in generale, delle norme penali più severe.

Una protrazione della condotta suscettibile di conoscere, nel suo svolgimento, il sopravvenire di una legge penale più sfavorevole si registra esclusivamente nel reato permanente e nel reato abituale, ove il protrarsi della condotta sotto la vigenza della nuova, più sfavorevole, legge penale assicura la calcolabilità delle conseguenze della condotta stessa.

Alla luce di tali argomentazioni, le Sezioni Unite hanno dunque enunciato il seguente principio di diritto:

In tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento
intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.