Il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità

L’articolo 650 c.p., rubricato inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, punisce – ove il fatto non costituisca più grave reato – con l’arresto fino a 3 mesi e l’ammenda fino a 206 euro, “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene”.

L’articolo in esame disciplina un’ipotesi di norma penale in bianco, in cui cioè la norma di rango primario, si limita a fissare la sanzione rinviando per la descrizione dell’elemento soggettivo ad altra fonte, legislativa o regolamentare.

Per provvedimento legalmente dato dall’autorità, si intende infatti qualsiasi atto autoritativo unilaterale proveniente da un soggetto pubblico e diretto a perseguire i pubblici interessi tassativamente elencati dalla norma, atto ad incidere direttamente su situazioni soggettive con forza innovativa. Per tale ragione, non rientrano nella nozione di provvedimento amministrativo gli atti normativi (con le tipiche caratteristiche dell’astrattezza e della generalità) che, pur potendosi rivolgere ad una ben determinata categoria di persone, non sono in grado di incidere direttamente su situazioni soggettive attive o passive.

La richiesta contenuta nel provvedimento deve essere legittima, cioè deve provenire da un organo della pubblica amministrazione che agisca nell’esercizio delle proprie funzioni e competenze. Al giudice penale è consentito in tal senso sindacare la legittimità dell’atto, dato che la norma stessa richiede che esso sia conforme a legge, e cioè emanato nel rispetto dei contenuti e delle forme previste dalla legge.

Il soggetto attivo del reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità è il destinatario del provvedimento legalmente dato. Tale non è soltanto la persona fisica nei confronti della quale l’ordine sia stato emesso, ma anche il legale rappresentante di persona giuridica.

La norma ha comunque carattere sussidiario, in quanto opera solo qualora l’ordine disatteso non trovi copertura legale, anche di natura non penale.
L’elemento oggettivo del reato contravvenzionale in disamina consiste in una condotta che si sostanzia nel tenere un comportamento attivo od omissivo che si concretizza nell’inosservanza (intesa anche come semplice ritardo) di un provvedimento emanato e posto in essere dall’autorità

Nello specifico, le “ragioni di giustizia” non si esauriscono in quelle attinenti allo svolgimento dell’attività giurisdizionale, ma riguardano anche l’attività di accertamento compiuta ad opera del Pubblico Ministero o della Polizia Giudiziaria, diretta alla scoperta di reati per il cui soddisfacimento, nell’ambito del potere discrezionale stabilito dalla legge, siano rivolti al cittadino ordini consequenziali.

Invece, le “ragioni di sicurezza pubblica” attengono all’attività di polizia (prevenzione e o repressione in via amministrativa), volte al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità, alla tutela della proprietà, alla prestazione di soccorso in casi di pubblici o privati infortuni ed alla prevenzione dei reati (si veda in tal senso l’articolo 1 – Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza – Regio Decreto 18 marzo 1931, n. 773).

In linea con la previsione dell’articolo 42, comma 4°, l’elemento psicologico del reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità può essere indifferentemente il dolo generico oppure la colpa.

In questa fattispecie incriminatrice il tentativo non è mai configurabile, riferendosi, l’articolo 56 c.p., ai soli delitti. Il momento consumativo del reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità coincide con il momento dell’inadempimento all’ordine imposto al destinatario.

Di conseguenza, il reato previsto dall’art. 650 c.p. si perfeziona con la scadenza dei termini previsti nel provvedimento dell’autorità amministrativa, ma si protrae per tutto il tempo della volontaria omissione, poiché l’inosservanza dell’ordine pone in essere una situazione contra ius (antigiuridica), caratterizzata dall’essere necessaria la condotta dell’agente affinché con l’esecuzione del provvedimento venga a cessare lo stato di illecita disobbedienza.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.