Ergastolo ostativo: fine rieducativo? Si, solo morale

Viviamo in un periodo storico-giuridico in profonda crisi.

La necessità di modificare tanti aspetti di vari settori del diritto è diventato  veramente incessante al punto tale da dover prendere serie decisioni affinché  la “giungla normativa” possa lasciare intravedere qualche via d’uscita agli operatori del diritto che la vivono quotidianamente e far si che ci si avvii verso una visione del diritto comune nuova,  improntata sempre di più ad una costituzionalizzazione e che miri alla globalizzazione ed all’integrazione europea.

La ricerca di soluzioni, nuove prospettive che blocchino o, comunque, attenuino questo scorrere in pejus delle “acque giuridiche”, pertanto, si avverte, ora, più che mai.

La passione per lo studio del diritto da un lato e la percezione di aria inquinata nel mondo giuridico dall’altro, infatti, ha spinto chi scrive, a  voler incentrare il suo breve pensiero su uno degli aspetti del diritto, complesso, delicato e problematico, che ha a che fare con l’essere umano e, quindi, la vita dello stesso.

Si tratta dell’ergastolo cosiddetto ergastolo “ostativo”, la cui fine pena è “mai”.

Dipoi, il medesimo, vuole “togliersi”, per così dire, il peso sulla coscienza per non aver, in qualche modo, contribuito nel a migliorare il complesso sistema delle leggi che lo circonda nel periodo in cui vive.

D’altronde,  la cultura è la vera ricchezza e, la ricerca, lo sviluppo della società, in questo caso “società di diritto”.

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Se la pena di morte, ormai non più vigente all’interno dell’Ordinamento Giuridico italiano, escludeva, per naturali ragioni, qualsiasi funzione della pena, al giorno d’oggi, l’ergastolo, che costituisce la pena detentiva più grave, specialmente l’ergastolo c.d. ostativo con l’aggravante fine pena mai, è al centro di un dibattito molto acceso.

Omettendo, in questa sede, di parlare dell’ergastolo c.d. semplice, per il quale, secondo l’Ordinamento Penitenziario i condannati a tale pena possono usufruire, dopo l’espiazione di almeno dieci anni, dei permessi premio e del lavoro all’esterno, dopo venti anni della semilibertà, nonché della liberazione condizionale quando abbiano scontato almeno ventisei anni di pena ed abbiano tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il loro ravvedimento, si tenta di porre l’attenzione sull’ergastolo ostativo al quale la legge fa corrispondere la pena perpetua.

Le problematiche che emergono dal rapporto tra Codice Penale e Costituzione appaiono sempre più evidenti e scorrono incessanti creando disordini giuridici e scompigli sistematici ai quali bisogna porre un freno tramite la rivisitazione, integrazione o addirittura riformulazione di alcuni tra i più importanti precetti in modo tale da creare un perfetto sincronismo con le norme garantiste del nostro Disegno Fondamentale e poter guardare il diritto comune da una diversa angolazione.

Bisogna, ancor di più, che si discuti  non solo a livello interno, ma soprattutto andando oltre i confini nazionali tenendo sempre in considerazione la matrice costituzionale del principi alla luce della portata cosmopolitica di questo nuovo diritto penale costituzionale.

Ma, riallacciandoci al caso de quo, la problematica è quella della funzione della pena sulla quale, per la grande importanza che riveste nella vita sociale, si sono largamente cimentati sia illustri giuristi, come anche eruditi filosofi.

Infatti, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, il carattere puramente retributivo della pena, sembra rappresentare una nostalgia del passato in quanto le pene devono tendere alla rieducazione dei condannati, così come recita l’art. 27, comma terzo: Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Fermo restando il  castigo giuridico della pena, la verità è che nel diritto attuale la stessa non assume un carattere rigorosamente unitario: è un mixtum compositum, nel quale l’idea dell’emenda del reo ha un’influenza considerevole accanto al concetto centrale del corrispettivo e il legislatore per cercare di conciliare le varie e complesse esigenze della lotta contro il delitto, si è ispirato, più che a un particolare sistema filosofico dottrinale, a motivi di necessità sociale e di opportunità politica.

L’idea rieducativa, a sua volta, ha ispirato una serie di interventi riformistici per cercare di andare a passo con l’art. 27 della Costituzione e l’espressione più significativa è costituita senza dubbio dalla riforma dell’ordinamento penitenziario attuata con L. 26 luglio 1975, n. 354 .

La dottrina ha evidenziato la necessità di recuperare l’efficacia del sistema sanzionatorio bilanciandola con il rispetto della funzione rieducativa della pena muovendo nella corretta direzione di intervenire in modo strutturale sul sistema delle pene, ma, occorre evidenziare che, nonostante tutti questi tentativi di riforma, ci troviamo di fronte ad un sistema sanzionatorio profondamente in crisi, che solo apparentemente si conforma alla funzione rieducativa della pena il quale presenta diversi profili critici.

Una delle criticità, forse la più importante in quanto riguarda la vita dell’essere umano, è, appunto, la tematica sull’ergastolo ostativo la quale è nel mirino non solo degli studiosi interni al nostro ordinamento ma anche a livello sovranazionale.

La reclusione a vita solleva, infatti,  problemi con il divieto di trattamenti inumani e degradanti sancito dall’art. 3 CEDU, specie se non consente al condannato, de facto e de iure, di tornare in libertà, vincolante per il nostro ordinamento ex art. 117 Cost. .

Bisogna considerare che ai reati c.d. ostativi fa riferimento anche l’art. 41-bis, comma 2, dell’Ordinamento Penitenziario, prevedendo un regime penitenziario differenziato in pejus rispetto a quello ordinario e la sospensione delle normali regole di trattamento.

Spesso accade che i condannati a tale pena subiscono un fenomeno di triplo schiacciamento: in quanto condannati all’ergastolo, in quanto è preclusa loro ogni possibilità di uscire dal carcere usufruendo di una misura alternativa e in quanto costretti al regime di carcere duro.

L’unica possibilità in capo ai condannati alla pena dell’ergastolo per i reati di cui all’art. 4-bis, comma 1, Ord.Pen., di uscire dal carcere attraverso la liberazione condizionale, è quella di collaborare con la giustizia .

L’ergastolo a vita, risulta incostituzionale sotto tanti punti di vista.

E’ incostituzionale poiché in netto contrasto con l’art. 27, comma 3, Cost, in quanto prevede una pena detentiva che non cessa pur in presenza della rieducazione del soggetto, ossia anche se la personalità del detenuto presenta quel ravvedimento sicuro al quale l’art. 176 condiziona la concessione della liberazione condizionale della pena.

Ancora, perche è pena perpetua non riducibile, in quanto è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

E’ incostituzionale perché non garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, la cui natura va oltre la dimensione politica della cittadinanza.

Non vi è alcun dubbio, quindi, circa l’incostituzionalità dell’ergastolo a vita e del netto contrasto soprattutto con il fine di reinserimento nella società di un detenuto che tuttavia risulta manchevole senza che questi decida di collaborare con la giustizia.

Ma, nonostante queste evidenze, più di recente, la Corte Costituzionale ha ritenuto che la normativa che subordina l’ammissione alla liberazione condizionale del condannato alla pena dell’ergastolo per uno dei delitti ivi previsti alla collaborazione con la giustizia, non preclude in modo automatico, assoluto e definitivo l’accesso al beneficio, ma consente al condannato di scegliere se collaborare e non ed eventualmente di cambiare la propria scelta, sicchè essa non si pone in contrasto con il principio della funzione rieducativa della pena.

I giudici della Corte Costituzionale, ad avviso di chi scrive, non hanno tenuto conto di situazioni particolarissime e delicatissime.

Infatti, possono esservi casi in cui la mancata collaborazione non è né impossibile né oggettivamente irrilevante, ma risulta in concreto impossibile per ragioni diverse che non sono di per sé espressione della non avvenuta rieducazione del soggetto: infatti, il detenuto potrebbe non collaborare per timore degli effetti negativi che il tradimento dell’organizzazione potrebbe avere su familiari o persone legate da vincoli affettivi; ovvero la sua scelta potrebbe essere finalizzata ad evitare il coinvolgimento di un correo solo per garantirsi la libertà.

In tal senso l’ergastolo ostativo è incostituzionale perché prevede il divieto di concessione di benefici carcerari riservandosi che i condannati collaborino solo con la giustizia, quasi come la collaborazione si traducesse in un baratto tra la propria libertà e quella altrui.

Proprio ultimamente, la Corte EDU ha respinto il ricorso del Governo Italiano contro la sentenza pronunciata dal giudici europei nel giugno scorso che riguardava il caso del Boss di ndrangheta Marcello Viola, affermando che la condanna al carcere a vita “irriducibile”  viola l’art. 3 della Convenzione Europea sui diritti umani.

Viene, dunque, da pensare che l’unico bisogno che soddisfa la pena dell’ergastolo è quello di vendetta e non anche di giustizia e con ciò risulta essere una pena terribile in quanto non molto diversa dalla pena capitale perché, di fatto, toglie la libertà di pensare e progettare.

Senza ombra di dubbio il percorso rieducativo diventa, a questo punto, irrilevante, e ciò che importa, come detto in precedenza, in vista dell’ammissione alle misure alternative, è esclusivamente la collaborazione processuale, indipendentemente dai progressi compiuti dal detenuto nel corso del trattamento penitenziario.

Questa irrilevanza del percorso rieducativo potrebbe addirittura risultare controproducente, dipingendo come vani gli sforzi compiuti dallo stesso detenuto.

La pena senza fine, usque ad mortem, è, dunque, una pena perpetua sia a livello statico che dinamico e ogni giorno trascorso in carcere rappresenta un “giorno in più” e non “in meno”, di detenzione.

Alla luce di quanto brevemente detto, colui che scrive sta pensando: l’ergastolo ostativo nei confronti di un detenuto soddisfa anche la funzione rieducativa della pena. Si, ma solo morale ed ai fini di un reinserimento dello stesso nella vita eterna.

 

(1) Espressione coniata dalla dottrina e fa riferimento ai casi in cui l’ergastolo è stato pronunciato per uno dei delitti di matrice mafiosa o terroristica elencati nell’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario.

(2) L’ergastolo semplice, quindi, soddisfa il fine rieducativo della pena. Ciò ha permesso alla Corte Costituzionale di superare i dubbi di legittimità costituzionale che nascevano dal fatto che non era compatibile con la funzione rieducativa della pena, intesa come effettiva possibilità di risocializzazione. La Corte Costituzionale ha affermato la legittimità costituzionale in relazione all’art. 27, comma 3, Cost. in forza di due argomenti: in primis ha evidenziato la teoria polifunzionale della pena, sostenendo che funzione della pena non è solo il riadattamento sociale del condannato; un secondo più consistente argomento fa leva sul fatto che il carattere astrattamente perpetuo della pena dell’ergastolo non è tale alla luce della disciplina applicabile, in quanto l’ergastolano, di cui sia sicura la rieducazione, può accedere, appunto, alla liberazione condizionale (art. 176, comma 3, c.p.) che permette il reinserimento nella società civile del soggetto (CORTE COSTITUZIONALE., 22 Novembre 1974, n. 264.).

(3) Risulta incisiva la diversa epoca di stesura del Codice Rocco e della Costituzione.

(4) ALLEGRA, Fondamento, scopo e mezzo della teoria della pena, Novara 1952; ANTOLISEI, Teoria e realtà della pena, in Scritti, p. 191 ss; CARNELUTTI, Meditazione sulla essenza della pena, in Riv. It 1955, 3 ss; NUVOLONE, Il rispetto della persona umana nella esecuzione della pena, in Iustitia 1956, 142 ss; RANIERI, il secondo cpv dell’art. 27 della Costituzione e il problema della rieducazione del condannato, in Studi in onore di De Francesco, v. I, Milano 1957, p. 561 ss; MALINVERNI, Funzione e natura della pena, in Studi economico-giuridici pubblicati a cura della facoltà di giurisprudenza della Università di Cagliari, v. LXII, Padova 1961; CATTANEO, Il problema filosofico della pena, Ferrara 1978; ecc…

(5) Le prime indagini di cui si abbia notizia sono quelle di PITAGORA e PROTAGORA e, da quel momento quasi tutti i pensatori si sono pronunciati sul tema.

(6) F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Giuffrè Editore, Decima edizione. p. 603 ss.

(7) I punti qualificanti di tale riforma consistono nella ricezione dell’ideologia del trattamento rieducativo e nella introduzione delle misure alternative alla detenzione ispirate all’idea del probation. 

(8) Alcune delle indicazioni emerse nelle proposte di riforma della parte generale del Codice Penale elaborate dalle Commissioni PAGLIARO, GROSSO, NORDIO, PISAPIA, nonché la proposta elaborata più di recente dalla Commissione Palazzo per la revisione del sistema sanzionatorio (2014).

(9) C.F. GROSSO – M. PELISSERO – D. PETRINI – P. PISA, Manuale di diritto penale, Parte generale, Giuffrè Editore, seconda edizione., Milano 2017.

(10) Sul punto, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non considera di per sé le pene perpetue in contrasto con la garanzia convenzionale, a condizione che siano rispettati alcuni parametri: non deve trattarsi di pene gravemente e manifestamente sproporzionate rispetto al reato commesso, la protrazione della privazione della libertà personale deve essere funzionale agli scopi che la pena può legittimamente perseguire, deve essere prevista la possibilità di un rilascio anticipato così da permettere al detenuto di riacquistare la libertà (CORTE EUROPEA DIRITTI DELL’UOMO, 9 luglio 2013, ric. Nn. 66069\2009, 130\2010 e 3896\2010, Vinter c. Regno Unito; Id., Grande Camera, 12 febbraio 2018, Kafkaris c. Cipro).

(11) N. VALENTINO, L’ergastolo. Dall’inizio alla fine, Roma, 2012, p.98.

(12) A. PUGIOTTO, Criticità Costituzionali sull’ergastolo ostativo, cit, p.66.

(13) La Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità di questa disciplina in quanto per gli ergastolani la possibilità che la pena non sia in concreto perpetua dipende solo dalla collaborazione.

(14) C.F. GROSSO – M. PELISSERO – D. PETRINI – P. PISA, Manuale di diritto penale, Parte Generale, Giuffrè Editore, seconda edizione., Milano 2017.

(15) Articolo 3 Costituzione.

(16) Corte Cost., 30 aprile 2003, n.135.

(17) C.F. GROSSO – M. PELISSERO – D. PETRINI – P. PISA, Manuale di diritto penale, Parte Generale, Giuffrè Editore, seconda edizione., Milano 2017.

(18) C.d. caso Viola vs. Italia, sent. 13 giugno 2019 – Tale sentenza influenzerà la situazione di 957 persone che in Italia stanno scontando condanne all’ergastolo per reati di mafia e terrorismo.

(19) L. EUSEBI, Ergastolano “non collaborante”, cit, p. 1221.

Pubblicato da Pasquale Poerio

Pasquale Poerio, laurea in Giurisprudenza (magistrale a ciclo unico) presso l'Università di della Calabria il 22.3.2016. Penalista del Foro di Catanzaro con formazione forense presso noti Studi Legali penali. Studioso del diritto penale ed autore di diverse pubblicazioni scientifiche penalistiche.